Non è una rivoluzione colorata e Trump è il nemico (come prima lo era Obama)

Non è una rivoluzione colorata e Trump è il nemico (come prima lo era Obama)

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di Fabrizio Verde
 

«Più di due secoli di bugie vengono smascherate. Storie bizzarre sulla libertà e sulla democrazia stanno crollando come castelli di carte. La morte di un uomo scatena una valanga di rabbia in coloro che per anni, decenni e secoli sono stati umiliati, schiacciati e sterminati», scrive un importante intellettuale del calibro di Andre Vltchek.

 

 

Le immagini che arrivano dagli Stati Uniti mostrano il vero volto del regime di Washington, definito “oligarchia” da un importante studio dell’Università di Princeton di qualche anno fa poco pubblicizzato, stranamente, in Italia.

 

 

 

Non importa se alla Casa Bianca vi sia un esponente repubblicano o democratico, se qualcuno osa alzare la testa e protestare subirà una repressione durissima. Dopo aver assistito alle scene brutali di questi giorni - la morte di George Floyd è solo l’ultima di una lunga serie di violenze razziali da parte delle forze di polizia – è caduto per sempre il velo di Maia.

 

 

 

Il re è nudo e lo spettacolo è desolante per la sua brutalità.

 

 

 

Il re è nudo e non deve essergli più permesso di sindacare, con Ong di sua proprietà, sui diritti umani negli altri paesi.

 

 

 

Al contrario di quanto sistematicamente accade nei confronti dei paesi contro cui ha organizzato golpe, rivoluzioni colorate, guerre economiche, guerre mediatiche e religiose. Al contrario di quanto fatto verso quei paesi contro cui ha finanziato e armato mercenari, terroristi e gruppi neo-nazisti, Siria, Iran, Venezuela, Russia, Cina e tutti quei paesi vittime preferite dell’imperialismo bipartisan a stelle e strisce non osano mettere in dubbio il principio cardine della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale: il rispetto della sovranità e la non ingerenza negli affari interni degli altri paesi.

 

 

 

In Italia si susseguono e si ripercorrono analisi e congetture anche tra chi negli anni ha giustamente criticato le barbarie degli Stati Uniti che meritano un approfondimento.

 

 

 

Al momento, in particolare, appaiono tre le tesi alla domanda: Che cosa sta accadendo realmente negli Stati Uniti in questi giorni?

 

  

 

Vediamole con ordine.

 

 

 

Prima tesi. E’ un complotto ordito dal deep state per impedire la rielezione di Trump (presidente di un paese con oltre 40 milioni di disoccupati e con una gestione drammatica della pandemia Covid) e per oscurare la pubblicità del cosiddetto Obamagate.

 

 

 

Seconda tesi. Il movimento di proteste che si sta alimentando negli Stati Uniti è un moto rivoluzionario che dal basso sarà in grado di dare una spallata decisiva al sistema più diseguale, intollerante e criminale dall’epoca del nazismo ad oggi.

 

 

 

Terza tesi. Il movimento è un moto di ribellione frutto della legittima disperazione, ma disordinato e senza chiari obiettivi politici, che finirà nel nulla come nel caso di Occupy Wall Street.

 

 

 

Partiamo dalla prima tesi. La narrazione di fondo è così sintetizzabile: l’establishment statunitense avrebbe deciso di manovrare i manifestanti negli Stati Uniti per far fuori Donald Trump, un presidente che non sarebbe allineato ai desiderata del cosiddetto deep state. Insomma il classico schema da rivoluzione colorata che gli USA impongono all’estero quando vogliono rovesciare un governo deciso a non piegarsi davanti alla tracotanza imperiale. E che in questo caso si sarebbero auto-prodotti.

 

 

 

La tesi parte da questo presupposto: il razzismo, l’intolleranza e gli abusi criminali della polizia degli Stati Uniti ci sono sempre stati, ma solo questa volta i media ne danno una copertura inusuale e sono proteste organizzate appositamente (o comunque non fronteggiate adeguatamente da governatori e sindaci democratici) perché alla prossima elezione trionfi Biden e venga oscurato il cosiddetto Obamagate, dopo il fallimento del cosiddetto Russiagate.

