Riscoprire la verità sulla Storia nazionale per smetterla di essere colonia

Alimentando visioni unilaterali e artificiose, immagine capovolta di quelle agiografiche e propagandistiche, i denigratori del Risorgimento e della Resistenza non hanno contribuito a una maggiore chiarezza sul passato del nostro paese, ma hanno anzi incentivato la diffusione di menzogne utili unicamente a rafforzare la convinzione degli italiani di essere un popolo “senza Storia"

1361
Riscoprire la verità sulla Storia nazionale per smetterla di essere colonia


di Leonardo Sinigaglia per l'AntiDiplomatico

Il modo migliore per assicurarsi che un popolo non lotti mai per la sua libertà è fargli credere di non esserne degno. E il modo migliore per ottenere questo risultato è infangare la sua Storia, convincendolo che i suoi antenati sarebbero stati nient’altro che bugiardi, farabutti e vigliacchi. Ancor meglio è colpirlo in modo ancor più radicale, mettendo in discussione la sua esistenza nazionale: come potrebbe aspirare all’indipendenza una nazione che non esiste, che è semplicemente un’espressione geografica?

La distruzione della dignità dei popoli e la negazione della loro Storia sono stati due strumenti importanti nell’arsenale delle potenze coloniali, che attraverso il loro utilizzo sono riuscite a trasmettere sia a livello internazionale che, soprattutto, tra i colonizzati l’idea che questi fossero veramente dei “popoli bambini”, incapaci di governarsi in autonomia e privi di un passato che non fosse un’eterna selvaggia barbarie.

Tali pratiche sono state mutuate dall’egemonia statunitense, che ha scientemente alimentato a livello globale il nichilismo nazionale per poter imporre con più facilità la propria sovranità imperiale a discapito di quella democratica delle varie nazioni. Questo progetto è stato portato avanti secondo diverse direttrici: il pensiero liberale “globalista”, il rifiuto della dimensione nazionale di numerose correnti d’estrema sinistra, le visioni euro-imperiali dell’estrema destra e il separatismo etnico o regionalista. L’Italia è uno dei pochi paesi ad aver visto l’assalto simultaneo da tutte queste direzioni.

Trovando sponda anche in certi ambienti cattolici, il pensiero europeista, espressione regionale del globalismo liberale, ha impegnato fin dagli Anni ‘40 una lotta serrata contro la nazionalità italiana, avendo come massima espressione ideologica Altiero Spinelli e venendo portato avanti dal punto di vista dell’operatività politica il Partito Democratico, ossia “l’erede” di quel PCI che proprio da Spinelli venne fortemente influenzato a partire dagli Anni ‘80.

A partire dal 1968, l’estrema sinistra italiana è stata sempre più caratterizzata dall’egemonia delle correnti politiche interne al cosiddetto “marxismo occidentale”. Dagli anarchici ai bordighisti, dai trotskisti ai “maoisti”, l’Italia è stata identificata come “il” nemico in quanto Stato nazionale, “paese imperialista” (!) o anche perché semplicemente associata al fascismo e all’estrema destra. L’ostilità per la nazione ha raggiunto il suo apice a seguito della produzione teorica di Antonio Negri, con la quale si è sancito il totale ripudio per la dimensione nazionale attraverso un “locale” direttamente connesso al “globale” delle “moltitudini”.

A partire dall’Operazione Barbarossa, il nazismo fece propria l’idea di rappresentare il baluardo della “civiltà europea” contro la barbarie “asiatica e bolscevica” incarnata dall’Unione Sovietica. La retorica europeista fu altresì significativamente presente durante il periodo d’esistenza della RSI, e il neofascismo accentuò questo carattere, rifacendosi principalmente a quelle correnti ideologiche all’interno dei regimi dell’Asse che qualificavano il nazionalismo come una “deviazione borghese”, contrapponendogli un pensiero imperiale d’impronta aristocratica. Tale visione sta alla base del sostegno dato dall’estrema destra occidentale al regime di Kiev e al progetto di riarmo europeo.

Se non si considerano i progetti sediziosi e reazionari sostenuti dagli Asburgo e dalla Santa Sede all’indomani dell’Unità d’Italia, la prima manifestazione concreta di progettualità politiche secessioniste si è avuta col secondo dopoguerra, in particolar modo in Sicilia. Nei decenni successivi organizzazioni e movimenti d’opinione secessionisti si sono diffusi in diverse regioni, dalla Sardegna al Veneto, trovando spazio istituzionale nei progetti di disarticolazione dello Stato nazionale di cui ultimo esempio è l’Autonomia Differenziata.

