Una piazza oceanica a Tripoli contro le Nazioni Unite
di Michelangelo Severgnini
Ieri, per il terzo venerdì consecutivo, le strade di Tripoli sono state invase da una marea pacifica di cittadini decisi a cambiare il corso degli eventi in Libia.
La Tripolitania è in mobilitazione permanente, da quando, l’uccisione di Abdul Ghani Al-Kikli, lo scorso 12 maggio, numero 3 delle milizie, anziché fare ordine (secondo i piani del premier Dabaiba e dei suoi suggeritori americani), ha mandato in frantumi il già precario equilibrio tra milizie.
Gli scontri che sono seguiti hanno fatto saltare il tappo e ora l’intera regione è in piazza, decida una volta e per sempre a metter fine, non solo al suo governo illegale e criminale, ma anche all’era delle milizie, attraverso immediate elezioni.
La Casa dei Rappresentanti, il parlamento libico, di stanza a Bengasi, sta vagliando alcuni candidati perché possano formare un governo unificato che possa traghettare in tempi brevi il Paese a nuove elezioni.
Va tuttavia ricordato che la mancanza di elezioni (ufficialmente sospese dal dicembre 2021) è causata dal timore più che fondato della comunità internazionale che Saif Gheddafi le vinca e diventi così il prossimo presidente libico.
Ad opporsi, nemmeno tanto velatamente, è tutto quell’apparato diplomatico presente sul campo che risponde all’UNSMIL, la missione dell’ONU in Libia, guidato in questo momento dall’inviato Hanna Tetteh
Ed infatti, dopo aver preso di mira il premier Dabaiba e le milizie, nel comunicato rilasciato ieri dal Movimento Popolare per il Cambiamento, sorta di movimento spontaneo creatosi in queste settimane di mobilitazione, nel mirino ci sono niente meno che le Nazioni Unite, la cui missione in Libia da anni è sottoposta al controllo statunitense e anziché svolgere un ruolo di garanzia sta letteralmente impedendo la democrazia in Libia.
Nel frattempo il generale Haftar ha celebrato a Bengasi la scorsa settimana l’11° anniversario dell’Operazione Dignità, quella che servì per liberare la Cirenaica da Isis e milizie.
A suo sostegno gli stati maggiori dell’esercito russo, bielorusso, egiziano e turco.
La dichiarazione:
- Chiediamo la caduta dell'attuale governo e la formazione di uno nuovo che si impegni alla trasparenza e che fissi un calendario elettorale come una delle sue prime decisioni e priorità.
- Saremo alla ricerca di qualsiasi governo che non si basi sulla base popolare e non rispetti le richieste del popolo.
- Non seguiamo nessuno e crediamo solo in uno Stato civile, e sottolineiamo la nostra richiesta di caduta del governo Debiba perché costituisce un sistema di corruzione.
- Riteniamo che la missione delle Nazioni Unite sia responsabile di fronte alla comunità internazionale per la vita dei manifestanti pacifici e chiediamo che faccia pressione sul governo affinché soddisfi le richieste del popolo e se ne vada pacificamente.
- Chiediamo che i corrotti siano ritenuti responsabili e consegnati alla giustizia, che i diritti umani siano protetti e che sia garantita la sicurezza dei manifestanti nelle piazze.
- Non indietreggeremo dalle nostre richieste finché non saranno realizzate e continueremo la nostra lotta pacifica finché la corruzione non cadrà e la giustizia non sarà raggiunta.
- Il sistema di corruzione e normalizzazione ha causato lotte interne e discordie tra il popolo libico, soprattutto nella regione occidentale.
- Il governo Dbeibeh ha fatto precipitare Tripoli in uno spargimento di sangue senza precedenti, nel caos e nella demagogia che ha portato alla violazione della sacralità dei cittadini, al furto e al saccheggio delle loro proprietà e delle istituzioni statali come la Banca centrale libica e l'Ente petrolifero.
- Riteniamo la Missione delle Nazioni Unite responsabile di fronte alla comunità internazionale di tutto ciò che sta accadendo con questo governo e chiediamo che faccia pressione su di esso per attuare le richieste del popolo.
- Chiediamo il ripristino delle istituzioni statali saccheggiate e la garanzia della loro indipendenza, e continueremo la nostra lotta pacifica fino alla caduta della corruzione.