Verso l’ucrainizzazione dell’Unione Europea, la “democrazia di guerra”
Mentre in Italia sembra non si possa più parlare non solo di russofobia, russofilia e verità, ma nemmeno di democrazia, com’è stato dimostrato dal secondo pesante episodio di censura subito in meno di un mese da parte di Angelo d’Orsi e stavolta con lui un parterre de roi che includeva altri 17 professori, studiosi, ambasciatori e giornalisti di fama internazionale; curiosamente si torna a parlare di “democrazia” proprio in Ucraina.
Uso le virgolette perché parlare di democrazia in Ucraina è evidentemente un ossimoro. A farlo è stato Donald Trump che sta disperatamente cercando di spingere un accordo di pace includendo, come impone la diplomazia nonché il buonsenso, anche le ragioni dei russi in quanto parte in causa dello scontro. Per fare questo accordo ha ovviamente bisogno di un rappresentante del popolo ucraino legittimo, cosa che attualmente Zelensky non è più. I termini del suo mandato sono infatti scaduti il 20 maggio 2024 e prorogati da lui stesso ad libitum.
Questa sospensione delle elezioni, che sono solo una parte di ciò che richiede una democrazia minimamente compiuta, è consentita dalla Costituzione dell’Ucraina che prevede l’istituzione della legge marziale e una sospensione di ogni tipo di consultazione politica in caso venga dichiarato lo Stato di Guerra. Zelensky ha per l’appunto approfittato di questa base dell’ordinamento ucraino per estendere il più possibile il suo mandato, nonostante il suo disconoscimento da parte della stessa Rada sia arrivato già la scorso Febbraio (vedi qui: https://www.farodiroma.it/il-parlamento-ucraino-ha-bocciato-qualunque-proroga-della-presidenza-zelensky-ma-lue-non-se-ne-e-accorta-vladimir-volcic/).
Insomma, Zelensky sarebbe politicamente fuori dai giochi, ma è il leader su cui le élite europoidi hanno puntato tutto eleggendolo a vero e proprio eroe della resistenza europea contro l’invasore russo, basti vedere l’ennesimo suo tour per le cancellerie europee. Un tale impegno ed una tale esposizione da parte dei principali premier dell’UE, della Commissione Europea, della NATO, nonché del Vaticano (sic!) hanno reso problematica la gestione all’interno dell’Occidente del caso Zelensky.
Così ora anche la sua sostituzione, che sarebbe probabilmente avvenuta un minuto dopo Anchorage, diventa più difficile.
Qualsiasi ipotesi di accordo con la Russia al momento discende da quest’alternanza al potere in Ucraina. E forte del sostegno ricevuto Zelensky proprio ieri ha accettato la sfida di Trump e Putin con uno dei suoi annunci televisivi a cui ci ha abituato, con tanto di sfondo cartonato: “sono sempre pronto alle elezioni” ha annunciato in risposta al Presidente americano, incalzandolo e provocandolo con un “siamo pronti ad allestire le urne nei prossimi 60 o 90 giorni, se i nostri alleati potranno garantire la sicurezza per lo svolgimento del voto”.
Ecco che come già accaduto in passato in Iraq, ad esempio, l’imperialismo riporta le elezioni come simbolo al centro del fronte di guerra, giustificando l’intervento militare diretto dall’esterno come garanzia “democratica”. Ebbene, occorrono due puntualizzazioni perché qui si sta scivolando lungo un crinale pericoloso, spinti direttamente dall’imperialismo dell’Unione Europea che sta facendo da ventriloquo al pupazzo Zelensky. Il gioco è chiaro: Zelensky accetta la sfida delle elezioni, ma richiede l’intervento militare esterno boots on the ground.
D’altra parte, una tale mossa gli permette di smarcarsi anche dall’accusa di autoritarismo: l’Ucraina ha sospeso le elezioni solamente per motivi di sicurezza interna che non era più in grado di mantenere, impegnando tutte le sue risorse militari al fronte. Dunque, voi volete le elezioni? Benissimo, venite a garantirci la sicurezza con i vostri eserciti.
Occorre tenere presente che cascare in una simile trappola orchestrata dall’UE significa dare il via all’escalation sul fronte orientale che porta dritti all’allargamento del conflitto. L’impeccabile portavoce del Ministro degli Esteri Maria Zakharova ha immediatamente replicato all’ipotesi definendolo un “teatro delle marionette” in cui con un livello di cinismo completamente nuovo “si pretende che altri stati garantiscano lo svolgimento delle elezioni sul proprio territorio, senza dichiarare la perdita della propria indipendenza e sovranità” (vedi qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/12/10/mosca-promessa-di-zelensky-di-tenere-elezioni-e-come-un-teatro-delle-marionette_86e79d76-2893-4965-8403-5239c874556d.html).