 

Di queste componenti dell’assalto ideologico alla nazionalità italiana le più importanti (e interconnesse) sono sicuramente la prima e l’ultima. Il progetto di dissoluzione euro-atlantista dell’Italia ha come più stretto alleato il secessionismo particolaristico: mentre uno colpisce dall’esterno, l’altro indebolisce dall’esterno. Non è infatti un caso che mentre il Presidente della Repubblica ultra-europeista Ciampi insisteva sul “patriottismo costituzionale”, tentativo di ridurre la nazionalità italiana puramente a “valori condivisi”, il secessionismo lombardo e meridionale, cosiccome il revisionismo storico anti-italiano, venivano pienamente sdoganati e diffusi verso il grande pubblico. La demolizione della Storia italiana è fondamentale per la piena riduzione del paese a uno stato coloniale, in particolare dei suoi momenti fondanti per la realtà contemporanea, ossia il Risorgimento e la Resistenza.

Mentre Ciampi e la galassia europeista “dall’alto” attaccavano l’Italia in nome dell’Europa e “dal basso” i progetti leghisti additavano lo Stato nazionale come vero nemico dei cittadini, una “manovra a tenaglia” culturale era portata avanti contro il passato del paese attraverso la diffusione di narrazioni artefatte e mistificatorie. Da un lato il grande assalto contro la Resistenza inaugurato da Giampaolo Pansa, dall’altro quello al Risorgimento guidato da Pino Aprile. Con la scusa di “dare voce” agli sconfitti di importanti passaggi storici del nostro paese, cosa di per sé priva di negatività e anzi pienamente inquadrabile in una dimensione storica nazionale, o di mettere alla luce contraddizioni e limiti di alcune stagioni si è portato avanti un attacco frontale all’Italia stessa, favorendo quella perdita di coscienza e di fiducia in se stessi che contribuisce alla permanenza del popolo italiano in uno stato di profonda e crescente subordinazione alle centrali imperialiste euro-atlantiche.

Alimentando visioni unilaterali e artificiose, immagine capovolta di quelle agiografiche e propagandistiche, i denigratori del Risorgimento e della Resistenza non hanno contribuito a una maggiore chiarezza sul passato del nostro paese, ma hanno anzi incentivato la diffusione di menzogne utili unicamente a rafforzare la convinzione degli italiani di essere un popolo “senza Storia”, senza eroi, senza motivi di orgoglio,  e quindi anche meritevole di essere gestito da padroni superiori per intelletto e valore.

Al fine di portare avanti la lotta per la riconquista dell’indipendenza nazionale, parte dello sforzo globale antimperialista assegnato al popolo lavoratore italiano, è necessario lottare risolutamente contro queste narrazioni tossiche. Possiamo sfruttare il prossimo anniversario della partenza dei Mille guidati dal Generale Garibaldi dal celebre scoglio di Quarto a Genova, avvenuta il 5 maggio 1850, per affrontare alcune delle più diffuse menzogne sull’Eroe dei Due Mondi, e contribuire a una corretta informazione su quella che è stata la più grande personalità espressa dall’Italia nell’età moderna, motivo di orgoglio e vanto per tutto il nostro popolo.

 

 

 

 

 

 

Garibaldi, “mercenario al servizio degli inglesi” o eroe internazionalista?

 

Numerose narrazioni revisioniste hanno cercato di infangare la memoria di Giuseppe Garibaldi, presentandolo come un mercenario al servizio di progetti britannici e massonici. Ovviamente non esiste nessuna prova documentata di “servizi” resi da Garibaldi alla Corona britannica, ma questa vulgata distorta ha potuto ugualmente diffondersi, operando un vero e proprio capovolgimento della verità storica.

