Il Vertice della SCO e la vittoria nella Guerra mondiale antifascista

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Il Vertice della SCO e la vittoria nella Guerra mondiale antifascista

 

di Alessandra Ciattini

Si è ormai concluso il vertice di due giorni dei leader dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) tenuto nella città cinese di Tianjin, in un momento di forti tensioni economiche e geopolitiche e di conflitti di non facile soluzione. In quella occasione il presidente Xi Jinping, ha illustrato la sua visione di un mondo multipolare, contrapponendola all’egemonismo e alla politica di potenza, con evidente riferimento agli Stati Uniti. Inoltre, il 3 settembre si è svolta un’impressionante parata militare per commemorare l'80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza Popolare Cinese contro l'aggressione giapponese nella Guerra Mondiale Antifascista. Contro il revisionismo storico del blocco euroatlantico, con questa parata e il discorso del leader cinese si è affermata una lettura completamente diversa della guerra del Pacifico, cui gli Usa dettero rispetto alla Cina un contributo limitato nel continente asiatico.

Nel 1996 un primo gruppo di paesi, Cina e Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan ha dato origine alla SCO per contrastare la probabile ingerenza in Asia degli Usa dopo la fine  dell'Unione Sovietica. Successivamente  l’organizzazione è stata formalmente istituita ed ha incluso, uno dietro l’altro, Uzbekistan, India, Pakistan, Bielorussia e Iran. Altri 14 paesi, tra cui Arabia Saudita, Turchia ed Egitto, partecipano come osservatori. Naturalmente molti di questi personaggi presenti in Cina  hanno anche partecipato anche alla straordinaria sfilata del 3 settembre, con cui si è celebrata la sconfitta del nazi-fascismo europeo e giapponese. Tra questi ricordo Vladimir Putin, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, Kim Jong-un, leader dell’odiata Corea del Nord, il presidente del Vietnam Luong Cuong, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, il presidente serbo Alexander Vu?i?, il primo ministro slovacco Robert Fico, Miguel Díaz-Canel presidente di Cuba. In tutto 26.

Anche Narendra Modi, leader dell’India, ha partecipato al 25 vertice della SCO, pieno di buona volontà e disponibile a condividere iniziative come l’implementazione del porto di Chabahar e de Corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. Evidentemente l’attacco sferrato dagli Usa contro l’India con i dazi, per il suo commercio energetico con la Russia, lo ha spinto a stringere le relazioni del suo paese con i fautori di un diverso ordine mondiale, veramente rispettoso di una serie di principi che oggi sono violati in maniera sempre più plateale e indignante. In risposta al ricatto Usa l’India ha risposto che aumenterà addirittura del 10/20% le sue importazioni di petrolio dalla Russia.

Il rifiuto indiano di sottomettersi, adottato anche da altri grandi paesi come il Brasile e la Cina, è stato persino definito, dal segretario del Tesoro, Peter Navarro, da molti considerato un incompetente,  come un aperto sostegno al conflitto Nato/Ucraina/Russia, senza ovviamente menzionare la prima.

Navarro è giunto al punto di definire quest’ultimo la “guerra di Modi”.  Tuttavia, recandosi in precedenza a Tokyo, il leader indiano aveva parlato bene del QUAD, accordo siglato anche dall’India con Usa, Giappone, Australia, probabilmente volendo continuare una difficile politica di equilibrismo tra i due nuovi blocchi che si stanno delineando sempre più precisamente. E del resto, sempre per la stessa visione politica non ha partecipato alla sfilata militare di Pechino, inviando il suo ministro della difesa. Anche il presidente dell’Indonesia non è stato presente a causa di proteste nel suo paese, che però per qualcuno sono state provocate a questo scopo.

Nell’ambito del vertice si sono svolti colloqui bilaterali tra i vari leader presenti e sono stati firmati importanti accordi in varie materie. Oltre ai capi di Stato già menzionati erano presenti il presidente azero Ilham Aliyev, il presidente delle Maldive Mohamed Muizzu e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan.

Il presidente cinese ha incontrato anche il primo ministro cambogiano Hun Manet, il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly, il presidente facente funzioni del Myanmar Min Aung Hlaing, il primo ministro nepalese KP Sharma Oli, il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. In conclusione hanno partecipato all’incontro, scandito anche da incontri bilaterali, i rappresentanti di oltre 20 paesi, oltre i già citati, quali il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, e di 10 organizzazioni internazionali.