 

 

 

Fermo restando che dell’Obamagate ne daremo notizia in pochi comunque, moti o non moti negli Stati Uniti, la tesi che viene additata come complottista dal mainstream sembra oggettivamente sottovalutare alcuni aspetti rilevanti: se la forza propulsiva di cambiamento da parte di Trump c’è mai stata solo nelle intenzioni, almeno in politica estera, essa è finita con la rinuncia a Flynn e Tillerson. Da quando a prendere le decisioni sono (o sono stati) criminali di guerra come Pompeo, Bolton e Abrams (il peggio dei neo-conn) la situazione è comparabile, se non a tratti peggiore del recente passato - pensiamo ad esempio all’illegale decisione su Gerusalemme, all’illegale sospensione del trattato Jpcoa con l’Iran e all’inasprimento da genocidio della guerra economica contro il Venezuela, senza dimenticare la crociata sinofobica che rischia di portare il mondo sull’orlo dell’abisso.

 

 

 

Quali sarebbero esattamente le mosse di Trump contrarie al deep state?

 

 

 

In Venezuela continua ed è stata inasprita la guerra multiforme contro la Repubblica Bolivariana. Nei giorni scorsi è stato sventato un assalto terroristico guidato da mercenari direttamente collegati al tycoon statunitense. Gli Stati Uniti hanno intensificato le sanzioni nonostante la pandemia avrebbe dovuto piuttosto portare a un allentamento di quelle misure che avrebbero potuto provocare una vera e propria strage, evitata solo grazie al sistema preventivo implementato dal socialismo bolivariano. Ma l’umanità e il buon senso non sembrano proprio albergare in quel di Washington.

 

Trump ha ordinato un raid dal sapore mafioso per l’omicidio del generale iraniano Soleimani. Con un drone gli USA hanno ucciso un eroe della lotta contro il terrorismo. Il vero architetto della lotta a spietate organizzazioni come l’ISIS che tanti lutti hanno provocato non solo in Medio Oriente. Anche nei confronti dell’Iran abbiamo assistito a una stretta sulle sanzioni per soffocare l’economia di Teheran. L’Iran è stato uno dei primi paesi ad essere colpiti in maniera pesante dal Covid-19. La Repubblica Islamica però ha saputo brillantemente superare anche questa prova.

 

Nei rapporti con la Russia, le sanzioni contro Mosca, le questioni Ucraina (dove i neo-nazisti continuano indisturbati) e Crimea nemmeno vediamo come e dove Trump abbia preso iniziative contrarie all’establishment statunitense. Per non parlare poi della Cina. Contro Pechino la retorica è ormai bellicosa e ogni giorno si cerca lo scontro aperto con Pechino. Anche qui emergono nitidamente - insieme alla sinofobia dilagante - le idee suprematiste che muovono le azioni di Trump e della sua cricca, a partire da Mike Pompeo.  

 

 

 

Se poi è vero che la stampa mondiale preferisca Biden che darebbe quel velo liberal ai crimini degli Stati Uniti e una “propaganda più pulita”, l’”eccessiva copertura” è sbilanciata sui pochi casi di saccheggi e non sugli abusi della polizia e sulle manifestazioni pacifiche. Insomma un eccesso di copertura “filo Trump”. Del resto che l’attuale amministrazione Usa e i giornali Fiat la pensino allo stesso modo su tutto è un dato fattuale inoppugnabile.

 

 

 

Andiamo ora alla seconda tesi e saremo altrettanto crudi. Non sembra affatto che nelle città degli Stati Uniti emerga nulla di comparabile a qualcosa che possa portare un reale cambiamento e scuotere alle fondamenta il regime neo-liberale che domina negli Stati Uniti. Al contrario si stanno sviluppando come sommovimenti, del tutto legittimi, ma disordinati e che rischiano di essere prima brutalmente repressi (come sta avvenendo in questi giorni) e poi fatti cadere nel dimenticatoio senza aver sedimentato nulla di politico.

 

 

 

Perché di politico al momento c’è veramente poco e non si intravede un progetto per un’alternativa ai milioni e milioni di disperati schiacciati dalle gabbie del neo-liberismo.

 

 

 

Se l’offerta che il regime propone è quella “democratica” del voto tra due facce della stessa medaglia (Trump o Biden), il tavolo va totalmente rovesciato. Come? L’autoproclamazione di Sanders a presidente in una pubblica piazza sarebbe una bella pena del contrappasso dell’imperialismo di Trump. Ma, più realisticamente, pretendere, inizialmente, una riforma totale di un sistema elettorale di un paese che si autodefinisce “democrazia” e che permette di fare politica solo attraverso milioni di dollari elargiti da chi poi prenderà tutte le decisioni. Che vincano i democratici o i repubblicani poco conta. Pretendere poi un terzo candidato alle elezioni di novembre che rappresenti il movimento di protesta e che abbia le stesse identiche possibilità di accesso ai mezzi di comunicazione e alle risorse degli altri due. Questa sarebbe la prima proposta concreta politica che sedimenterebbe la protesta.  