Dopo essere stato noto a tutti i suoi contemporanei e successori in ogni parte del mondo, dall’America Latina alla Russia zarista [1] come eroe internazionalista, uso a porre la sua spada al servizio della causa della libertà dei popoli ovunque vi fosse l’opportunità, Garibaldi vorrebbe essere ora fatto passare per un comune mercenario, disposto a porsi al servizio di chiunque avesse pagato. Un ritratto che stride profondamente con la realtà e che dimostra in chi lo propugna una profonda ignoranza sia della figura in questione, sia del mondo in cui si trovò ad operare. Il XIX Secolo non fu certamente un’età d’oro per il mercenariato vista la piena affermazione degli eserciti nazionali e della leva militare, ma ciononostante vi erano numerose opportunità per chiunque avesse voluto farsi soldato di ventura. La colonizzazione del continente africano offrì numerose opportunità d’impiego per vari professionisti delle armi, tra cui l’arruolamento nella Legione Straniera francese, creata nel 1831 appositamente per la conquista dell’Algeria. Dall'altro lato dell’Atlantico migliaia di mercenari trovarono lavoro al servizio delle mira espansionistiche degli Stati Uniti, come i numerosi che servirono sotto William Walker nelle sue spedizioni verso meridione al seguito delle quali riuscì a creare due repubbliche dalla breve esistenza nella Bassa California e in Nicaragua, dove esautorò la popolazione locale e impose a forza delle armi il ritorno della schiavitù.

Vi sarebbero stati quindi numerosi impieghi redditizi e politicamente meno rischiosi per un “Garibaldi mercenario” rispetto a quelli poi effettivamente scelti dal Garibaldi storico, che, dopo aver partecipato al fallimentare moto insurrezionale che avrebbe dovuto verificarsi a Genova in contemporanea con l’invasione della Savoia da parte di rivoluzionari repubblicani nel 1834, si rifugiò, inseguito dalla condanna a morte in contumacia, nel Sud America. Qui si pose al servizio della Repubblica Riograndesa, in guerra contro l’Impero del Brasile dopo la sua secessione, prima come comandante di una nave corsara, la “Mazzini”, ruolo nel quale riuscirà anche a liberare alcuni schiavi neri imbarcati su una goletta battente bandiera imperiale [2], poi a terra nella zona tra Santa Vitoria do Palmar e Forquetinha. Riparato a Montevideo, nell’Uruguay sconvolto dalla guerra civile, Garibaldi si mise al servizio della causa dei “colorados”, legati alla borghesia cittadina liberale,  contro i “blancos”, espressione degli interessi dei grandi latifondisti. Dopo alcuni mesi di guerra marittima, Garibaldi prese il comando a fine 1843 della Legione Italiana, i cui membri adottarono la celebre camicia rossa come propria uniforme e che prese come propria bandiera il Vesuvio in eruzione: “Era di stoffa nera, con sopravi dipinto il Vesuvio, emblema dell’Italia, e simbolo dell’interno fuoco che il vulcano racchiude nel suo seno”.  [3] Al comando della stessa ebbe modo di rifiutate, in accordo con tutti i suoi ufficiali, il dono di alcuni possedimenti terrieri del generale Fructuoso Rivera, il quale li aveva offerti in segno di riconoscenza dopo alcune vittorie: “ Voi dite di voler fare un tal dono in ricompensa dei servigi da noi prestati alla repubblica. Gli ufficiali italiani, dopo aver udito il testo della vostra lettera e preso nota dell’atto in esso contenuto in nome della legione, hanno all’unanimità dichiarato che essi, chiedendo armi ed offrendo i loro servigi alla repubblica, non avevano inteso di ricevere altra cosa fuorché l’onore di dividere i pericolo cui vanno incontro i naturali del paese che loro offerse l’ospitalità. Agendo in tal modo, essi ubbidivano alla voce della loro coscienza. AVendo soddisfatto a quanto essi riguardano semplicemente sicome l’adempliemtno di un dovere, contuiranno, sino a che i bisogni dell’assedio le esigeranno, a dividere i travagli e i pericoli dei nobili montevideani; ma non desiderano altro premio ed altra ricompensa alle loro fatiche”. [4]

Garibaldi tornò in Italia nell’estate del 1848, desideroso di partecipare alla lotta contro gli austriaci inaugurata dalle Cinque Giornate di Milano e dalla liberazione di Venezia, e che vedeva la partecipazione di decine di migliaia di soldati regolari e volontari da tutte le regioni d’Italia. Dopo alcuni scontri nella zona di Varese, colpito dalla totale mancanza di fiducia di Carlo Alberto nei confronti dei corpi volontari, che rimasero privi di coordinamento e rifornimenti per tutto il conflitto, partì alla volta di Roma con alcune centinaia di uomini, tra cui Angelo Masina e i suoi lancieri.

