Radici ideologiche del Pakistan: dai Padri fondatori alla costruzione di un pensiero geopolitico
Riflessioni su “LA TERRA DEI PURI, ideologia e geopolitica del Pakistan” di Daniele Perra (Anteo Ed.2021)
di Maria Morigi
Il Pakistan nasce dalla “Partizione” del 15 agosto 1947, data che segna la nascita di due Stati indipendenti: l'India, a maggioranza indù, e il nuovo Pakistan, a maggioranza musulmana. Ma forse, nel nostro umanitarismo per la tragedia degli esuli e confusi dallo slogan di un Pakistan “Stato fallito” (che però, essendo in possesso del nucleare, deve essere trattato “con le pinze”!) avevamo capito poco. Tanto poco che non ci siamo accorti che il Pakistan era praticamente l’unico Stato – oltre a quelli nati dalle ceneri del colonialismo ottocentesco di Russia e Gran Bretagna, con la fine del Grande Gioco (convenzione anglo-russa del 1907) - dotato di una fortissima carica ideale che ne giustificava la fondazione, senza dover ricorrere a ‘prestiti’ da parte della cultura persiana o dell’impero timuride, così come in Uzbekistan.
Il Pakistan fin dalla sua nascita ebbe la sicurezza dell’appartenenza all’Islam.
Per approfondire gli aspetti identitari del Pakistan ora abbiamo a disposizione questo approfondito studio di Daniele Perra che tratta di Islam finalmente in modo limpido e tratta di geopolitica dell’Islam con le necessarie informazioni storico-ideologiche, senza perdersi nei meandri dei vari integralismi islamici che l’Occidente (spesso privo delle necessarie capacità analitiche in tema di Islam) avrebbe la pretesa di gestire strategicamente, ma che continuamente gli sfuggono dalle mani.
I Padri della Patria pakistana sono quanto mai autorevoli, basta vedere il pellegrinaggio continuo all'ultima dimora di Karachi del Quaid-e-Azam (Grande Leader) Muhammad Ali Jinnah e gli onori tributati al poeta Muhammad Iqbal morto nel 1938 ben prima di vedere la nascita del Paese. Quest’ultimo, sostenitore della rinascita politico-spirituale della civiltà islamica nel mondo, ha lasciato una importante eredità ideologica (o “Metafisica geografica”) per cui il Pakistan è individuato come luogo d’incontro tra cultura indiana e persiana, entrambe fondate sulla speculazione metafisica e su un sistema di pensiero che portò gli indiani a “raggiungere vette ideali per le quali l’Europa dovrà attendere il XIX secolo e la riflessione nietzschiana ”(pag 51).
A quei Padri si deve non solo il “gran rifiuto” del Pakistan di rimanere suddito dei vantaggi offerti dall’impero britannico, ma anche il rifiuto di adattarsi al nazionalismo etnico di piccole patrie razziali (ben sperimentato in Europa con la dissoluzione jugoslava). Senza quei Padri il Pakistan oggi non esisterebbe: sarebbe un insieme di irrilevanti staterelli a base etnica (“pseudo-stati privi di sovranità”), utilizzabili da una o da un’altra delle grandi potenze… una specie di “Balcani asiatici”.
La prima parte del testo “Le radici ideologiche del Pakistan” fa comprendere la forza ideale di quella “Utopia retrospettiva” condivisa dai padri fondatori. Con un bagaglio di riferimenti ad importanti autori che ne hanno trattato, affronta problemi cruciali: le differenze tra Stato-nazione e Stato-islamico, la separazione tra ambito legale–politico e ambito morale-religioso tipico dell’Islam, il confronto con la modernità imposta dal liberalismo e dalle filosofie occidentali, l’effetto della globalizzazione unipolare.
Ripercorrendo la capacità di aggregazione della Shari’a e la sua evoluzione in sistema normativo di base del diritto all’interno di una entità politica, si delinea il profilo ideologico e culturale dello Stato islamico, la cui intrinseca natura è costituita da Umma (ovvero “Comunità dei credenti” fondata sull’identificazione e sul rispetto della Legge di Dio) che sostituendo l’idea occidentale di Nazione e spezza il principio di identificazione etnica.
