Gli Usa tornano nel Mediterraneo

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Gli Usa tornano nel Mediterraneo


Se durante le precedenti amministrazioni gli Stati Uniti si erano sostanzialmente disinteressati al Mediterraneo perché maggiormente presi dagli sviluppi geopolitici in differenti quadranti geografici, adesso sembrano essere tornati a voler occuparsi del Mare Nostrum, un medioceano come lo definisce la rivista di geopolitica Limes. 

Principalmente perché il Mar Mediterraneo si inserisce così nella disputa globale per l’egemonia tra gli Stati Uniti e vassalli occidentali da una parte che rappresentano l’unipolarismo in decadenza, e le potenze multipolari in ascesa guidate da Cina e Russia. Senza dimenticare poi paesi come la Turchia, che seppur inserita nel sistema di alleanze occidentali, in primis la NATO, non rinuncia al conseguimento dei propri interessi strategici anche quando questi vanno a cozzare con quelli del blocco occidentale. Così Ankara da tempo fa sfoggio di equilibrismo strategico anche se negli ultimi tempi sembra propendere di più verso est.

In questa partita Washington vuole mantenere il controllo del Mediterraneo per non perdere la sua influenza sui paesi costieri e per avere agilità di movimento tra gli oceani. Il declino dell'influenza degli Stati Uniti in Europa aveva creato, in una certa misura, un vuoto strategico intorno alla regione mediterranea. Ma con l’operazione di sostegno al regime di Kiev in Ucraina gli Stati Uniti hanno di fatto preso il pieno controllo sull’Europa. Un’Europa immolata sull’altare degli interessi economici e strategici di Washington. 

La strategia statunitense prevede ovviamente il coinvolgimento dell’Italia, in funzione degli interessi statunitensi, anche se in Italia qualcuno cera di occultare il vassallaggio di Roma provando a dipingerlo come un rilancio del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. A proposito del ruolo italiano sul fianco sud della NATO, rispondeva così a una domanda in merito Michael Carpenter - già consigliere di Biden per la politica estera - sul quotidiano ‘La Stampa’: “Penso sarete enormemente importanti per la strategia meridionale della Nato, riguardo Nord Africa e Mediterraneo, che va rafforzata. In queste regioni guarderemo a voi per un ruolo guida, che tocca anche il problema delle migrazioni. (…) La Nato deve sviluppare una strategia meridionale più ampia, ma sulla Libia la Ue potrebbe avere il ruolo guida”. 

In realtà però gli Stati Uniti sembra abbiano puntato più al quadrante orientale del Mediterraneo, dove a questo fine viene militarizzata la Grecia. Washington ha deciso di utilizzare le basi greche per approvvigionamenti e manutenzione della flotta, proprio in un momento in cui Atene anche con il sostegno francese ha deciso di rafforzare la propria forza militare. Una decisione che ha esacerbato al massimo i terreni di scontro con la vicina Turchia: tra i due paesi - entrambi membri della NATO - ci sono numerose controversie, tra cui le rivendicazioni concorrenti sulla giurisdizione nel Mediterraneo orientale, la sovrapposizione di rivendicazioni sulle piattaforme continentali, i confini marittimi, lo spazio aereo, l'esplorazione energetica, la minoranza turca nella Tracia occidentale, l'isola di Cipro divisa etnicamente, lo status delle isole del Mar Egeo e la questione migranti.

La crescente presenza militare statunitense in Grecia potrebbe portare a scenari imprevedibili nell’Egeo, ma nonostante tutto gli USA vanno avanti come da loro costume. 

Con la ratifica dell'Accordo di cooperazione per la difesa reciproca (MDCA) greco-americano da parte del Parlamento ellenico lo scorso 13 di maggio - accordo avviato da Pompeo durante l’amministrazione Trump e poi confermato da Blinken - gli Stati Uniti hanno ottenuto l'accesso a tre basi militari in Grecia, oltre a quella che già controllano.