Dopo la fuga di Pio IX, il 5 febbraio 1849 venne proclamata nella città la Repubblica Romana, la quale subì dopo poche settimane l’aggressione degli eserciti di Francia, Spagna, Austria e dei Borbone di Napoli. Garibaldi, giunto a Roma il 27 aprile, partecipò alle difese della Repubblica con ruolo di primissimo piano, distinguendosi già durante i feroci combattimenti del 30 aprile sul Gianicolo, durante i quali furono inflitte pesanti perdite agli aggressori francesi. Il Generale guidò personalmente il contrattacco che libero la parte di Villa Pamphili occupata dai francesi: “A questo punto Garibaldi, che occupava con la sua brigata Villa Pamphili nella zona alta del Gianicolo, ordinò al battaglione universitario di scendere verso porta Cavalleggeri, dov’era ammassato il grosso dei francesi, per prenderli di fianco e alle spalle. Per farlo, bisognava imboccare la strettoia della Via Aurelia antica, infossata fra due muri. Qui ci fu uno scontro sanguinoso con il 20° di linea delle truppe di Oudinot, mandato a proteggere il fianco destro degli attaccanti. Poco dopo l’una, il battaglione studentesco era costretto a retrocedere verso Villa Corsini. I soldati francesi, scalando il muro dell’Aurelia, cominciavano a penetrare dentro Villa Pamphili. Ma il grosso delle forze di Garibaldi era ancora intatto. Il Generale, a cavallo, si mise personalmente alla testa della prima brigata e ordinò un attacco alla baionetta. Nello stesso tempo fu chiamata alla battaglia anche parte della riserva al comando del generale Galletti, che si slanciò fuori da porta San Pancrazio. La situazione, in poche decine di minuti, si rovesciò: verso le 14, dopo una serie furiosa e cruenta di corpo a corpo, Villa Pamphili era interamente riconquistata e il 20° di linea sbaragliato, in fuga disordinata lungo la Via Aurelia”. [5]

Il 9 maggio Garibaldi ottenne un’importante vittoria a Palestrina contro le truppe borboniche, che furono incalzate fino a Velletri, dove Ferdinando II aveva stabilito il suo comando. In questa città Garibaldi poté entrare senza colpo ferire il 20 maggio, essendo il monarca fuggito precipitosamente dopo che il suo esercito, superiore per numero, era stato battuto dai garibaldini.

Nonostante le vittorie ottenute da Garibaldi e gli immensi sforzi dei difensori della Repubblica, Roma cadde in mano francese il 4 luglio. Due giorni prima, convinto che la guerra andasse trasformata in guerra di movimento per portare soccorso a Venezia che ancora resisteva sotto l’assedio austriaco, Garibaldi aveva lasciato la città con 4700 uomini. Questa colonna non raggiungerà mai la Repubblica di San Marco, funestata dall’impossibilità di rifornirsi, da tradimenti e dai continui inseguimenti. Le malattie la falcidiarono, e portarono alla morte della moglie Anita.

La conclusione infruttuosa del biennio ‘48-’49 provocò una grave crisi in seno al movimento democratico italiano. Dopo un periodo passato nuovamente in mare, Garibaldi tornò in Italia nel 1854, distaccandosi progressivamente da Mazzini per abbracciare la collaborazione con le forze monarchiche piemontesi e con Vittorio Emanuele II. Garibaldi non stava rinunciano ai suoi principi repubblicani, ma giudicava ormai impossibile riuscire a conquistare l’indipendenza nazionale basandosi esclusivamente su metodi cospirativi ed insurrezionali. La guerra popolare avrebbe dovuto associarsi a quella “regolare” dell’esercito sabaudo, il solo che aveva dato prova di volersi impegnare a sostegno della causa nazionale.

Durante la Seconda Guerra d’Indipendenza Garibaldi ebbe il comando dei Cacciatori delle Alpi, con i quali riuscì a vincere a più riprese l’esercito austriaco nonostante la superiorità numerica di questo, come nei casi di Varese e San Fermo, sfruttando a pieno sia le sue grandi capacità tattico-operative, sia l’entusiasmo delle migliaia di volontari accorsi al suo servizio.

Profondamente amareggiato dalla cessione di Savoia e Nizza, sua città natale, alla Francia, Garibaldi si dimise dalla carica di deputato a cui era stato eletto poche settimane prima. L’accaduto non gli fece perdere fiducia in Vittorio Emanuele II, ma ampliò la già notevole distanza tra lui e la fazione cavouriana. Sarà infatti proprio Cavour a cercare di sabotare la raccolta di armi e rifornimenti per la spedizione che partì da Quarto il 5 maggio 1860 in sostegno all’insurrezione patriottica della Sicilia, oltre che a tentare d’intercettare i due piroscafi sui quali i Mille stavano dirigendosi verso l’isola.