Per evitare un rischio simile bisognerebbe gettare un po’ più di luce su quello che è l’Ucraina oggi. Si tratta infatti di un regime autoritario nazista, il cui ultimo e non esclusivo rappresentante è Zelensky e che non verrebbe di certo denazificato da una semplice elezione che probabilmente porterebbe direttamente un militare al potere: faccio notare che gli unici altri due contendenti papabili sono due militari, rispettivamente il generale Zaluzhny e il tenente colonnello Budanov. Gli ultimi sondaggi danno l’attuale ambasciatore ucraino a Londra come avvantaggiato in un eventuale confronto elettorale e questo nonostante stia emergendo la sua implicazione nell’attentato al North Stream. La riprova che si sta parlando di un regime nazista è tutta qui: il confronto attualmente è tra Zelensky, il suo ex Comandante in Capo delle Forze Armate mandato a fare l’Ambasciatore a Londra dopo che gli è stata addossata la responsabilità del cattivo andamento del conflitto e il capo dei servizi segreti ucraini.
Difficile chiamare una democrazia compiuta un regime politico che va al confronto elettorale proponendo come alternative politiche dei capi dei vari dipartimenti militari. In Ucraina attualmente non ci sono altri rappresentanti politici in grado di affermarsi, e questo semplicemente perché lo spettro politico democratico è stato silenziato da una repressione radicale e capillare installata immediatamente dopo l’Euromaidan con la prima Presidenza del nuovo corso dittatoriale di Petro Poroshenko. Se la Costituzione ucraina del 1996 ha cancellato le ideologie novecentesche dell’epoca sovietica (in cui esisteva il multipartitismo), il Golpe di Euromaidan ha istituito l’unica ideologia atlantico-europeista con la forza militare.
Il V Presidente dell’Ucraina è stato colui che ha fomentato Euromaidan, sdoganando le organizzazioni paramilitari che hanno iniziato le loro scorribande in tutto il Paese, legalizzandole sino a farle entrare nella Rada come è stato con Pravyj Sektor e Svoboda. Sempre al predecessore di Zelensky è attribuibile la messa fuorilegge del Partito Comunista dell’Ucraina costretto ad operare in clandestinità da ormai 10 lunghi anni, con molti suoi rappresentanti uccisi (il diciassettenne Vadim Papura) o incarcerati (i fratelli Kononovich), oltre ad una serie di altri crimini dovuti allo sdoganamento delle bande criminali in tutto il Paese (strage di Odessa alla Casa dei Sindacati).
Lo stesso ordinamento costituzionale dell’Ucraina è stato completamente stravolto da una riforma portata avanti da Poroshenko che aveva in parlamento le stesse forze neonaziste che hanno approvato il “nuovo corso strategico” dello Stato che prevede “l’adesione all’Unione Europea e alla NATO” come punti insopprimibili della politica ucraina negli anni a venire, indipendentemente dall’alternarsi delle forze politiche al Governo. I danni del Golpe neonazista di Euromaidan si sono istituzionalizzati e sono stati inseriti nell’ordinamento statale ucraino. Difficile pensare che basterà dare una sciacquata alla faccia del regime per renderlo credibile. Anzi, si potrebbe dire l’esatto opposto, cioè che la complicità europea con un simile regime probabilmente non passerà inosservata nei prossimi anni.
Così come dalle indagini della Procura tedesca sta emergendo che la mente dell’attentato al North Stream è nientemeno che l’attuale ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito Zaluzhny, allargando le fonti della corruzione in Ucraina si intravedono già i fondi europei destinati ai Paesi terzi, soprattutto in ambito energetico. Tralasciamo poi, per carità, tutto quanto potrebbe emergere dal mercato delle armi che farebbero risultare lo scandalo Lockheed Martin degli anni Settanta un giochino per bambini (si vedano in merito le inchieste del criminologo Vincenzo Musacchio per la Rai).
Di certo, anche politicamente la piega dell’Unione Europea sembra seguire quella dell’Ucraina. La risoluzione del Parlamento europeo che nel Settembre 2019 ha equiparato il comunismo al nazismo è di fatto servita a lanciare la più grande ondata di anticomunismo in Europa dal 1925 ad oggi, portando al momento a mettere fuorilegge il Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM) e il Partito Comunista Polacco oltreché alla chiusura dei conti del comitato esecutivo del Partito Comunista Tedesco (DKP) che lascia presagire una sua prossima chiusura. Il debanking è una misura repressiva che ha già colpito in Italia i conti di Visione TV, mettendola in serie difficoltà in seguito alle solite segnalazioni. Insomma, il potere politico europeista sull’onda della russofobia dilagante è letteralmente a caccia di dissidenti e, come accaduto storicamente, parte dai partiti comunisti forte di una legislazione che ha dato la stura alla loro repressione, ma che ovviamente non colpisce i partiti nazisti perché funzionali alla chiusura repressiva e militarista, riproponendo così pedissequamente lo schema ucraino anche in Europa.
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UNO SGUARDO DAL FRONTE
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

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