Il golpetto di Capitol Hill e l'imbarazzante figuraccia dei media italiani

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Il golpetto di Capitol Hill e l'imbarazzante figuraccia dei media italiani


“Aria di golpe a Washington. L’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Donald Trump offende e mette in pericolo la democrazia americana, cuore del mondo libero”.

Cuore del mondo libero. Lo ha scritto veramente e abbiamo dovuto rileggere varie volte l'editoriale del direttore Repubblica, Maurizio Molinari, per prenderne coscienza. 

Ma non è solo Molinari, il quale certo spicca solo per il suo consueto fondamentalismo atlantista. L’immagine che i media italiani, in generale, stanno dando nel commentare il golpetto andato in scena ieri a Washington sta peggiorando, se possibile, la loro già ampiamente detoriata credibilità, con un'imbarazzante difesa di un castello di carte che è ormai caduto del tutto.

Quando ad un manipolo di mascherati è stato permesso di entrare in Senato e prendere possesso, tra una foto ricordo e una posa per instragram, uno dei centri di potere di un paese che – non lo dovete mai dimenticare - conserva decine di bombe nucleari nel nostro paese, i giornalisti italiani hanno dimenticato improvvisamente come hanno coperto recenti avvenimenti internazionali.

Gli rifreschiamo noi la memoria. Quando il golpe di Maidan destituiva il legittimo governo ucraino era il “popolo che si ribellava ad una dittatura”. Quando in Bielorussia si organizzavano manifestazioni dopo le elezioni presidenziali era “il popolo che contesta le frodi di Lukashenko”.  Quando Navalny organizzava una gita in una piazza a Mosca con qualche amico era “il popolo russo che lotta per la democrazia”. Quando un facinoroso di estrema destra si autoproclamava presidente in una piazza di Caracas “è il legittimo presidente del popolo venezuelano che lotta contro la dittatura”. Quando le strade di Hong Kong venivano prese d’assalto da delinquenti che devastano tutto “è il popolo in lotta contro il regime cinese”. 

E la lista potrebbe continuare a lungo ma ieri no. Ieri “in pericolo era la democrazia americana, cuore del mondo libero”.

Che differenza c’è esattamente, caro Molinari, tra questo “freedom figther” di Hong Kong e il vichingo attore dell'Arizona?

Sul perché, tuttavia, la “rivoluzione arancione” di Washington non potrà mai nascere e ha prodotto come unico risultato inevitabile la resa di Trump “ad una transizione ordinata” lo spiega magistralmente il prof. Santomassimo con una sintesi di rara bellezza e efficacia.

“Se tutto è fascismo, nulla è più fascismo.
Qui sembrerebbe in atto una sorta di "rivoluzione arancione". 
Cosa manca? Beh, tanto per cominciare manca l'appoggio degli Usa...”

Eh si perché in tutti i casi che vi abbiamo elencato in precedenza era proprio il “cuore del mondo libero” a fomentare, sostenere e legittimare mercenari, jihadisti e fascisti vari nei loro vari tentativi di colpi di stato, azioni terroristiche e belliche contro quei governi che hanno scelto una via sovrana e libera dai diktat degli Stati Uniti.

Scrive correttamente Diego Bertozzi a proposito: “Sovvertire, incitare in continuazione popolazioni a sbarazzarsi dei propri governi, con i mezzi anche più violenti ed incivili, delegittimare ogni governo che non risponde alla voce del padrone, diventa un habitus, una condotta. Anzi: è condotta costitutiva.  Da tempo - potremmo dire fin dalla presidenza Monroe - gli Usa sono una democrazia temperata - persino con confini razziali solo a fatica superati - con propensione alla sovversione. Nulla di sorprendente.”

Se invece che a Washington fosse successo in un paese nemico della "democrazia", i famosi "esportatori" sarebbero all’opera frenetica in queste ore per fomentare colpi di stato, attacchi bellici e ingaggiare qualche fascista (vero) per prendere il potere prima del 20 gennaio. Ma avviene nel "cuore della democrazia" e gli Stati Uniti possono stare tranquilli da questo punto di vista.

E l’Europa? In attesa di prendere i prossimi ordini dal nuovo rais Biden, l'Europa si stringe intorno al “cuore del mondo libero” decidendo proprio oggi di non riconoscere il nuovo Parlamento venezuelano frutto delle elezioni libere e sovrane del 6 dicembre scorso.

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