Sbarcato in Sicilia l’11 maggio, Garibaldi riuscì entro l’agosto a liberare tutta l’isola battendo a più riprese le truppe borboniche grazie al grande afflusso di volontari locali e allo stato di disorganizzazione dei nemici, incapacitati dall’insurrezione dilagante in tutta la Sicilia. L’isola viveva da tempo un rapporto conflittuale con la corte di Napoli, e non era nuova a sollevazioni. Il ‘48 europeo, la Primavera dei Popoli, era proprio iniziato con la ribellione dei siciliani, il cui Parlamento già il 1° aprile 1848 aveva con un decreto sancito la propria volontà di far parte della “unione e federazione italiana” di cui le varie sollevazioni in diverse parti della penisola facevano presagire la nascita. Garibaldi riuscì ad evitare la triste sorte toccata pochi anni prima al patriota napoletano Carlo Pisacane proprio grazie allo stato d’agitazione che scuoteva le campagne e l’effettiva disgregazione del potere borbonico. Contravvenendo all’esplicita e reiterata richiesta di evitare ogni sbarco sul continente, Garibaldi e i suoi uomini passarono in Calabria verso la metà del mese di agosto. Dopo aver nuovamente battuto gli eserciti regi, Garibaldi poté entrare a Napoli trionfalmente accolto dalla popolazione il 7 settembre, dopo che la Capitale era già stata abbandonata da Francesco II. Nel frattempo da Nord l’esercito sabaudo si stava muovendo per intercettare il generale e mettere sotto controllo la situazione, impedendo che questa potesse avere svolte rivoluzionarie ed evolversi in senso repubblicano. Col celebre incontro di Teano, Garibaldi consegnò i territori liberati a Vittorio Emanuele II.

L’anno successivo le nuove autorità del Regno d’Italia ebbero modo di ringraziare Garibaldi per la vittoriosa campagna, quando il 29 agosto i loro soldati intercettarono una colonna guidata di Garibaldi intenzionata a liberare i territori romani dal dominio temporale del Papa. Sette garibaldini trovarono la morte nello scontro a fuoco, e altri venti furono feriti. Lo stesso Garibaldi fu raggiunto da due colpi di carabina, e la maggior parte fu tratta in arresto. Sette garibaldini, parte di una colonna che era in marcia per raggiungere il Generale, furono giustiziati a Fantina il 3 settembre come “disertori” da parte delle truppe regie.

Davanti a questo nuovo tradimento e afflitto dalle conseguenze della ferita, Garibaldi si ritirò a Caprera, dove aveva preso dimora. La sua fama di liberatore era ormai diffusa in tutta Europa, e le autorità militari dell’Unione arrivarono a offrirgli un comando nella guerra contro la Confederazione, cosa che non andò in porto a seguito delle richieste di Garibaldi di essere nominato comandante in capo dell’esercito e che il presidente Lincoln rivendicasse l’abolizione della schiavitù come obiettivo del conflitto, passo a cui questi non era ancora disposto. Nel 1864 Garibaldi, su invito di alcuni amici, fu accolto a Londra tanto dagli operai e dagli esuli politici italiani, quanto dai cittadini della capitale inglese. Qui si vide nuovamente con Mazzini, riconciliandosi, ma il governo inglese, che, su spinta degli ambienti progressisti avrebbe dovuto organizzare un ricevimento, rifiutò l’incontro.

