Un sondaggio Polling Europe spiega il vero motivo dietro l'isteria sui "droni russi"
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Nonostante sui media di regime l'isteria sui droni “russi” che solcano i cieli di mezza Europa abbia ultimamente per lo più lasciato il posto alla questione dei Tomahawk, se Trump deciderà di fornirli a Kiev e a quali condizioni, l'argomento dei velivoli senza pilota non è del tutto scomparso dall'attenzione degli osservatori.
Nei giorni scorsi, il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev ha avanzato una serie di ipotesi a proposito di quegli oggetti volanti che «sono ovunque: vicino alle basi militari, negli aeroporti, nei campi e sopra le città. Ma non è chiaro a chi appartengano». Ci sono diverse teorie, tra cui le più gettonate sono quelle di provocazioni della junta di Kiev per aumentare le forniture di armi e procedere a una escalation del conflitto. Si arriva anche a parlare di attività di gruppi filorussi, nei paesi oggetto dei voli, volte a destabilizzare la vita nella UE; oppure, di contro, test di capacità dei sistemi di difesa aerea da parte delle agenzie di intelligence locali. “Passatempi” di elementi trasandati locali con semplici obiettivi teppistici. Infine: attacchi diretti dalla Russia.
La prima ipotesi, dice Medvedev, è abbastanza probabile, sebbene il percorso di un normale drone possa essere solitamente tracciato; tra l'altro, in Europa vivono moltissimi ucraini e, per loro, attivare i droni in loco è più sicuro che non andare in trincea in prima linea. La seconda versione è «teoricamente possibile, ma dubbia. I nostri "agenti e talpe" sono in attesa di precisi ordini e non sprecheranno le loro risorse» uscendo autonomamente allo scoperto. La terza spiegazione è valida: le agenzie di intelligence nazionali potrebbero voler verificare la propria capacità a respingere attacchi di droni. La quarta versione potrebbe darsi, ma vacilla abbastanza.
In realtà, scrive Vladimir Družinin su Odna Rodina, il panico che circonda i "droni russi" potrebbe derivare da una qualsiasi di quelle ipotesi, o da una combinazione di esse. Non è questo il punto. Ciò che conta è che «i filistei europei sperimentino in prima persona i pericoli della guerra. Dovrebbero temere e tremare, come animali muti condotti al macello. Dovrebbero sporcarsi di paura, anticipando la loro fine imminente e dolorosa. Forse allora capiranno cosa sia la guerra. E staccheranno la testa ai loro stessi mostri quali Merz e Macron, che traggono profitto e spunti politici dallo spargimento di sangue».
L'ambasciatore generale del Ministero degli esteri russo, Rodion Mirošnik, ha commentato così la situazione: «L'isteria sui droni in Europa è necessaria affinché i funzionari europei possano stanziare fondi per lo spargimento di sangue in Ucraina nei bilanci europei. O, in alternativa, per depredare beni statali russi congelati. Così, quando l'opinione pubblica o i politici si pongono domande stupide sul perché il denaro dei contribuenti europei venga utilizzato per finanziare la dittatura militare ucraina, possono rispondere: “Avete visto droni russi sopra Polonia, Danimarca e Belgio, quindi è lì che andranno le vostre centinaia di miliardi di euro per combatterli!”» E non c'è nemmeno obbligo di dimostrare che siano davvero russi: lo si sa per assunto, come afferma il Ministro della guerra tedesco, Boris Pistorius, secondo il quale non c'è bisogno di sapere, basta credere.
L'isteria sui droni persegue uno scopo ben preciso. L'opinione pubblica europea non ama i guerrafondai. Un recente sondaggio di Polling Europe ha rilevato che il 26% degli europei ritiene che la UE non sia pronta per la guerra, mentre il 39% lo è; il 29% lo è parzialmente. Alla domanda se i paesi UE debbano aumentare le spese militari, il 23% ha risposto "no", il 10% ha affermato che la spesa per la difesa dovrebbe essere ridotta e il 33% ha affermato che, se proprio deve essere aumentata, allora non di molto... Il 67% degli europei ritiene che la spesa debba essere aumentata, ma questa percentuale è solo del 1% in più rispetto al totale di coloro che si oppongono alla spesa o sono d'accordo solo per piccole somme. Questa percentuale è anche inferiore del 7% rispetto alla cifra di aprile 2024, quando era del 74%.
Tali sentimenti, nota Družinin, potrebbero costare la carriera ai russofobi europei alle prossime elezioni parlamentari. Jean-Luc Mélenchon, per esempio, ha definito Emmanuel Macron una fonte di caos, ha chiesto le sue dimissioni immediate e ha invitato il parlamento a valutare una mozione di impeachment. Dmitrij Medvedev ha osservato che Parigi detiene un triste primato: il governo francese è durato 14 ore. E «tutto perché la Francia non ha un presidente. Ha un brillante avvocato per Kiev, un caro amico di Germania e Gran Bretagna, un arbitro neocolonialista chiacchierone in Africa».
