Bosnia. L'angelo dimenticato: Slobodan Stojanovic

Una storia raccapricciante della guerra bosniaca.

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Bosnia. L'angelo dimenticato: Slobodan Stojanovic

 

A cura di Enrico Vigna, 11 agosto 2025

  

Terminato il martellamento mediatico occidentale intorno agli accadimenti di Srebrenica, intendo documentare e testimoniare, per memoria, giustizia e verità storiche, uno delle migliaia di accadimenti in quelle terre, che hanno lastricato la vita dei popoli lì residenti, portandoli in un abisso di tragedie. Qui, la storia inumana, ma non unica, di uno delle migliaia di bambini  e ragazzi, di cui “ il mondo occidentale non si è mai curato e amato”, ignorando il loro dolore, colpevoli di essere…serbi.

Il suo nome era Slobodan Stojanovic. Aveva solo undici anni quando, una notte del giugno 1992, fu svegliato dal vocio dei suoi genitori, che gli fecero segno con le mani che era ora di andare, lui capì subito che doveva scappare per sfuggire alla morte. Il male dilagante e assetato di sangue arrivò anche lì con le solite configurazioni di brutalità e violenze dispiegate e crescenti.

Il detto che una guerra civile risveglia nelle persone solo il peggio, può essere applicato al meglio alla guerra civile nella ex Jugoslavia, dove i bambini non sono stati risparmiati.

Quando viene menzionato il nome del ragazzo di undici anni Slobodan Stojanovic del villaggio di Donja Kamenica, le lacrime iniziano a venire alla luce da sole, date le sue sofferenze.

Slobodan fu ucciso solo per il suo nome e cognome e perché, in quella calda notte di luglio all'inizio della guerra civile bosniaca, tornò al villaggio per il suo cane che amava immensamente. Slobodan cadde poi nelle mani del Comando di Divisione delle Unità Congiunte dell’Armata Bosniaca musulmana, che a Srebrenica erano comandante dal famigerato Naser Oric, che aveva tra le sue fila, la fanatica  Elefeta Veseli, poi condannata a tredici anni per aver seviziato e ucciso Slobodan.

Oggi, Slobodan avrebbe una sua famiglia, dei figli e un suo lavoro, una sua vita. Invece, persone che vivono per l’odio gli hanno negato ogni diritto alla vita.

La mattina prima, molti altri abitanti del villaggio serbo nella regione, erano già dovuti scappare.

Era già mattina quando Slobodan raggiunse un rifugio sicuro con la sua famiglia, poi,improvvisamente, si rese conto che non aveva preso con sè il suo adorato cane Lesi, il suo fedele compagno a quattro zampe era rimasto incatenato nel cortile di casa. Pensò di aver dimenticato qualcuno che non lo avrebbe mai tradito.

Il giorno dopo, appena sveglio, il ragazzo corse indietro al villaggio, alla sua casa abbandonata, per portare via il suo cane Lesi, niente e nessuno poteva fermarlo. Invece corse verso la sua fine, finì nelle mani di coloro che stavano uccidendo e distruggendo i villaggi serbi a Donja Kamenica in quel momento. L’amore e la devozione del piccolo Slobodan al suo cane, erano stati più forti della paura per la propria vita, ma queste nobili virtù e questi valori, per il fatto che egli fosse serbo, gli costò la vita prima che essa fosse realmente iniziata. Al giovedì, i genitori di Slobodan andarono a implorare i loro ex vicini musulmani, chiedendo di restituire loro il loro bambino. Ma fu tutto inutile.