In quegli anni Garibaldi era stato un acceso critico dell’azione del governo italiano, e il 21 ottobre 1863 arrivò nuovamente a dimettersi da deputato, carica alla quale era stato eletto dal primo collegio di Napoli. Tra le varie questioni, Garibaldi mostrava particolari critiche rispetto alla gestione delle regioni meridionali. In un pensiero da lui scritto è visibile la condanna per lo Stato d’assedio imposto sul Mezzogiorno con cui il Regno voleva risolvere con mezzi militari una questione essenzialmente sociale: “Mentre in Europa il progresso umanitario, interpreti i grandi uomini di tutte le Nazioni, è unanimemente deciso contro la pena di morte, il Governo di Palazzo Madama, nelle sue velleità eroicamente bestiali e degne dei tempi di Borgia, fa strombettare da tutti gli organi suoi salariati i fasti anti-briganteschi del Mezzogiorno. Non passa un solo giorno, ove non troviate un mucchio di vittorie riportate sui briganti, ove questi sono stati sbaragliati e distrutti e dei “nostri” non un solo ferito. Il più importante poi è questo: dieci briganti presi e subito fucilati, quindici briganti presi e subito fucilati. Ma io dico: li avranno poi guardati in faccia, per sapere se veramente erano briganti oppure no prima di fucilarli? Eh! Signori governanti, la guerra l’ho fatta ancor io e so che un Ufficiale qualunque, massime un subalterno, procura sempre di far valere il suoi servizi al di sopra di ciò che valgono. In uno Stato poi ove si fa la corte all’Esercito ed ove per conseguenza ogni Ufficiale ha davanti a sé ogni giorno dei cataloghi di ricompense e medaglie e croci che lo devono naturalmente solleticare. Dimodoché non è difficile che per aumentare il numero dei suoi trofei, senza guardarvi tanto per minuto, mandi all’altro mondo qualche povero diavolo che sappia di brigante come io so all’esempio di quel tale che, dovendo far ammazzare un certo numero di protestanti, qualcheduno gli osservava che non tutti erano protestanti e quello rispondeva: lasciate che vadano, che al di là Dio saprà riconoscere i suoi. Dunque allegri! Allegri a fucilare i briganti e come sono fieri quella caterva di smerdafogli ministeriali (che farebbero schifo dalla paura se si trovassero sopra un banchetto con gli occhi bendati) nell’annunziare le fucilazioni dei briganti

E poi chi sono questi briganti? Poveri infelici! Se non sono alcuni sciagurati contadini che morivan di fame e che furono ingannati dai preti, saranno i figli bellicosi della montagna che, indispettiti dal malissimo Governo, si riuniscono alle bande per vendicare la morte di qualche parente spietatamente fucilato. E poi chi lo creò il brigantaggio, chi lo fomentò, chi lo mantiene? Il maggiore interessato al mantenimento del brigantaggio e che lo mantiene per fini suoi, è Bonaparte, minori interessati e tanto accaniti, sono i Borboni ed i preti.

Chi ne ha veramente la maggior colpa, è il Governo di piazza Castello che ne darà conto a Dio della vita di tanti innocenti creature sacrificate per la codardia, imbecillità e malvagia.

Non si può trattare delle cose d’Italia del Mezzogiorno senza sentirsi sdegnati ma non si dirà giammai quanto basta, non si dipingerà giammai con colori neri abbastanza la scellerataggine dei quattro Governi che sono la causa della desolazione di quelle province infelici.

E’ poi da ammirarsi questa Italia che vogliono far sì disprezzevole quei miserabili sedicenti moderati che hanno paura di tutto e di tutti, che non trovano altro modo di vivere, di sussistere, senonché mendicando e ruffianando i favori di paurosi tiranni che tramano ad ogni soffio di bufera Italiana. E’ da ammirarsi, dico, l’Italia quando essa presenta al codardo contegno de’ milioni alcune centinaia di briganti che si sostengono come valorosi soldati!

Cosa non sarà quella terra quando, tersa da moderatume e preti, e che i suoi figli rannodati al vessillo Nazionale, contribuiranno tutti a tenerlo alto alla barba dei prepotenti, quando i briganti moderati e gli smoderati saranno uniti tutti ad uno, cioè quando si penserà alla pancia di tutti e non a poche pance privilegiate al rischio sempre di scoppiare. Infine quando questa Italia avrà un governo proprio scelto da essa proprietà sua, che potrà cambiarlo per uno migliore quando questo non convenga.

Ricordando ai briganti e ai moderati, questi ultimi non sanno far la guerra per compiere l’unità Nazionale, senonché, coll’aiuto dei briganti almeno non contano i nemici, che sono cento contro uno. Chi sostiene allora il decoro delle armi italiane sono i briganti.” [6]

 

La crescenti distanze politiche non impedirono però a Garibaldi di mettersi nuovamente al servizio degli sforzi militari indirizzati alla liberazione del paese. Durante la Terza Guerra d’Indipendenza egli fu a capo di un grande corpo di volontari che riuscì a sconfiggere più volte il nemico austriaco proprio mentre l’esercito regolare veniva battuto sul campo. Arrivato in procinto di liberare Trento, l’azione fu fermata dal famoso ordine di Vittorio Emanuele II che ordinava la cessazione delle operazioni e al quale il Generale dovette rispondere “Obbedisco”. Poco più di un anno dopo, il 24 settembre 1867, Garibaldi venne nuovamente arrestato per ordine del Presidente del Consiglio Rattazzi, in quanto stava organizzando una nuova spedizione volta alla liberazione di Roma. Riuscito a fuggire venne ancora una volta fermato il 5 novembre.