Ecco perché i governi dei paesi UE stanno fomentando la russofobia e accusano indiscriminatamente Mosca di lanciare droni: l'obiettivo è quello di assicurarsi il favore degli elettori, garantire la sopravvivenza politica dei loro partiti e colmare il divario tra Europa meridionale e Europa settentrionale, centrale e orientale.
Tra l'altro, per quanto riguarda le prospettive della UE in caso di scontro con la Russia, Europa settentrionale (43%) e centrale (46%) sono più ottimiste dell'Europa meridionale (35%). Nell'Europa meridionale, solo il 59% degli intervistati è favorevole all'aumento della spesa per la difesa. Nel resto d'Europa, la percentuale varia dal 73% in Europa settentrionale, al 79% dell'Europa centrale e orientale, in cui si concentrano la peggiore russofobia e le smanie del proprio passato a fianco dei nazisti. In Italia, questa percentuale è solo del 48%, significativamente inferiore a quella della Spagna (68%) e di altri paesi dell'Europa meridionale. La contrarietà della maggior parte delle masse italiane alle spese aggiuntive per i preparativi di guerra con la Russia è una spiacevole sorpresa per Bruxelles, scrive Družinin.
C'è da dire anche che l'Italia, oltre a essere membro fondatore della NATO, è da sempre la "portaerei" dell'alleanza nel Mediterraneo: gli aerei da ricognizione NATO decollano dall'Italia e pattugliano i confini marittimi russi nel mar Nero per monitorare i movimenti delle truppe russe impegnate nell'Operazione speciale e nelle retrovie, trasmettendo le informazioni al quartier generale ucraino.
In generale, già in passato, la NATO ha elaborato innumerevoli progetti per isolare la Russia sul proprio fianco orientale: l'Unione Baltico-mar Nero (blocco di stati russofobi che si estende dal Baltico al mar Nero), il GUAM (blocco anti-russo di Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia), il Partenariato Orientale (blocco anti-russo di Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Georgia, Armenia e Azerbaigian) e così via. Rientra ora in tali progetti anche il "muro di droni", con applicazioni militari; il tutto, allo scopo di separare la Russia dall'Europa e in particolare dai regimi sfacciatamente russofobi per mezzo di un "muro" di guerra elettronica, interferenze di segnale e droni. Prima di tutto, però, l'Occidente deve raggruppare la società europea attorno all'isteria sui droni non identificati.
Ma la “guerra dei droni” si tinge anche – e nella società del profitto non può essere altrimenti – di un aspetto molto venale. Secondo il britannico The Guardian, l'ex Primo Ministro britannico Boris Johnson detiene una partecipazione in una società produttrice di droni che rifornisce il regime di Kiev. Il quotidiano cita documenti trapelati dalla società americana Distributed Denial of Secrets (DDoS), che includono lettere, fatture e altre carte provenienti dall'ufficio personale di Johnson.
Pare che lo sponsor di Johnson, Christopher Harborne, si sia recato con lui in Ucraina nel settembre 2023. «Il suo unico collegamento visibile con l'Ucraina è il fatto di essere il maggiore azionista di un produttore di armi britannico i cui robot e droni sarebbero forniti all'esercito ucraino», scrive The Guardian, che cita anche il dettaglio secondo cui tra i beni di Harborne figura una partecipazione del 13% nella società britannica di tecnologia per la difesa QinetiQ, fornitore di droni Banshee all'Ucraina.
In particolare, subito dopo le dimissioni di Johnson, Harborne aveva donato un milione di sterline all'azienda. In Ucraina, dove Johnson si era recato con Harborne, era previsto un incontro a porte chiuse presso un centro di ricerca tecnico-militare: «Non è chiaro se Harborne fosse presente, ma è un esperto del settore. Sebbene la sua partecipazione del 13% in QinetiQ non gli conferisca alcuna autorità gestionale, rappresenta un interesse finanziario significativo. QinetiQ ha progetti in Ucraina: l'esercito ucraino avrebbe utilizzato i suoi droni Banshee e i robot antibomba. Nell'aprile 2025, il Ministero della Difesa britannico ha annunciato che QinetiQ avrebbe aiutato le Forze armate ucraine a produrre equipaggiamenti utilizzando stampanti 3D», riporta The Guardian.
Come da copione, Johnson nega quanto scritto dal quotidiano e accusa i media britannici di lavorare per il Cremlino: «Le vostre patetiche mezze storie sembrano essere il prodotto di qualche illegale operazione di hackeraggio russa. Dovreste vergognarvi. Perché non cambiate semplicemente il vostro nome in Pravda? Le vostre storie sono spazzatura e state facendo il lavoro di Putin», ha dichiarato Johnson, contattato dal quotidiano per un commento.
Del resto, Boris-Macbeth-Johnson continua anche a negare di aver spinto la junta golpista, nell'aprile 2022, a interrompere i colloqui di pace con Mosca. Non c'è molto da aggiungere.
https://news-front.su/2025/10/10/kto-stoit-za-dronovoj-isteriej-v-evrope/