Questa triste storia ebbe il suo inizio nel maggio 1992, quando i villaggi serbi della zona, furono attaccati dal cosiddetto Esercito musulmano, comandato dal criminale di guerra Naser Oric, il quale combatteva applicando  il principio della terra bruciata, dove non solo gli esseri umani, ma anche gli animali venivano uccisi. Fu poi indagato di sfuggita al Tribunale dell’Aja con una condanna a due anni. L’accusa era, per fatti compiuti prima della caduta di Srebrenica città, di crimini commessi da lui, in quanto comandante della Difesa territoriale bosniaco musulmana di Srebrenica e di bande islamiste criminali per: distruzione e saccheggio di città e villaggi nella zona; saccheggio e rapine di proprietà pubbliche e di civili; omicidi, torture, trattamenti crudeli verso la popolazione e forze nemiche; persecuzioni e brutalità di comunità su base etnica, anche della propria etnia, non accomunate alle politiche criminali. Ma ora è un rispettabile uomo d’affari ed eroe di guerra nella Sarajevo “democratizzata”.

Poi nell’aprile 2021, dagli archivi dei Servizi segreti musulmani è stato confermato che Naser Oric è un criminale di guerra, colpevole di omicidi compiuti direttamente o ordinati, di gestione della prostituzione e contrabbando di aiuti umanitari. Nei dispacci, era indicato come A-101 e dichiarava di aver rubato 28 kg di oro da una fabbrica a Srebrenica e di aver rivenduto cibo al mercato nero, mentre la gente moriva di fame.

Una delle miliziane agli ordini di Oric era l’albanese kosovara Elfeta Veseli, una radicalizzata islamista, che militava in una banda che era composta non solo da combattenti musulmani provenienti dai Balcani, ma rafforzata da jihadisti di tutto il mondo. Quelle stesse unità che ripulirono etnicamente i quattordici villaggi intorno a Srebrenica, con l’assassinio di oltre tremila serbi, prima che poi le forze serbo bosniache presero la città, occupata dalle bande islamiste.

Elfeta Veseli ha commesso uno dei crimini di guerra più mostruosi avvenuti durante la guerra in Bosnia: l'uccisione e la tortura intenzionale e brutale di un bambino di 12 anni (non combattente, non prigioniero di guerra) per puro odio religioso e nazionale.

Secondo il rapporto del medico legale redatto in seguito al processo, al ragazzo mancava una parte del cuoio capelluto, un orecchio, un lungo taglio sulla gola, le mani tagliate, aveva un foro bruciato di proiettile sul cranio (che indica che la canna da cui era partito il colpo era vicina alla testa), mancavano sei denti e la parte addominale era stata tagliata e svuotata a forma di croce cristiana. Il medico legale, dott. Z. Stankovi?, nelle sue conclusioni, ha affermato che il ragazzo ha sofferto terribilmente fino agli ultimi istanti in cui ha potuto respirare. Nel 1995, dopo la fine della guerra in Bosnia, fuggì dal fratello in Svizzera e si nascose, aspettandosi di essere processata per questo e altri crimini di guerra commessi. Il pubblico ministero bosniaco la incriminò nel 2015, quindi fu estradata in Bosnia nel 2017 e condannata a 10 anni di carcere per l'omicidio del giovane Slobodan.

La Veseli proveniva dallo stesso villaggio dell’undicenne. Conosceva Slobodan, all’epoca aveva 32 anni e ha sfogato un istinto morboso e invasato, di torturare con ritualità quel suo vicino di 11 anni per soddisfare il suo odio e mettersi così in mostra davanti agli jihadisti locali.