Tornato a Caprera, Garibaldi, nuovamente eletto alla Camera, Garibaldi si dimise ancora una volta nella seconda metà del 1868. Lascerà l’isola solo nel 1870 per mettersi al servizio della Repubblica Francese, proclamata dopo la disfatta di Napoleone III, nella sua lotta contro l’invasione prussiana. Al comando dell’Armata dei Vosgi Garibaldi difese Digione, riuscendo tra 21 e 23 gennaio a infliggere centinaia di perdite all’esercito nemico e a catturare una bandiera, quella del 61° reggimento di Pomerania, l’unico vessillo avversario preso dalle forze repubblicane in tutta la guerra. Riconosciuto come eroe, Garibaldi venne eletto all’Assemblea Nazionale. La sua speranza era quella di permettere il ritorno di Nizza all’Italia. La città, in cui avevano largamente trionfato le liste filo-italiane, si sollevò, incontrando la durissima repressione del governo francese. La figura di Garibaldi era ritenuta eccessivamente scomoda da moderati e liberali, i quali impedirono al Generale di intervenire nell’Assemblea e ne contestarono l’elezione. Egli fu difeso, tra gli altri rappresentanti della sinistra, da Victor Hugo. In protesta per il trattamento subito, Garibaldi si dimise nel marzo del 1871. Nei mesi successivi sostenne la Comune di Parigi, alla quale parteciparono anche diversi veterani Garibaldini, e fu eletto nuovamente come rappresentante di diversi dipartimenti francesi.

L’ultimo decennio di vita di Garibaldi, morto a Caprera il 2 giugno 1882, fu passato dal Generale a sostenere le rivendicazioni democratiche e socialiste in Italia come in tutta Europa, appoggiando le organizzazioni operaie e la Prima Internazionale. Poco prima di morire ultimo un viaggio nella Sicilia e nel Meridione continentale, venendo accompagnato da grandi e festanti celebrazioni.

 

Nonostante il gran numero di menzogne diffuse, dall’orecchio tagliato a seguito di uno stupro alle “piastre d’oro turche” [7] usate per pagare il supposto “tradimento” dei generali borbonici, la figura di Garibaldi ha goduto di immensa, e meritata, popolarità in tutto il mondo. L’accusa di essere stato un “mercenario al servizio degli inglesi” si fonda essenzialmente, al pari delle altre menzogne, sulla propaganda ecclesiastica e reazionaria. E’ senza dubbio vero che in numerose occasioni il governo di Londra avesse in simpatia le stesse fazioni sostenute da Garibaldi, come i “colorados” uruguayani favorevoli alla libertà di commercio, ma la convergenza di interessi fu solo occasionale e non portò mai a una collaborazione strutturale. L’Inghilterra tentò di sostenere il mantenimento dell’ordine europeo, e fu ostile a qualsiasi grande rivolgimento, e quindi assolutamente contraria all’opzione rivoluzionaria incarnata da Garibaldi. Per quanto la causa dell’indipendenza italiana fosse vista con simpatia da diverse personalità politiche e militari inglesi, ciò non portò mai a un aiuto materiale a favore del Generale: nonostante le accuse neoborboniche di essere stato “scortato” dagli inglesi in Sicilia, è bene ricordare come le stesse navi britanniche ormeggiate in Palermo rifiutarono di fornire a Garibaldi polvere da sparo nonostante le sue richieste. E’ altresì bene ricordare come l’Inghilterra avesse stabili interessi economici nella Sicilia e nel Meridione controllati dai Borbone, e che mantenesse in loco presidi della propria marina militare sin dal 1799, quando furono proprio le baionette inglesi a riportare la dinastia sul trono distruggendo la Repubblica Partenopea. Nello stesso anno il noto ammiraglio inglese Horatio Nelson fu insignito del titolo di Duca di Bronte da parte di Ferdinando IV, entrando in possesso delle connesse proprietà, le quali rimasero ai suoi eredi fino al 1981.

Il Risorgimento non fu un “progetto inglese”. Il Regno di Sardegna ricevette sostegno e politico e militare dalla Francia di Napoleone III e, successivamente, dalla Prussia. Per quanto all’interno del neonato Regno d’Italia fu da subito presente un “partito” filo-inglese, non bisogna dimenticare come la sua politica estera si orientò principalmente in senso filo-tedesco, fino ad arrivare alla formazione della Triplice Alleanza, ossia in accordo con lo Stato che fu il principale rivale dell’Inghilterra nei decenni conclusivi del XIX Secolo. Inoltre è innegabile come la creazione di un forte Stato nazionale affacciato sul Mediterraneo abbia rappresentato per Londra una preoccupazione più che un vantaggio, e se lo scontro fu deferito solo al 1940 fu principalmente per l’arretratezza relativa dell’Italia.

