Turisti sì, residenti no: il dramma abitativo in Italia all'attenzione dell'ONU
Cosa resta dell'"abitare" nelle nostre città?
di Angela Fais per l'AntiDiplomatico
Eclatante, ma passata completamente sotto silenzio, l’accusa nei confronti dell’Italia da parte dell’Onu per aver commesso gravissime violazioni del diritto alla casa, ignorando le misure previste relativamente ai diritti economici, sociali e culturali con le quali l’Onu aveva chiesto la sospensione degli sfratti esecutivi nei confronti di persone e famiglie vulnerabili. Nel documento, datato febbraio ma reso pubblico solo da un paio di giorni, leggiamo “un j’accuse formale, un atto diplomatico rarissimo visto che il nostro è un Paese membro”. Così Massimo Pasquini, ex Segretario di Unione Inquilini, che ci racconta anche che in Italia contrariamente alle direttive si è proceduto anche nei confronti di famiglie con minori a carico. Famiglie che in seguito agli sfratti sono state “collocate” in centri di emergenza del tutto inadatti, ma anche nuclei familiari che vengono separati, con gravissime ripercussioni psicologiche. Fatti gravi ma purtroppo non rari. Oltre alle violazioni materiali l’Onu denuncia l’interferenza politica sul potere giudiziario relativamente a una circolare della Presidenza del Consiglio che invitava i giudici a non considerare vincolanti le misure dell’Onu. Tutto questo tratteggia il volto di un Paese che è molto solerte nel punire ma si “dimentica” del diritto alla casa.
A far le spese di queste politiche sono appunto i residenti meno abbienti, che insieme a un ceto medio sempre più povero, si ritrovano espulsi dai centri storici. I contratti per le locazioni brevi sono più convenienti per i proprietari rispetto a quelli classici. Si pensi che solo in Italia gli affitti brevi costituiscono un business da 11miliardi di euro l’anno gestito principalmente da colossi come ad es. Airbnb, che nonostante godano di trattamenti fiscali enormemente agevolati, nel tempo e' emerso che i conti con il fisco non li avessero del tutto in regola. Bisogna sfatare il mito che il turismo generi ricchezza. E’ semmai lo strumento deputato ad estrarla. La ricchezza in realtà è generata dalla città e dai suoi residenti. Ma da tempo si è smesso di guardare le città come luoghi dell’abitare, dove per abitare si intenda la convivenza tra diversi gruppi sociali che contribuiscono alla costruzione di una vita collettiva, valorizzando lo spazio pubblico e infondendo nuova vita alla sua storia.
Tutta la semantica che ruota attorno all’abitare ci parla di una sedimentazione che si stratifica nel corso del tempo. Dal latino habito, verbo frequentativo di habeo che tra i suoi significati oltre a 'possedere' e 'avere’ ha anche ‘essere’, ‘trovarsi’ e ‘stare’. Habitus è poi l’ aspetto esteriore, e figuratamente la ‘disposizione di animo’: dispongo di qualcosa che possiedo e con cui costruisco una abitudine. L’abitare è uno stratificarsi di abitudini che la quotidianità coltiva e rinsalda. Abitudini intessute e intrecciate nel tempo e magari a volte anche sovvertite ma composte in una trama che si tesse di generazione in generazione. Trama che il mordi e fuggi dell’ overtourism smantella e disintegra. Laddove la vita collettiva costituisce la prima forma di sicurezza per la città e i suoi abitanti, l’overtourism ne sbrindella il tessuto sociale, la storia e la vita stessa. E non si faccia l’errore di considerare la movida come espressione della vita della città. Essa è piuttosto solo un altro modo con cui estrarre ricchezza dallo spazio pubblico. In realtà a tenere in vita le città sono proprio i residenti che con esse hanno legami economici ed anche affettivi che si radicano nel tempo e, costituendo la vita collettiva, proteggono la città.
Se infatti la comunità valorizza lo spazio pubblico infondendo nuova vita alla città e alle sue mura, una socialità “short term” come quella delle presenze turistiche è semplicemente funzionale al mercato, secondo una logica puramente attrattiva che rende la città teatro e oggetto del suo stesso consumo.
Quando oltretutto il numero di turisti raggiunge quello degli abitanti il turismo non è più sostenibile, andando incontro a un impatto devastante. Innanzitutto per il commercio che si specializza su un target turistico; ma se manca l’equilibrio e la varietà delle funzioni della città il territorio muore. Quando la città diventa museo è già morta. Ecco perché bisogna promuovere la residenzialità attraverso politiche dell’abitare. La residenza temporanea porta a una depoliticizzazione della città. La Polis come centro della vita culturale e politica viene spogliata della sua dimensione comunitaria e depoliticizzata. Si delegittima la civitas a favore del mercato. Residenza temporanea è rinuncia alla vita collettiva della città, alla sua identità che si rischia di perdere in toto. Attraverso una trasformazione neoliberista della città, si assiste a una progressiva espulsione dei residenti, soppiantati da orde di turisti gestiti dal monopolio di grandi piattaforme che erodono lo spazio pubblico, comprando pezzi di città e recidendo ogni legame tra questa e i suoi abitanti, per scivolare verso una città sempre più autoritaria ed esclusiva.