 

 

«Il grande teorico politico Sheldon Wolin, in ritardo, aveva già compreso tutto in un libro pubblicato per la prima volta nel 2008: si tratta del Totalitarismo invertito». Scrive un acuto analista come Pepe Escobar.

 

«Wolin ha mostrato come "le forme più crude di controllo - dalla polizia militarizzata alla sorveglianza totale, così come la polizia che si trasforma in giudice, giuria e carnefice, ora una realtà per le classi dominate - diventeranno una realtà per tutti noi se dovessimo iniziare a resistere al continuato incanalamento di potere e ricchezza verso l'alto.

 

“Siamo tollerati come cittadini solo finché partecipiamo all'illusione di una democrazia partecipativa. Nel momento in cui ci ribelliamo e ci rifiutiamo di prendere parte all'illusione, il volto del totalitarismo invertito assumerà il volto dei sistemi passati del totalitarismo”, ha scritto.

 

Sinclair Lewis (che non ha detto "quando il fascismo arriverà in America, verrà avvolto nella bandiera e sventolando la croce") in realtà scrisse, in It Can't Happen Here (1935), che i fascisti americani sarebbero stati coloro che "avrebbero rinnegato la parola "fascismo" e predicato la schiavitù del capitalismo sotto lo stile della libertà costituzionale e tradizionale americana".

 

Quindi, quando accadrà, il fascismo americano camminerà e parlerà americano».

 

 

Negli Stati Uniti, è bene ricordare, non esiste purtroppo alcuna organizzazione di massa che possa aiutare i lavoratori a migliorare la propria condizione, a coordinare un lavoro che andrebbe fatto a livello nazionale per l'agitazione, la richiesta di espropriazione collettiva e la socializzazione della proprietà dei mezzi di produzione economica. Insomma, siamo ben lontani da una rivoluzione sociale nella patria del capitalismo.

 

 

 

Restiamo pessimisti sulle concrete possibilità che questo avvenga, ma pronti con gioia a smentirci in caso dovessimo essere contraddetti. Al momento rimane, quindi, dal nostro punto di vista, la terza ipotesi la più probabile. E il rischio che tra brutale repressione e saccheggi veri o presunti, il movimento nato dalla disperazione legittima e dalla sana rabbia verrà ricordato come l’ennesimo effetto collaterale di un regime brutale è purtroppo alto.

 

 

 

Cosa è rimasto di politico negli Stati Uniti del resto del Movimento Occupy Wall Street? Nulla. Obama, nonostante il movimento di protesta disordinato e senza sedimentazione politica che si sviluppò nel 2011, verrà ricordato per i golpe contro Honduras, Paraguay, Brasile; per le guerre economiche contro Cuba, Venezuela, Nicaragua; per le nuove e vecchie guerre contro Afghanistan, Iraq, Siria, Libia. Per il golpe di Maidan in Ucraina, per il terrorismo attraverso i droni contro decine di paesi del mondo arabo e asiatico. E stiamo facendo torto alla famigerata lista di Obama.

 

 

 

Pensare ad una rivoluzione colorata del deep state contro Trump (prima tesi) non è solo del tutto fuorviante, ma distoglie l’attenzione dalla vera posta in gioco: Biden non sarebbe un presidente migliore dell’attuale, come quest’ultimo non è stato migliore di chi li ha preceduti e così via.

 

 

Negli Stati Uniti è l’intero sistema ad essere marcio sin dalle sue fondamenta.

 

L’emblema dell’imbroglio liberale deve essere rovesciato per sempre e per farlo non bastano proteste disordinate, ma organizzazione politica, un’ alternativa socialista (tesi 2) e anti-imperialista. Come insegnano, da Maduro a Assad fino a Rohani e Xi, tutti quei leader mondiali che oggi si trovano a combattere contro i crimini di Trump, che sono gli stessi di Obama, che sono gli stessi di Bush figlio, che…

 

«Che questo sia l'inizio di una nuova ondata della lotta di liberazione globale!

 

Ora sempre più persone possono finalmente vedere ciò che pochi di noi hanno ripetuto per anni: il mondo intero ha il collo schiacciato dallo stivale degli Stati Uniti. Il mondo intero ‘non riesce a respirare!’. E il mondo intero deve lottare per il suo diritto di poter respirare!».

 

Ancora una volta uniamo la nostra voce a quella di Andre Vltchek. Altro che rivoluzione colorata, negli Stati Uniti la lotta è quella del mondo che vuole liberarsi dalla morsa mortale degli USA.

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