Oltre alla base navale di Souda Bay a Creta, che gli Stati Uniti gestiscono dal 1969, l'MDCA consentirà all'esercito statunitense di utilizzare la caserma Georgula nella provincia greca centrale di Volos, il campo di addestramento di Litochoro e la caserma dell'esercito nella città portuale nord-orientale di Alexandroupoli.

Inoltre è previsto l’ampliamento della base Souda Bay a Creta che ospita sottomarini e dove fanno scalo i bombardieri strategici nucleari B-52. Il raddoppio della base a Creta potrebbe poi essere seguito da quello della base di Akrotiri a Cipro. Confermando così la strategia statunitense di affiancamento militare e geopolitico ad Atene e Nicosia, anche in ottica anti-turca.

Uno dei motivi alla base dell'espansione della presenza statunitense in Grecia è il "contenimento" della Turchia, ha spiegato all’agenzia Anadolu Kozan Erkan, esperto di difesa e sicurezza, aggiungendo che Washington vuole una Turchia "meno indipendente" che agisca in linea con gli interessi di Washington. Proprio come accade con l’Italia, viene immediatamente da pensare. 

Le preoccupazioni e il rinnovato attivismo degli Stati Uniti nel Mediterraneo vengono esposte con precisione da Thibault Muzergues - direttore del programma Europe & Euro-Med presso l'International Republican Institute - in un articolo comparso su War on the Rocks dove scrive: “Non molto tempo fa, il Mediterraneo era considerato un ‘Mare Nostrum’ statunitense, o almeno occidentale. Oggi sembra sempre più conteso. In quanto talassocrazia la cui leadership si basa sulla garanzia della libertà di navigazione nei mari, gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere il Mediterraneo, né possono permettere che diventi un mare territorializzato e apertamente conteso. Sebbene la presenza costante della Sesta Flotta fornisca certamente garanzie di superiorità militare, la lezione appresa dalle guerre in Iraq e Afghanistan è che non tutti i problemi geopolitici possono essere trattati in modo puramente militare. La Cina sta usando le opportunità economiche piuttosto che il cosiddetto hard power per prendere piede nei porti chiave, preferendo lo strangolamento finanziario alla forza militare per aumentare la propria influenza. Anche la Turchia, nonostante sia un membro della NATO, ha abbracciato il ruolo di perturbatore per sfidare l'ordine esistente in mare. Nel suo tentativo di costruire una "patria blu" per collegare la Turchia alle coste del Nord Africa, ricche di risorse, Ankara è ai ferri corti con Cipro, Grecia e Francia. Sebbene questa disputa nel Mediterraneo orientale sia la più preoccupante, vi sono anche crescenti tensioni tra altri alleati degli Stati Uniti più a ovest, con il Marocco e la Spagna in contrasto non solo sulla migrazione ma anche sui territori spagnoli di Ceuta e Melilla”.

Dunque, secondo Muzergues, gli Stati Uniti “devono dimostrare di sapersi adattare a circostanze mutevoli e che, se i partner rompono le alleanze, gli Stati Uniti possono ancora agire unilateralmente. Ciò richiede una strategia chiara e coerente che enfatizzi la libertà dei mari”. 

La strategia di Russia e Cina e il ruolo dell’Iran

Vi è inoltre un altro attore che turba gli Stati Uniti, parliamo della Repubblica Islamica dell’Iran. La strategia dell'Iran dopo il 1979 ha portato alla creazione di una "mezzaluna sciita" che inizia in Iran e finisce nel Mar Mediterraneo attraverso l'Iraq, la Siria e il Libano, più gli sciiti del Bahrein e gli Houthi nello Yemen. Israele e le monarchie del Golfo non sono riuscite a bloccare la strategia di Teheran. Le sanzioni statunitensi hanno creato seri problemi all'economia iraniana, ma il paese è riuscito a centrare svariati obiettivi come in Siria dove è stato sventato il regime change ai danni di Assad, nello Yemen dove gli Houthi continuano a controllare la maggior parte dello Yemen settentrionale. In Libano, Hezbollah rimane il gruppo militante più potente, mentre in Iraq gli sciiti sono il gruppo più influente. Un serio acceleratore dell'espansione dell'Iran nell'area è la Turchia. Oggi Turchia e Iran hanno sviluppato un tipo di cooperazione opportunistica ma efficace. È un dato di fatto che i due paesi hanno interessi comuni nell'energia, nelle aspirazioni nucleari e nel cosiddetto Kurdistan. Ci sono punti di contrasto ma gli interessi a breve e medio termine prevalgono sulle loro differenze.

