Pino Arlacchi - Come la Cina ha sconfitto la povertà senza il capitalismo

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Pino Arlacchi - Come la Cina ha sconfitto la povertà senza il capitalismo

Ho iniziato l’anno come al solito, leggendo le solite cose sui soliti giornali. Ma ad un certo punto sono inciampato in qualcosa di strano: un reportage del New York Times, in prima pagina, sulla eliminazione della povertà a Gansu, la provincia più povera della Cina. Seguito da una batteria di 107 commenti, quasi tutti favorevoli sia al taglio che ai contenuti del pezzo.
     

Sono abbonato a quel giornale da decenni, e non mi era mai successo di trovarvi un articolo non negativo sulla Cina. E ancor più, di trovarvi commenti dei lettori così ben informati e incisivi su un argomento alquanto specifico, normalmente trattato di sfuggita dalla grande stampa.
     

L’autore del pezzo descrive i dettagli di alcune misure contro la povertà messe in atto dal governo cinese: i sussidi, i prestiti, i contributi a fondo perduto, gli aiuti materiali - dalle vacche e alle case in poi - distribuiti agli ultimi 50 milioni di “poveri assoluti” rimasti in Cina fino al loro esaurimento nel corso del 2020.
     

Il taglio del resoconto non è, come detto, negativo, ma è critico (“cerchiobottista”nel gergo giornalistico italiano). Il successo complessivo dell’impresa “comunista” di riduzione della disuguaglianza viene sminuito dai dubbi – messi in bocca al burocrate di turno della Banca Mondiale - sulla sua sostenibilità e sui suoi ingenti costi: può la Cina permettersi di continuare a spendere 700 miliardi di dollari in 5 anni, 140 all’anno, pari a quasi l’1% del suo PIL annuale, per rendere sostenibile la sua vittoria contro la povertà? 
     

La risposta arriva dai commenti dei lettori, che forniscono approfondimenti e pezzi di informazione originali sulla strategia cinese contro la povertà. Questa non si basa sui soli trasferimenti alle persone (che sono comunque consistenti), ma sulla costruzione di infrastrutture e su incentivi mirati proprio alla sostenibilità dei risultati. Nel quadro di un coinvolgimento dell’intera società, anche della parte più ricca e urbanizzata, in una colossale operazione di solidarietà strutturata: 
     

«Quasi ogni ufficio dello Stato, ogni impresa pubblica e molte aziende private sono coinvolte (nell’aiuto alle zone povere). Quasi ogni residente urbano negli anni recenti è stato invitato ad acquistare prodotti provenienti dalle aree più marginali del paese. I giovani manager delle agenzie e delle aziende pubbliche sono stati spinti da incentivi e avanzamenti di carriera ad andare nelle regioni rurali come leader dei progetti contro la povertà. Questi giovani professionisti si impegnano di norma per 5 anni a lavorare assieme agli abitanti dei villaggi poveri per individuare i prodotti locali suscettibili di attrarre i consumatori urbani».
     

Le vacche regalate ai contadini che fanno il titolo dismissivo del New York Times sono solo la punta di un iceberg. Che viaggia a latitudini molto lontane da quelle del capitalismo contemporaneo.

Pino  Arlacchi

Pino Arlacchi

Ex vice-segretario dell'Onu. Il suo ultimo libro è "Contro la paura" (Chiarelettere, 2020)

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