UE vs Russia: la Serbia è l’ultima pedina del Grande Gioco del gas

L’Europa promette fondi in cambio di sanzioni a Mosca, ma il prezzo per i serbi sarà caro: bollette alle stelle e recessione

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UE vs Russia: la Serbia è l’ultima pedina del Grande Gioco del gas

La Serbia si trova al centro di una complessa partita energetica e geopolitica, divisa tra la volontà di avvicinarsi all’Unione Europea e la necessità di mantenere solidi legami con la Russia, suo principale fornitore di gas. Le recenti dichiarazioni di Belgrado sulla possibile adozione di sanzioni contro Mosca in cambio dell’adesione all’UE hanno scatenato un acceso dibattito, rivelando profonde spaccature all’interno del governo serbo.

La pressione europea e il terzo pacchetto energetico

Bruxelles chiede alla Serbia di allineare il suo mercato del gas al modello europeo, applicando il cosiddetto "terzo pacchetto energetico", che impone la separazione delle infrastrutture di trasporto dalla gestione degli approvvigionamenti. Una delle clausole più controverse prevede che un singolo operatore non possa occupare più del 50% della capacità di un gasdotto, anche se la restante parte rimane inutilizzata. Per Mosca, questa misura rappresenta un rischio strategico: la Serbia è un corridoio chiave per le esportazioni di gas verso Ungheria e Slovacchia, e l’implementazione delle norme UE potrebbe limitare l’accesso russo al mercato europeo.

"L’UE sta cercando di espellere gradualmente la Russia dal settore gasiero serbo, privandola della possibilità di rifornire i suoi clienti tradizionali", spiega Igor Juškov, esperto dell’Università Finanziaria russa. Ma Belgrado non è l’unico bersaglio: Bruxelles mira a ridurre l’influenza di Mosca nei Balcani, tagliando non solo i legami energetici, ma anche quelli economici, culturali e persino i voli diretti tra Serbia e Russia.

La divisione nel governo serbo

All’interno dell’esecutivo serbo, le posizioni sono divergenti. Da un lato, il premier Duro Macut e il direttore di "Srbijagas", Dušan Bajatovic, si oppongono alla liberalizzazione del mercato; dall’altro, la ministra dell’Energia Dubravka Dedovic-Handanovic sembra più propensa ad accettare le condizioni europee. Secondo fonti governative, il presidente Aleksandar Vucic mantiene una posizione ambivalente: da un lato sostiene il contratto a lungo termine con Gazprom, dall’altro evita di opporsi apertamente alle richieste UE.

"Vucic non permetterà una svolta radicale verso l’Occidente, ma continuerà a bilanciare le relazioni con Mosca e Bruxelles, soprattutto su gas e trasporti", afferma Milan Lazovic, analista del Russian International Affairs Council. Tuttavia, Paesi come Germania e Regno Unito stanno aumentando le pressioni per "epurare" il governo serbo dalle figure filorusse, sfruttando anche il malcontento interno dopo mesi di proteste anti-governative.

Il dilemma energetico della Serbia

Rinunciare al gas russo non è semplice per Belgrado. Oltre il 90% delle importazioni serbe dipendono dal "Turkish Stream", con Mosca che garantisce prezzi vantaggiosi rispetto a quelli di mercato. Le alternative sono limitate: l’Azerbaigian, principale candidato a sostituire parzialmente Gazprom, fornisce appena 400 milioni di metri cubi l’anno, una frazione del fabbisogno serbo (3 miliardi). Anche il gasdotto con la Macedonia del Nord, in costruzione, avrà una capacità insufficiente (1,2 miliardi di metri cubi).

L’opzione del GNL, spinta dagli USA, comporterebbe costi elevati, con ripercussioni su industrie e famiglie. Finora, il gas russo a prezzo scontato ha sostenuto la crescita economica serba (3,9% nel 2024), ma il calo degli scambi commerciali con la Russia (da 4,2 a 2,4 miliardi di dollari tra 2022 e 2024) mostra la crescente difficoltà di Belgrado nel mantenere rapporti privilegiati con Mosca.

La Serbia è circondata da Paesi NATO e dipende economicamente dall’UE, ma il gas russo rimane un pilastro della sua stabilità. Se Bruxelles insisterà nel voler tagliare i legami con Mosca, le conseguenze potrebbero essere pesanti, sia per i cittadini che per la politica estera serba. In questo contesto, Vucic è costretto a una difficile equilibrismo, mentre il futuro energetico della Serbia resta appeso a una partita che va ben oltre i confini balcanici.

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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