Con l’Iran c’è anche la Cina. Il 27 marzo 2021, Cina e Iran hanno firmato un accordo di cooperazione strategica di 25 anni che riafferma lo sforzo della Cina di costruire un asse asiatico di alleanze e penetrare nel Medio Oriente e di conseguenza nel Mediterraneo orientale. L’Iran fa parte della nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) e i porti che la Cina vi sta costruendo rafforzano notevolmente la sua presenza nel Golfo Persico. Ed è proprio l’Iran il paese che può contribuire alla penetrazione della Cina nel Levante - porto di Beirut e ricostruzione della Siria - che porterebbe all'espansione della presenza cinese sulle sponde orientali del Mediterraneo. L'Iran svolge un ruolo importante in Medio Oriente e, di conseguenza, nel Mediterraneo orientale. Un paese capace anche di esercitare influenza sulle politiche di Russia e Cina. 

La crescente partnership tra Cina, Russia e Iran nel Mediterraneo complica i piani degli Stati Uniti. Tra i risvolti meno sondati della collaborazione tra questi due paesi vi è l’aspetto operativo-militare. Collaborando con la Russia, l'esercito cinese colma la sua inesperienza operativa. La Cina ha condotto per la prima volta esercitazioni navali congiunte con la Russia nel Mediterraneo orientale nel 2015 come parte delle loro esercitazioni navali congiunte annuali. Il 12 luglio 2017, una flottiglia navale della Marina dell'Esercito popolare di liberazione ha condotto un'esercitazione a fuoco vivo nel Mar Mediterraneo per affinare le proprie capacità di combattimento, prima di un'esercitazione congiunta con la Marina russa nel Mar Baltico. Le operazioni congiunte di Russia e Cina segnalano "la loro volontà e capacità di stare insieme", e la Cina potrebbe anche usare il suo controllo delle infrastrutture europee come il Pireo per rallentare eventuali mosse della NATO contro la Russia. In caso di conflitto, la Cina potrebbe rallentare i rinforzi degli Stati Uniti "trovando motivi tecnici" per cui un porto è inutilizzabile per le operazioni di carico, ostacolando così gli sforzi statunitensi per rinforzare il fronte europeo. 

Ma non è solo l’aspetto puramente militare a impensierire Stati Uniti e vassalli occidentali. Con Russia e Cina potrebbero entrare nella partita mediterranea i paesi che formano il coordinamento BRICS, come spiegato in un’intervista dal professor Marco Ricceri, Segretario Generale dell’Istituto di studi e ricerche Eurispes ed esperto di politiche sociali e del lavoro europee: “Il Mediterraneo è l’area in cui sono presenti grandi potenzialità per iniziative comuni tra Stati BRICS e Stati non BRICS, sia della sponda sud sia della sponda nord. Tuttavia, quest’area è ancora del tutto scoperta in quanto non è diventata oggetto di iniziative comuni e armonizzate. Secondo il laboratorio, i BRICS avrebbero tutto l’interesse a promuovere un’azione comune partecipata da Stati non BRICS. Sarebbe un segnale importante per tutti”. 

Per quanto riguarda la cooperazione con l’Italia, nell’ambito del coordinamento BRICS Russia e Cina potrebbero ridare all’Italia il suo ruolo storico di baricentro, congiunzione e stabilizzazione del Mediterraneo.