Viene poi affrontata l’evoluzione dell’idea di “Due distinte Nazioni” fatta propria da Muhammad Ali Jinnah solo nel 1937 ma che già alla fine del XVIII secolo aveva avuto consensi da parte dei fondatori della indiana Scuola Deobandi e in seguito di esponenti del sufismo. L’idea era già emersa in epoca pre-moderna ai tempi delle dinastie persiano-afghane precedenti l’Impero Moghul e vide anche occasionali soluzioni. A tal proposito Perra cita l’ edificazione nel 1575 da parte dell’imperatore Akbar della magnifica “Città della Vittoria” Fathepur Sikri che accoglieva un centro di studio filosofico-religioso (Ibadhat Khana) inteso a superare le divergenze interne dell’Islam e ad aprirsi anche ad altre fedi (zoroastrismo, induismo, cristianesimo, ebraismo).
La teoria delle “Due Nazioni”, attribuita per semplificazione ad Jinnah, ebbe un più attuale importante precedente nel pensiero del filosofo e giurista indiano Sayyed Ahmad Khan (1817 – 1898) con cui assume caratteri moderni ma anche ‘mediazioni’ funzionali e relative alla presenza britannica. E, sembra un po’ surreale, ma bisognerà aspettare l’indipendenza del Bangladesh e l’intransigente giudizio di Indira Ghandi perché la teoria delle due Nazioni fosse definitivamente bollata come fallimentare!.
Non secondaria la questione della ”Democrazia islamica” proposta da Fazlur Rahman (1919-1988), lucido critico degli elementi di irrazionalità presenti nella tradizione islamica e critico dei "neo-fondamentalismi" musulmani contemporanei. Il suo approccio era orientato a recuperare nella pratica della “shura” (consultazione) il pilastro di uno stato islamico moderno basato sull’uguaglianza e la giustizia sociale. Secondo Fazlur Rahman, proprio per incoraggiare in senso democratico il rinnovamento delle istituzioni educative islamiche, punto di forza dovrebbe essere quello di raccogliere lo spirito di giustizia sotteso alle ingiunzioni coraniche.
Infine “Il mito dell’indipendenza” Manifesto di Zulfiqar Ali Bhutto, uno dei fondatori nel 1967 del Pakistan Peoples Party (PPP) contro la dittatura militare del presidente Ayub Khan. Si tratta secondo Perra della: “ prima reale espressione e primo tentativo di costruzione di un pensiero geopolitico e strategico per il Pakistan” (pag. 93) dove Indipendenza e Partizione appaiono come i soli strumenti atti a contrastare gli interessi britannici e americani sul subcontinente indiano. Dopo il conflitto indo-pakistano del 1965, la posizione di Bhutto si fa infatti più ‘nazionale’ e più strategica: l’interesse pakistano deve essere difeso, anche a costo di dispiacere l’alleato USA, strategicamente si può ricercare collaborazione con la Cina, allora osteggiata sia dall’India che dalle potenze occidentali, ma non ancora in grado di rappresentare una minaccia per Washington. La lungimiranza di Bhutto non vedeva nella Cina comunista un ostacolo né un pericolo, anzi, da ammiratore del pensiero confuciano e degli esiti della rivoluzione maoista, aveva messo a fuoco le opportunità di una cooperazione con la Cina, proprio per lo sviluppo afro-asiatico.
Mi fermo qui perché mi pare fuor di luogo analizzare solo sommariamente i complessi rapporti afghano-pakistani, o i problemi legati al terrorismo che interessano il China-Pakistan Corridor, o l’attuale politica governativa… infatti in Pakistan ci sono andata per lavoro archeologico, ho percorso la Valle dell’Indo da sud all’estremo nord e ho visto “cose” che mi rendono difficile parlarne frettolosamente e con la necessaria equidistanza.
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