Il fisco amico delle imprese
di Federico Giusti
Dalle relazioni tecniche parlamentari possiamo estrapolare dati significativi, anzi indispensabili, ai fini di un ragionamento fondato che si liberi dai condizionamenti ideologici. Oggi proviamo a ragionare attorno al rapporto costi-benefici derivanti dalla riduzione delle imposte sui premi di risultato, non prima di avere ricordato le nostre ragioni di fondo: il welfare aziendale evita aumenti salariali scambiandoli come buoni, conviene ai datori la detassazione evitando incrementi stipendiali necessari per arrestare la erosione del potere di acquisto. Ma ogni intervento salva salari avrà un costo elevato , presto mancheranno risorse al welfare e alle casse statali.
Nel triennio 2025-2027, tenuto conto della riduzione dell'aliquota fiscale sui premi di risultato dal 10% al 5% lo Stato dovrà stanziare in legge di Bilancio circa 163 milioni di euro all'anno.
Se invece consideriamo gli ultimi 910 anni le risorse destinate a copertura di queste misure hanno superato abbondantemente 500 milioni di euro ai quali aggiungere le somme per le mancate addizionali comunali e regionali.
Non sono bruscolini ma cifre rilevanti, è quindi importante chiedersi se queste misure abbiano aiutato l'economia nel loro complesso o se invece sono servite principalmente alle imprese risparmiando loro l'onere di adeguare i salari e i contratti alla reale erosione del potere di acquisto.
Non sarà certo l'ultima volta che lo Stato interviene in materia di fisco e dinamica salariale, tuttavia sono forse questi i provvedimenti necessari e a lungo auspicati? E' sufficiente tagliare le tasse per far ripartire l'economia e alzare i salari?
Noi giudichiamo un ragionamento del genere fin troppo semplicistico e anche le statistiche italiane ed europee aiutano a comprendere quanto siano infruttuosi questi provvedimenti a senso unico, senza che lo Stato vada ad ampliare i servizi pubblici e la presenza del pubblico nella economia.
Può essere di aiuto ad ampliare i nostri orizzonti analitici una ricerca proveniente da economisti e studiosi su posizioni distanti dalle nostre ma la serierà del lavoro dovrebbe suggerire maggiore cautela, almeno, davanti alle riduzioni di tasse
Leggiamo testualmente da
Se è vero che dal 2016 ad oggi le misure di incentivazione per la contrattazione di produttività non sono mancate ed anzi sono aumentate in termini di sempre minor tassazione, mancano fonti utili ad un preciso monitoraggio, sia rispetto alle risorse stanziate sia rispetto all’impatto che dette misure hanno avuto in termini effettivi di maggior diffusione della contrattazione decentrata di qualità e di incremento della produttività.
Nonostante ciò, non mancano proposte per nuovi meccanismi di abbassamento del cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti che si muovono però secondo logiche diverse da quelle attuali, proponendo di ridurre la fiscalità su somme legate al lavoro straordinario o festivo ed incentivando le somme legate ai rinnovi dei CCNL. Meglio farebbe dunque il decisore pubblico a proseguire nell’incentivazione di strumenti
negoziali volti all’incremento della produttività verificandone l’effettività con strumenti nuovi di controllo e monitoraggio qualitativo e quantitativo.
Non siamo davanti a una contestazione aperta verso le misure di incentivazione che nel corso degli anni hanno messo d'accordo tutti, perfino la Cgil, queste scelte si comprendono dentro il contesto di tacita accettazione della austerità salariale connessa con i principi guida di Maastricht. Ridurre il cuneo fiscale, abbassare le tasse, pensare che lo straordinario o il festivo necessitino di un fisco benevolo è una scelta politica pericolosa tale da indurre, nei contratti nazionali, a ritenere il lavoro supplementare una sorta di obbligo, di prestazione esigibile. Nascono da qui le deroghe ai contratti nazionali che hanno alimentato la giungla delle regole a uso e consumo delle parti datoriali.
E ci sembra paradossale che i soli dubbi sulla detassazione arrivino da ambienti culturali lontani dal mondo sindacale, quelli per capirci fautori del jobs act, delle tutele crescenti, della precarietà. E il paradosso sta anche nella rivendicazione di strumenti negoziali atti a verificare la efficacia della riduzione delle tasse, perchè questo compito di controllo dovrebbe essere esercitato dallo Stato per conto dei cittadini, rivendicato dal sindacato rappresentativo che in nome della centralità della contrattazione si era schierato per lo più contro il salario minimo.
Giorno dopo giorno il welfare aziendale, il fisco amico delle imprese, le detassazioni e il sistema delle deroghe appaiono delle autentiche trappole per il welfare e per la tutela del potere di acquisto e di contrattazione, la nostra consapevolezza scaturisce proprio dalla lettura dei giornali, dei documenti ufficiali e da dichiarazioni ondivaghe destinate a non entrare nel merito delle scelte operate nel tempo verificandone i risultati.

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