Il governo Meloni e gli USA

Non sarà però sotto questo governo atlantista fino al midollo che l’Italia potrà compiere un tale passaggio epocale, anche se necessario e ormai forse ineludibile. Il governo Meloni si definisce come patriottico, ma in realtà è succube, proprio come i precedenti, delle politiche determinate dagli Stati Uniti. Ed è quindi disposto ad adottare politiche in netto contrasto con l’interesse nazionale. Le folli sanzioni imposte alla Russia e il sostegno bellico al regime di Kiev costituiscono la prova più lampante di questa attitudine. 

Lo scorso dicembre in occasione dei Dialoghi sul Mediterraneo di Roma, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni affermava: “Siamo consapevoli che una solida ‘geopolitica del dialogo’ possa costruire e consolidare nell’area solamente muovendo dalla consapevolezza delle nostre identità culturali, delle nostre identità valoriali, dalla constatazione che la nostra prosperità non è possibile senza quella dei nostri vicini. 
Per questo, all’atto dell’insediamento del nuovo Governo, ho parlato della necessità che l’Italia si faccia promotrice di un ‘piano Mattei’ per l’Africa, cioè di un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, che abbia un approccio che prendendo esempio da un grande italiano come Enrico Mattei, non abbia una postura predatoria nei confronti delle nazioni africane, ma collaborativa, rispettoso dei reciproci interessi come è stato detto, fondata su uno sviluppo che sappia valorizzare le identità e le potenzialità di ciascuno”.

Vuote parole. Becera propaganda meloniana. La realtà dei fatti è invece emersa in occasione di una visita a Roma del Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg. In quell’occasione Meloni affermava: “La dimensione transatlantica e quella europea sono entrambi fondamentali per la sicurezza dell’Italia. Per la nostra sicurezza, l’Alleanza è indispensabile per la sicurezza e prosperità delle nostre nazioni, senza sicurezza non ci può essere crescita per le nostre società e dobbiamo difendere i nostri comuni valori e l’identità occidentale”. 

La Meloni poi affermava di aver parlato con Stoltenberg anche di Mediterraneo: “Abbiamo parlato di Mediterraneo e quindi di sud, la Nato resta alleanza regionale ma l’approccio che dobbiamo avere è globale perché è fondamentale mantenere il primato tecnologico che da sempre consente all’Occidente di vivere sicuro e da protagonista”. 

Altro che ‘Piano Mattei’ per l’Africa e interesse nazionale dell’Italia. Il governo italiano conferma di voler seguire l’agenda imperialista basata sulle esigenze politiche, economiche e strategiche di Washington. 

Mediterraneo e fine dell’unipolarismo 

Parag Khanna, uno stratega politico indiano, ha scritto in un saggio intitolato Il secolo asiatico?: “Dal crollo dell'Unione Sovietica, gli strateghi occidentali hanno ripetutamente affermato che la Russia non avrebbe avuto altra scelta che accettare l'espansione della NATO e un ruolo subordinato in un'alleanza con gli Stati Uniti e l'Europa.

Evidentemente non è andata così, come gli strateghi dei Paesi occidentali avevano previsto e auspicato. La Russia, insieme alla Cina, è tornata sulla scena come potenza globale, e il suo ritorno passa anche dal Mediterraneo. 

Oltre a ridefinire profondamente l'equilibrio di potere nell'area mediterranea, questo ha avuto e avrà ripercussioni sull'ordine mondiale. Secondo alcuni commentatori, la presenza della marina russa in Siria e nel Mediterraneo in generale non è solo di facciata, ma è tangibile e ha sancito la fine degli ideali e dell'egemonia militare degli Stati Uniti. Nel Mediterraneo, come in altre parti del mondo quali l'America Latina, i crescenti legami con la Cina e la Russia dimostrano come un sistema sempre più multipolare offra ai Paesi del Sud globale nuovi potenziali alleati che possono fungere da baluardo contro la soffocante egemonia statunitense, offrendo finalmente valide alternative.

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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