Accusati di spionaggio per conto della Cina: caso archiviato nel Regno Unito
Scontro a Whitehall sul "caso Cash", la Procura archivia le accuse di spionaggio per insufficienza di prove. L'opposizione attacca, a Downing Street negano qualsiasi ingerenza.
Un acceso scontro politico-istituzionale ha travolto il governo britannico dopo l'archiviazione, a fine settembre, del caso di presunto spionaggio a favore della Cina che coinvolgeva due cittadini britannici. La decisione della Crown Prosecution Service (CPS) di ritirare tutte le accuse ha suscitato sconcerto nei ranghi governativi e feroci critiche dell'opposizione, in un clima di crescente tensione politica e diplomatica con Pechino.
Le accuse e l'archiviazione
I due imputati, Christopher Cash, 30 anni, ex assistente parlamentare, e Christopher Berry, 33 anni, insegnante dell'Oxfordshire, erano accusati di aver violato l'Official Secrets Act del 1911. Secondo l'accusa, tra il dicembre 2021 e il febbraio 2023, avrebbero raccolto e trasmesso alla Cina informazioni "pregiudizievoli per la sicurezza e gli interessi dello Stato". Entrambi avevano sempre respinto fermamente ogni accusa, professandosi sempre innocenti.
Dopo oltre un anno di indagini, la CPS ha annunciato il ritiro totale delle accuse, affermando che "le prove non soddisfacevano più la soglia probatoria necessaria per procedere a processo". Il processo, che sarebbe dovuto iniziare questo mese, è stato quindi cancellato.
Infuria la bufera politica
La decisione dei pubblici ministeri ha innescato reazioni indignate. Un portavoce del Ministero dell'Interno ha definito "deludente" la mancata celebrazione del processo, assicurando che il governo "continuerà a utilizzare tutti gli strumenti e i poteri a disposizione per contrastare attività malevole".Anche Downing Street ha espresso "estrema preoccupazione". "È decisamente deludente che questi individui non affrontino il processo. Qualsiasi tentativo da parte di una potenza straniera di infiltrarsi nel nostro Parlamento o nella nostra democrazia è inaccettabile", ha dichiarato il portavoce del primo ministro laburista Keir Starmer.
La Cina per i britannici: "nemico" o "sfida"?
Secondo ricostruzioni dei media britannici, tra cui il Sunday Times e il Telegraph, il collasso del processo sarebbe avvenuto, in parte, a causa del sopravvento del rifiuto istituzionale di definire la Cina uno stato "nemico" nella testimonianza di un funzionario della sicurezza. L'Official Secrets Act richiede infatti che le informazioni trasmesse siano "utili a un nemico".Il Financial Times in merito ha riferito che “alti funzionari del Regno Unito “ da loro interpellati avrebbero dichiarato “che la decisione presa il mese scorso dai procuratori di archiviare il cosiddetto caso di spionaggio cinese è arrivata dopo un'enorme disputa che ha visto contrapposti i consiglieri per la sicurezza internazionale di Starmer e il Foreign, Commonwealth and Development Office (FCDO) e il Ministero degli Interni, quest'ultimo desideroso di portare avanti il ??caso”. Secondo altre fonti giornalistiche britanniche, Jonathan Powell, consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro, avrebbe presieduto una riunione a Whitehall dichiarando che le prove del governo si sarebbero basate sulla Strategia per la sicurezza nazionale, documento che non classifica la Cina come "nemico", bensì come una "sfida geostrategica". Questa posizione avrebbe creato attriti con il Ministero degli Interni e il Ministero degli Esteri, più intenzionati a portare avanti il caso.
Smentite da Downing Street
Le notizie diffuse precedentemente menzionate, hanno spinto Downing Street a dare una netta smentita riguardo a qualsiasi ipotesi di ingerenza politica. "Nessun governo, ministro o membro del governo ha avuto alcun ruolo in questo processo decisionale", ha affermato un portavoce, specificando in seguito che ciò includeva anche i funzionari.La vicenda rimette così sotto i riflettori la delicatissima e sempre tesa relazione del Regno Unito con Pechino, divisa tra esigenze di sicurezza nazionale e rapporti economici e diplomatici, in un caso che lascia sul campo più domande politiche che risposte giudiziarie.