I paesi facenti parte della SCO occupano il 24%  della superficie terrestre, hanno 42% della popolazione mondiale e producono un quarto del PIL, con un commercio in continua ascesa. In definitiva, non sembra poca cosa. Eppure con un tono sarcastico sulla Stampa Matteo Feltri, figlio dell’altro grande Feltri e che ha già una pagina su Wikipedia, scrive: “Xi Jingping raduna un po’ di amici in Cina”, forse pensando ai 4 famosi amici al bar. Sembra preoccupato della grande sfilata del 3 settembre, che a suo parere dovrebbe convincere gli europei dell’assoluta necessità del riamo. Ma soprattutto è infastidito dal fatto che Russia e Cina con le loro celebrazioni degli eventi passati presentano un’altra lettura della seconda guerra mondiale che le vede protagoniste.

Riduce la guerra sino-giapponese (1931-1945), in cui dal 1941 i cinesi furono sostenuti dai sovietici e assai poco dagli alleati, a un conflitto regionale. Naturalmente, come al solito, vuole scaricare le responsabilità della Seconda guerra mondiale su Stalin, dimenticando la politica di appeasement di Francia e Inghilterra verso Hitler, le quali speravano di dirottare la sua brama dello spazio vitale verso l’est, verso cui si erano diretti i tedeschi sin dal Medioevo. E con questo atteggiamento fecero fallire il vertice di Mosca del 1938. Non deve essere nemmeno dimenticato il mai citato e precedente Patto navale anglo-tedesco del 1935, con il quale fu permesso alla Germania di ricostruire la sua flotta, violando il Trattato di Versailles, autorizzandola così a procedere sulla via del già riavviato riarmo.

Infine, pur riconoscendo la sproporzione tra la quantità di morti sovietici e quelli alleati, Feltri si lamenta che oggi non ringraziamo abbastanza quelli che hanno attraversato l’Atlantico per darci “la libertà”, forse sarebbe meglio dire per elargirci la sottomissione alla NATO  e centinaia di basi militari sparse qua e là.

Per combattere una tale lettura superficiale di quei tragici eventi, è bene brevemente ricordare cosa produsse in Asia l’imperialismo giapponese, che quanto a politiche genocidiarie non fu inferiore alla furia nazista e all’attuale spietatezza israeliana e che si collocava a quel tempo nella politica di espansionismo del Pacifico tanto osteggiata dagli Usa ieri e oggi.

Questi eventi straordinari hanno molto infastidito il signor Trump, il quale nel suo social "Verità" si è augurato che il Presidente cinese Xi menzionasse “l'enorme quantità di sostegno e "sangue" che gli Stati Uniti d'America hanno dato alla Cina per aiutarla a garantire la sua libertà dal Giappone. Molti americani sono morti nella ricerca della Vittoria e della Gloria da parte della Cina. Spero che siano giustamente onorati e ricordati per il loro coraggio e sacrificio!”. Ha poi aggiunto un ironico messaggio a Vladimir Putin e Kim Jong Un, inviando loro calorosi saluti, mentre – ha aggiunto – “stanno cospirando” contro gli Stati Uniti d'America.

Interessante è il commento di Larry Johnson, ex agente dell’intelligence, sul suo blog Sonar21 a queste considerazioni di Trump e vale la pena ricordarlo. Osserva che la sua generazione (Trump compreso) ha visto troppi film hollywoodiani sulla Guerra del Pacifico, che hanno oscurato del tutto la guerra sanguinosa della Cina, osteggiata dalle componenti filo-giapponesi del Kuomintang, celebrando unicamente la grande vittoria dagli Stati Uniti contro il Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. 

Diversa è la lettura veritiera degli eventi ricostruiti già da Stefania Fusero per L’Antidiplomatico. Già nel 1931 il Giappone attaccò la Cina, invadendo la Manciuria, ricca di ferro, di carbone e di terre fertili, e fondando lo Stato fantoccio del Manciukuo. Un paio di incidenti dettero inizio a una guerra su vasta scala tra la Cina e Giappone, sostenuto da settori filo-giapponesi interni che si opponevano alla presenza e all’azione del Partito comunista cinese, il quale aveva come primo obiettivo la liberazione del paese.