 

 

NOTE

 

[1] Oltre alle numerosissime statue e vie dedicategli in Sud America, è interessante ricordare le menzioni della sua figura anche in parti del mondo non direttamente collegate alle sue vicende. La sua fama di rivoluzionario e di progressista arrivò persino a un giovanissimo Nikolaj Ostrovsky, che nel suo celeberrimo “Come fu temprato l’acciaio”, racconta, in terza persona, come da bambino ne leggesse le vicende in una serie di romanzi a puntate.

 

[2] “Cinque negri, schiavi a bordo della goletta, ed ai quali restituii la libertà, si arruolarono sotto i miei ordini in qualità di marinai: fatto ciò riprendemmo la via per Rio della Plata”, in A. Dumas, “Memorie di Giuseppe Garibaldi”, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1957, p. 48.

 

[3] A. Dumas, “Memorie di Giuseppe Garibaldi”, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1957, p. 143.

 

[4] Citato in A. Dumas, “Memorie di Giuseppe Garibaldi”, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1957, p. 148.

 

[5] Fracassi C., La meravigliosa storia della repubblica dei briganti, Mursia, Milano, 2017, pp. 317-318.

 

[6] Garibaldi G., “Scritti e discorsi politici e militari”, Vol. III, L. Cappelli Editore, Bologna, 1937, pp. 402-402.

Spedizione dei mille invasione del meridione

 

[7] A riguardo delle “piastre d’oro turche” di un valore pari a 3 milioni di franchi francesi che sarebbero state consegnate a Garibaldi dagli inglesi ci si può limitare a ricordare come il kuru?, ossia la piastra turca, fosse una moneta argentea. Tre milioni di franchi, con i tassi di cambio e con le percentuali di metallo prezioso dell’epoca, sarebbero stati equivalenti circa a una tonnellata di piastre turche argentee: difficilmente Garibaldi avrebbe potuto transitare inosservato con un tale quantitativo di denaro.

Leonardo Sinigaglia

Leonardo Sinigaglia

Nato a Genova il 24 maggio 1999, si è laureato in Storia all'università della stessa città nel 2022. Militante politico, ha partecipato e collaborato a numerose iniziative sia a livello cittadino che nazionale.

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri di Loretta Napoleoni La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri

La nuova "dissidenza" che indossa orologi svizzeri

Il Poker delle monete è allo “stallo messicano" di Giuseppe Masala Il Poker delle monete è allo “stallo messicano"

Il Poker delle monete è allo “stallo messicano"

1 maggio, le nuove frontiere del lavoro in Cina   Una finestra aperta 1 maggio, le nuove frontiere del lavoro in Cina

1 maggio, le nuove frontiere del lavoro in Cina

Il fraintendimento più profondo sulla parola «liberazione» di Francesco Erspamer  Il fraintendimento più profondo sulla parola «liberazione»

Il fraintendimento più profondo sulla parola «liberazione»

Il 25 aprile e la sovranità di Paolo Desogus Il 25 aprile e la sovranità

Il 25 aprile e la sovranità

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi di Geraldina Colotti Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Missile sulla chiesa di Sumy: cui prodest? di Francesco Santoianni Missile sulla chiesa di Sumy: cui prodest?

Missile sulla chiesa di Sumy: cui prodest?

Resistenza e Sobrietà di Alessandro Mariani Resistenza e Sobrietà

Resistenza e Sobrietà

La scuola sulla pelle dei precari di Marco Bonsanto La scuola sulla pelle dei precari

La scuola sulla pelle dei precari

Lavoro e vita di Giuseppe Giannini Lavoro e vita

Lavoro e vita

La Festa ai Lavoratori di Gilberto Trombetta La Festa ai Lavoratori

La Festa ai Lavoratori

Sirri Süreyya Önder, la scomparsa di un grande uomo di pace di Michelangelo Severgnini Sirri Süreyya Önder, la scomparsa di un grande uomo di pace

Sirri Süreyya Önder, la scomparsa di un grande uomo di pace

La California verso la secessione dagli Stati Uniti? di Paolo Arigotti La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

Le inutili spese militari globali di Michele Blanco Le inutili spese militari globali

Le inutili spese militari globali

Un sistema da salari da fame che va rovesciato di Giorgio Cremaschi Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti