Siria: il caso di un giornalista rapito pretesto per un disgelo tra Damasco e Washington?
Austin Tice, rapito nel 2012 in Siria, sarebbe ancora vivo. Sorprendentemente, l'inviato speciale degli Stati Uniti ha sollecitato Damasco ad aiutare a trovarlo. Una richiesta notevole dopo otto anni di guerra.
È questo il segnale - anche debole - di una volontà da parte di Washington, di organizzare una via d'uscita dalla crisi con Damasco? Riportato alla luce da Georges Malbrunot, giornalista del quotidiano francese 'Le Figaro', reporter e conoscitore della Siria e della guerra in atto dal 2011, per, il caso del giornalista Austin Tice, rapito nei pressi di Damasco potrebbe fornire un pretesto per un riavvicinamento, o almeno un'apertura un canale di comunicazione tra i due paesi.
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— Georges Malbrunot (@Malbrunot) 10 aprile 2019
La detenzione del giornalista, 31 anni, vicino a Damasco nell'agosto 2012 rimane sconosciuta, così come l'identità dei suoi rapitori, in un paese in guerra dove il governo siriano ha lottato a lungo per affermare la sua sovranità, anche nei sobborghi della capitale.
"Se volete relazioni migliori con gli Stati Uniti, non trattenete i nostri ostaggi."
Secondo un articolo del media canadese The National del 9 aprile, Robert O'Brien, inviato speciale degli Stati Uniti in materia di ostaggi, ha affermato che era sicuro che Austin Tice fosse ancora vivo. Ed ha teso la mano a Damasco: "Il presidente [Donald Trump] è stato molto chiaro: se volete migliori relazioni con gli Stati Uniti, allora non trattenete i nostri ostaggi, o aiutaci a trovarli, se sono dispersi nel vostro paese."
Dietro il tono un po' minaccioso dell'inviato americano, una tale affermazione è degna di nota, mentre l'intervento occidentale mirava a rovesciare Bashar al-Assad, Washington è sul punto di trarre conclusioni dal fallimento dell'intervento occidentale in Siria?