La scomparsa di un militare giapponese presso la Fortezza di Wanping nei pressi del Ponte Marco Polo a Pechino innescò lo scontro tra l’Esercito imperiale giapponese e l’Esercito rivoluzionario nazionale della Cina, espressione del Kuomintang e inizialmente sostenuto dall’URSS,  iniziato il 7 luglio del 1937, che permise agli invasori di occupare grandi città come Pechino, Tianjin e Nanchino dove massacrarono la popolazione.  Qui gli imperialisti giapponesi uccisero circa 50.000 soldati cinesi, che difesero Nanchino nel 1937, e ne assassinarono altri 30.000 dopo averli catturati.

Si è calcolato globalmente che i civili morti in Cina durante questa guerra furono tra i 15 e i 20 milioni, comprendendo le vittime del massacro di Nanchino, che subirono stupri, una violenza brutale e atrocità indicibili. Molti altri morirono a causa della carestia, dei lavori forzati e di altri crimini di guerra giapponesi.

Tra  questi ultimi l’internamento in campi di sterminio, di cui si è sempre parlato assai poco e il Giappone non ha mai voluto riconoscere i crimini del suo esercito. Solo negli ultimi decenni sono stati ritrovati documenti, testimonianze su questi campi tra cui spicca l’Unità 731, sotto il comando del tenente generale Shiro Hishii, mai processato, dove si praticavano terribili esperimenti sui prigionieri con la giustificazione di fare studi scientifici e scoprire armi chimico-biologiche, che annichilassero le popolazioni nemiche senza combattere. Su questa spaventosa vicenda nel 1988 è uscito il film Hei Tai Yan diretto dal regista Tun Fei Mun, riproposto nel 1992 in una diversa versione.

Dinanzi a tutti questi tristi eventi, che non suscitarono l’interesse delle élite europee, che guardavano alla Germania e al “pericolo rosso”, gli Usa si limitarono ad imporre il blocco delle esportazioni di petrolio a Tokio, inviarono successivamente scarsi rifornimenti e una piccola forza aerea a sostegno della Cina, impiegando con scarso successo i bombardieri strategici B-29 per colpire le istallazioni giapponesi soprattutto in Manciuria.

Secondo calcoli accettabili, nel corso della Seconda Guerra Mondiale circa il 70% dell'esercito giapponese fu posizionato in Cina, con oscillazioni che vanno dal 90% al 35%, provocando la morte di circa 3-4 milioni di soldati cinesi.  Se facciamo una comparazione con le perdite Usa risulta che nel Pacifico esse ammontarono a 111.606 militari in totale. Pertanto, secondo Larry Johnson Trump semplicemente non sa di cosa sta parlando quando afferma senza mezzi termini che gli Stati Uniti hanno versato un'enorme quantità di sangue per sconfiggere il Giappone, dato che il numero delle vittime militari Usa “impallidisce in confronto a quelle della Cina”, per il semplice fatto che i cinesi, nonostante le loro divisioni interne tra PCC e Kuomintang, che nel 1934 pensò di aggregarsi a Germania e Giappone in funzione anti-sovietica e anti-comunista, hanno salvato molte vite dei soldati Usa, combattendo i nipponici nel loro paese.

Certamente queste straordinarie celebrazioni, con cui coincide anche la liberazione della Repubblica popolare di Corea, ci informano chiaramente che la Cina è ormai un paese tecnologicamente evoluto, dotato di armamenti modernissimi e soprattutto di forze armate (uomini e donne) straordinariamente coordinate e disciplinate. La sfilata, ampiamente seguita dalla popolazione, ha mostrato la presenza di un forte sentimento di unità collettiva e di un livello di disciplina improponibile ai giovani individualisti e trasgressivi del cosiddetto Occidente woke. Nello stesso tempo, almeno nei discorsi dei suoi leader, l’esposizione degli armamenti ha avuto una funzione più dissuasoria che aggressiva: la Cina e i suoi soci vogliono un mondo di pace, in cui il suo ruolo e quello dei suoi partner orientali o finora non presi sul serio vengano pienamente riconosciuti.

Infine, aspetto più importante della vicenda, questa celebrazione ha per la prima volta diffuso a livello di massa molte verità sulla Seconda guerra mondiale, così definita perché ha sconvolto tutti i continenti in primis la rinnovata Asia, certo lasciando anche l’Europa languente e distrutta. Al contempo, nell’altra parte del mondo il signor Trump si preoccupa del sodalizio Cina, Russia, India e cambia il nome al Dipartimento della Difesa, definito esplicitamente Dipartimento della Guerra.  Gli daranno il premio Nobel della pace?

 

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