Chi difende «il nostro domani» dalle scelte degli eredi dei nazisti?

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Chi difende «il nostro domani» dalle scelte degli eredi dei nazisti?


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

«Metà degli italiani teme nuove guerre. Pena per Gaza, paura per l’economia», titola il 6 luglio La Stampa per un servizio di Alessandra Ghisleri e aggiunge che «Gli italiani mostrano una forte preoccupazione per un possibile allargamento del conflitto in Medio Oriente (43,1%), soprattutto in relazione, scrive la sondaggista, «all’ipotesi di un asse, sempre più robusto, tra Iran, Cina e Russia». Evitiamo di commentare quell'ipotesi su un presunto «asse» tra i tre paesi, che somiglia tanto alla qualifica solitamente usata dai giornali “antiautocratici” per definire, appunto, Russia, Cina e Iran quale «asse del male». Tanto più che risulta difficile, nel contesto di un servizio che non si limita a riportare cifre oggettive, ma pretende di dar conto della visone globale dell'autrice, spaziando da Trump alla Turchia, a Gaza, stabilire se il riferimento a tale «asse» sia frutto di un suggerimento degli intervistatori, oppure, davvero, il 43% degli interpellati veda proprio in quei tre paesi la fonte primaria delle proprie preoccupazioni.

Atteniamoci ai numeri. E questi dicono che «i giovani (68,3%), gli anziani (55,1%) e le donne (46,5%) sono i gruppi più spaventati da un’escalation globale. A livello nazionale un cittadino su 3 (29,3%) teme gravi ricadute sull’economia familiare, simili o peggiori rispetto alla crisi energetica post-invasione dell’Ucraina». Una “crisi energetica”, vorremmo specificare, voluta dagli USA e assecondata da Bruxelles, che ha prontamente obbedito (tralasciamo la vicenda in più atti del sabotaggio del “North stream”) ai voleri di Washington, costringendo lavoratori e masse dei paesi europei a pagare il gas due o tre volte più caro di quanto costassero le forniture dalla Russia.

Dunque, «Il 25,8% degli intervistati da Only Numbers nel sondaggio settimanale si dimostra sensibile alla sofferenza civile: le immagini da Gaza, il grido di dolore dei civili, la fragilità di intere generazioni che crescono sotto le bombe colpiscono nel profondo, facendo sentire un cittadino italiano su quattro moralmente coinvolto. Dopo il riaccendersi del conflitto, anche i timori per possibili azioni terroristiche sono tornati al centro del dibattito (20,3%). A questo si lega la paura di importare cellule radicalizzate e “lupi solitari” attraverso arrivi in massa sulle nostre coste di profughi e immigrati (12,7%)». Mentre si concentra l'attenzione su «cellule radicalizzate e “lupi solitari”», mai una volta, come si conviene a un foglio cripto-liberale, si cita per nome il responsabile di quel «grido di dolore», cioè lo stato sionista guerrafondaio di Israele. Mai. Ci mancherebbe.

Ma andiamo avanti. Nel prosieguo dell'esposizione, non viene mai meno l'impressione che le domande poste dai sondaggisti fossero volte a indirizzare gli intervistati verso “preoccupazioni specifiche”, come «controllo su accoglienza, integrazione e soprattutto sicurezza del nostro Paese», dato che, si dice, «L’Italia non è mai stata isolata dai venti del terrorismo e la possibilità che il conflitto – sotto altre spoglie - «arrivi da noi» è sentita».

In ogni caso, «un po’ più nascosto e defilato, nell’elenco delle paure dei cittadini... compare il rifiuto di un intervento militare diretto del nostro Paese (17,3%), mentre «l’invio di armi è visto con grande scetticismo e diffidenza da una parte importante del Paese» - in un intervento a “Coffee break” di qualche settimana fa, la stessa signora Ghisleri aveva detto che «il dato più forte dall'inizio della guerra in Ucraina è che non sono mai stati favorevoli» a inviare armi – mentre pare che gli intervistati vedano «la diplomazia protagonista, anche se» il 62,1%, boccia quella UE, approvata dal 24,8%. Il servizio si chiude con un apostolico «I cittadini chiedono una politica estera che protegga il nostro domani».