Elfeta fu arrestata in Svizzera a 25 anni dal crimine. La Corte d'Appello della della BiH ha aumentato la pena detentiva di Elfeta Veseli da 10 a 13 anni. Il processo a Elfeta, in particolare nel 2017, è stato inquietante quando il testimone protetto ha testimoniato tramite collegamento video: "…Lei l'ha ucciso, poi colpito ancora…Cosa faremo adesso ho pensato. Gli altri tacevano, perché a nessuno era permesso di dire nulla a Naser (Oric). Egli adorava Elfeta per i suoi meriti e la sua ferocia  in guerra…Sulla scena del crimine, oltre a Oric, c’erano S. Halilovic Kibe e Z. Tursunovic...”. Il testimone ha dichiarato che il ragazzo aveva tra i 10 e i 15 anni:”… apparve su una bicicletta dalla direzione di Glosan. Il ragazzo era a 10-15 metri da Oric e Kibe. Elfetta Vesely si avvicinò a lui e gli afferrò la testa…disse che gli avrebbe fatto la ‘festa’ , al che Oric ha risposto che ‘non aveva i c... per questo’. Da circa otto metri di distanza, ho visto Elfeta tenere il bambino per la testa, prendere un coltello e dicendo: ‘Se sono una commediante, gettatemi nel cestino’, dopo di che gli tirò una coltellata sotto il mento. C'era del sangue tutto intorno, girai la testa e udii uno schizzo, come se stesse per dire qualcosa. Lei lo ha spinto via. Quando è caduto, ha dato ancora segni di vita, poi qualcuno ha detto  ‘adesso è fatto’…poi se n'e' andata e ha lanciato la camicia insanguinata ed è andata a lavarsi le mani. Nessuno si aspettava che lo facesse. Nessuno l’ha punita per questo, né Oric né Kibe…”, ha testimoniato "S-1".

 

 

Il piccolo corpo fu trovato in una fossa nella frazione di Bajrici a Novi Selo vicino a Zvornik, e il DNA identificato dalle analisi. Il corpo è stato trovato da un patologo, avvolto in una vecchia tuta blu operaia insieme a diversi altri serbi uccisi. Il cranio era separato dal corpo e c'era un buco su di esso. Il corpo era nella fase di decomposizione, ma visibilmente sfigurato e sfregiato, ha descritto la sorella Sladjana, che era allora studentessa dell’ottava elementare. Questo efferato omicidio scosse tutti i Balcani e non è dimenticato nemmeno oggi. Il volto di Slobodan è conosciuto dalla maggior parte dei serbi. Questa storia ha toccato molti, soprattutto perché era un ragazzo che voleva solo salvare il suo cane, ma tutto è finito tragicamente.

Questo è  un poema popolare dedicato al giovane Slobodan, che, con la sua umanità, l’amore per il suo cane Lesi, il suo coraggio, il suo amore naturale, ha dimostrato di essere immensamente più grande di coloro che l’hanno seviziato. Per la gente del posto questo gli ha assicurato un posto in cielo, come martire del suo paese e del suo popolo, quasi in continuità con le concezioni di Platone, il quale riteneva che gli animali nel cosmo e nella vita degli esseri umani hanno un ruolo e un legame, suggerendo una connessione stretta tra di essi. E il piccolo Stojanovic, con la sua vita  e il suo gesto, inconsciamente ha quasi offerto una dimostrazione di questo pensiero.

 

“…So che non avevi paura quando Naser Oric ti ha afferrato i capelli e ti ha gettato a terra, e Elfeta Vesely ha baciato il coltello e...Ma non ti ha fatto male mentre ti tagliava le mani, perché un angelo ha le ali. Non temevi la fine, la morte in quel giorno maledetto era troppo occupata, c'era una lunga attesa nei villaggi serbi attorno a Srebrenica...Non eri preoccupato, aspettavi con calma e obbediente. Dopo tutto, i piccoli contadini avevano imparato che dovevano aspettare in silenzio mentre i grandi facevano il loro lavoro.

Aveva solo 11 anni, e “zio” Naser e “tata” Elfeta la sua vicina, che era ancora nella casa, accanto alla sua, non ha accoltellato uno straniero, ma uno della famiglia Stojanovic, che ogni giorno dal cancello, così tante volte la salutava. Quando hai visto il coltello tra le mani di ‘zia’ Elfet, non hai avuto paura…Poi hai pianto, ma era lei… la tua paura. L’hai chiamata, hai pensato che forse lei non ti aveva riconosciuto…perché eri tutto insanguinato, senza le mani. Forse hai provato ancora a chiamarla, forse mentre ti tagliava le dita dei piedi… Non è un lavoro da poco tagliarli a un bambino! Prende il coltello ma trema, lei ha paura, ma lei è arrabbiata con lui, non vedeva più in lui l'obbediente figlio dei vicini che così tante volte era corso al cancello per salutarla… Forse poi ha pensato. quante sono le gambe di un angelo? Ha le ali, forse con esse torna da suo padre,sua  madre e sua sorella in fuga, da cui è scappato per togliere la catena dal cucciolo e portarlo nella foresta?!...Se non fosse per quei dannati occhi azzurri, sarebbe tutto più facile, sarebbe più veloce, ma il blu non può essere strappato solo con un coltello e quando quegli occhi scivolano nei tuoi occhi, restano poi nella polvere e nel sangue…