Ora, ci sembra che proteggere «il nostro domani» implichi una politica che vada in direzione di un rifiuto della guerra: appena un paio di mesi fa The Economist osservava che la stragrande maggioranza degli europei non vuole combattere, «nemmeno se il nemico è alle porte». Secondo un sondaggio Gallup condotto lo scorso anno su 45 paesi, quattro dei cinque paesi meno disposti a combattere sono europei. In «Spagna, Germania e soprattutto Italia (dove solo il 14% degli intervistati è pronto a difendere il paese), il fervore patriottico è quasi scomparso». Per le questioni militari e della difesa, solo il 26% degli italiani le ritiene una priorità; e a ottobre 2024 un sondaggio Ispi rilevava che il 54% degli intervistati giudicava «le guerre» una delle due più gravi minacce a livello globale.

Il contrario, cioè, delle spinte belliciste che vengono sia da esponenti di singoli paesi, sia dai massimi rappresentanti delle cosiddette “istituzioni europee”, soprattutto in un epoca in cui, tanto tra i primi quanto tra i secondi, si contano discendenti diretti di coloro che, ottanta o novant'anni fa, praticarono sistematicamente massacri e genocidi in giro per l'Europa e anche di coloro che attivamente li sostennero.

La russa Vzgljad cita i nomi di alcuni alti esponenti europei, discendenti di nazisti e si pone la domanda in che modo un simile lignaggio influisca sulle loro decisioni organizzative.

Così, il nonno della nuova direttrice dell'intelligence britannica, Blaise Metreveli Metreveli, avrebbe prestato servizio nella Wehrmacht; secondo Daily Mail, l'ucraino Konstantin Dobrovol'skij disertò dall'Esercito Rosso e si arruolò in un'unità corazzata delle SS. Originario della regione di Cernigov, operò come «principale informatore regionale» del Reich; trattò brutalmente centinaia di prigionieri, tanto da venir soprannominato "il macellaio".

La portavoce del Ministero degli esteri russo, Maria Zakharova ha raccontato che nei materiali d'archivio è conservata la confessione: «Ho partecipato personalmente allo sterminio degli ebrei vicino a Kiev» e vari storici ipotizzano che abbia preso parte alle esecuzioni a Babi Jar. Ancora Zakharova dichiara che in occidente «c'è una chiara tendenza alla promozione "intenzionale e consapevole" dei discendenti di nazisti a posizioni di comando».

Anche il nonno del cancelliere tedesco Friedrich Merz, infatti, Josef Paul Sauvigny (sindaco di Brilon dal 1917 al 1937), pare sia stato un fervente sostenitore di Hitler e membro della NSDAP. Nel 2004 il quotidiano berlinese Die Tageszeitung riportava che Sauvigny definiva i nazisti «una tempesta capace di purificare il Paese dai fumi velenosi di una libertà incompresa». Lo scorso gennaio, in un'intervista a Die Zeit, Merz ammise che suo nonno «era caduto nell'abisso del nazionalsocialismo». Lui, invece, sta parlando della guerra che l'Europa predice a breve scadenza, in modo a dir poco “personale”. In un'intervista alla Süddeutsche Zeitung, ha affermato che la diffusa paura dell'azione militare nella società tedesca è un problema, mentre invece si dovrebbe sviluppare una visione "realistica" delle azioni della Russia e potenziare fattivamente l'armamento della Germania. Non sembra far capolino un certo lignaggio risalente a ottant'anni fa?

La Bild cita anche il nonno della ex Ministro degli esteri Annalena Baerbock, ufficiale della Wehrmacht che ricevette la croce nazista "per meriti militari" e «aderiva pienamente ai principi del nazionalsocialismo». L'ex Ministro dell'economia Robert Habeck disse a Bunte.de che il suo bisnonno Walter Granzow fu una figura di spicco nella Germania nazista, in rapporti particolarmente cordiali con Joseph Goebbels.

Spostandosi a est, il bisnonno del capo della diplomazia europea Kaja Kallas, Eduard Alvert, era a capo della formazione estone "Kaitselijt", coinvolta in rappresaglie di massa contro gli ebrei. In Canada, discendenti di nazisti occupano posizioni di rilievo, mentre si omaggiano in parlamento nazisti ancora in vita.

In generale, a parere del politologo tedesco Alexander Rahr, oggi «in Germania si onora la memoria delle vittime dell'Olocausto e ci si inchina agli Stati Uniti per la liberazione dal nazismo. Per la Russia, invece, la storia viene riscritta... Mosca si sta trasformando in un nuovo tizzone infernale, proprio come lo era stata l'URSS» e, per quanto riguarda il passato nazista degli antenati di singoli politici europei, i cittadini della UE non sono particolarmente interessati al tema, che non sembra costituire un fattore politico significativo».

In effetti, in Germania, aggiunge il politologo Artëm Sokolov, la discendenza di un politico da ex membri della NSDAP ha scarso effetto sul livello del suo sostegno pubblico. Diverso il caso per i paesi esteuropei: ad esempio, nei Paesi baltici, il collaborazionismo viene spesso sovrapposto al tema della “lotta per l'indipendenza dall'Unione Sovietica”; da qui le valutazioni positive su ”eroi”, macchiatisi di crimini contro ebrei, comunisti, soldati sovietici.

«Il punto di vista classico» dice Sokolov, ammette «le atrocità del Terzo Reich, ma oggi alcuni storici sostengono che le azioni di Hitler furono dettate dalla necessità di rispondere alla minaccia comunista dell'URSS». Un altro politologo, Ivan Lizan, ricorda come nei Paesi baltici o in Polonia ci sia sempre stato chi vedeva l'esito della Grande Guerra Patriottica non nella sconfitta del nazismo, ma «nell'instaurazione di una dittatura comunista». E in Europa occidentale c'è chi si sta addirittura chiedendo se i regimi di Hitler e Mussolini fossero stati così terribili come si ritiene.

Tali rivalutazioni del passato, dice ancora Lizan, «spingono l'Europa sulla strada del fascismo». Come novant'anni fa ci si muoveva sulla via del riarmo, così oggi i paesi UE «annunciano piani per aumentare i finanziamenti al complesso militare-industriale e promuovono l'immagine del "vecchio-nuovo" nemico: la Russia», mentre sostengono e «finanziano il regime nazista in Ucraina».

Dunque, chi è che dovrebbe proteggere «il nostro domani»? Sono quegli eredi di una mentalità che aveva fatto della guerra e dello sterminio il proprio credo? Di fronte al pericolo di guerre, che i vari Fredegonda-Kallas o Voldemort-Kubilius non vedono l'ora di annunciare, contrabbandandole con una Russia in procinto di attaccare l'Europa, è davvero così rilevante il numero di quanti temono che si possano «importare cellule radicalizzate e “lupi solitari”» tra i profughi che fuggono dalle guerre scatenate dall'imperialismo euro-atlantico, se poi appena il 14% degli intervistati si dice pronto ad andare in guerra per i profitti del complesso militare industriale?

E, in generale, quale «domani» aspetta operai e masse popolari europee che, secondo Eurobarometro, vedono (43%) nel crescente costo della vita la più forte preoccupazione? Quale domani riservano ai lavoratori coloro che sproloquiano di «asse, sempre più robusto, tra Iran, Cina e Russia» pronte ad attaccare l'Europa, così che “corre l'obbligo” di sostenere il regime nazista di Kiev, “avamposto” della “difesa dei “valori europeisti”? Quale futuro imbastiscono, per le masse di disoccupati, pensionati, precari, i fascisti di governo che preparano alla chetichella un emendamento al decreto infrastrutture per accelerare, in forma “discreta”, l’acquisto di armi, munizioni e quel che è «necessario per far fronte alle carenze di capacità difensive dell’Italia», aggirando in pratica ogni controllo costituzionale? Per proteggere davvero «il nostro domani», non c'è che prenderlo direttamente nelle proprie mani, costruendo un'avanguardia politica in grado di organizzare le masse per un autentico rivolgimento sociale di classe.

 

 

https://vz.ru/world/2025/7/4/1342933.html

https://www.lastampa.it/politica/2025/07/06/news/meta_degli_italiani_teme_nuove_guerre_pena_per_gaza_paura_per_l_economia-15220687/?ref=LSHA-BH-P5-S4-T1

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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