Calmati, Slobodan, angelo, aspetta ancora un pò, ora Elfeta…forse ora il coltello è un po’ stanco, non è facile per lei dopo tutto... Non preoccuparti, caro, mamma e papà sanno dove sei, non sei in ritardo da nessuna parte, anche se non sei mai stato fuori casa fino a ore così piccole, ma non importa, sei nel cortile del quartiere...Slobo,, Slobo, angelo... Chiudi gli occhi e fingi di essere morto finche' non se ne vanno, ti spareranno in testa, ma non fa male, come ora…Tu sei un angelo, perdonali, che è la cosa che li spaventa di più…Ecco, visto, niente! Solo la pallottola ha volato attraverso la testa ed è finita!...Ora sarà buio in quella fossa, ma tu sei un angelo, non dimenticartelo, non lo dimenticheranno finchè saranno vivi…che gli angeli sono liberi!

Vivranno con il tuo nome e la tua dannazione!...Tante volte il padre è venuto a cercarti e tanti anni sono passati fino a quando non hanno trovato la fossa in cui ti eri nascosto!...Li hai spaventati tutti, pensavano che ti fosse successo qualcosa, e tu dalle nuvole lassù li guardavi. Tuo padre ti conosceva, sì! Non era arrabbiato perché non avevi braccia, gambe, petto o...Sapeva che eri un angelo…Perché il cielo è così azzurro oggi, se non è per i tuoi occhi? Vedi, sei ancora qui! Che tipo di angelo sei cresciuto, cosa darebbero ‘zia’ Elfeta e ‘zio’ Naser per vederti?! Li vedi?! Continuano a vivere con il tuo nome e la tua dannazione!

…Tu, purtroppo, vivi l'oblio, e non ti ricordi la Serbia, ma sappiamo che ci perdoni, perché sei un angelo, per cosa siamo noi, con il tumulto che ha paura del ricordo di te, tanto quanto Elfeta stessa aveva dei tuoi occhi?! Forza, sbrigati, e poi c’è un altro angelo che ti aspetta sulla terza nuvola, vai, non è la ‘zia’ Elfeta per tagliarti le dita, ma è un anima pura come la tua.

Corri, angelo, ci sono un padre e una madre che ti amano, vedi che non sono arrabbiati...

Non preoccuparti per noi, ti dimenticheremo di nuovo…sono così gli adulti, capirai quando... o forse no, non puoi capire noi, tu sei un angelo puro…”.         Mihailo Medenica

Nella sua sessione di maggio, il Consiglio episcopale della Chiesa ortodossa serba ha deciso di canonizzare come nuovo martire Slobodan, e il 27 luglio, la sua glorificazione è stata celebrata per la prima volta nel villaggio bosniaco di Drinjana, vicino a dove viveva la famiglia del ragazzo. Mentre a Kamenica è in costruzione un monumento come memoria degli orrori della guerra.

 

 

Con questa documentazione di inverosimile brutalità e ferocia, intendo testimoniare e riaffermare, attraverso la sofferenza del piccolo Slobodan, che dobbiamo prendere coscienza, che non è accettabile restare indifferenti di fronte alla sofferenza di ogni bambino in ogni guerra, non importa come si chiamano e di che nazionalità siano, pena perdere il nostro diritto di restare umani.

Ogni guerra produce morte, ma colpire i bambini e un crimine di barbarie e disumanità che non merita giustificazioni o comprensione. In Bosnia allora, in Palestina oggi.

 

A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia. 11 agosto 2025

 

 

 

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