La Palestina verso le elezioni. Una svolta o un’illusione? Intervista al giornalista palestinese Samir Al Qaryouti (seconda parte)

La Palestina verso le elezioni. Una svolta o un’illusione? Intervista al giornalista palestinese Samir Al Qaryouti (seconda parte)

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Riprendiamo l’intervista a Samir Al Qaryouti affrontando in particolare l’evento “elezioni” che si dovrebbero svolgere tra maggio e agosto.

D. Ma tutto questo come viene visto dai palestinesi del “48 riusciti a restare nella loro
terra e ora divenuti cittadini israeliani?


R. Riporto le parole di alcuni intellettuali israelo-palestinesi , docenti in università della Palestina del “48” i quali dicono che soprattutto ora, dopo queste ultime elezioni, il regime israeliano si è manifestato non più solo come razzista, ma anche come fascista e che dopo queste elezioni Israele continuerà impunemente ad annettere territorio e sono convinti che il processo di pace è un processo falso, dettato alla lettera dalla volontà di Israele e dei suoi sostenitori che sono Paesi che non credono al diritto alla libertà e all’indipendenza dei popoli.
Come breve commento personale su quanto detto finora aggiungo che ho cercato di trasportare la foto reale della Palestina. Chi vi racconta un’altra cosa lo fa per i propri interessi , personali o politici. Io non lavoro per nessuna organizzazione e sono libero e indipendente. Partecipo con la mia lotta per la giustizia perché la causa del popolo palestinese è la causa della giustizia e quando verrà risolto il problema palestinese si sarà risolto un problema di giustizia nel mondo moderno.

D. Quando parliamo di popolo palestinese, spesso non ci rendiamo conto di utilizzare un concetto astratto e immaginiamo i palestinesi come un blocco monolitico. In realtà, come ci hai appena spiegato, la condizione socio-economica è piuttosto diversificata, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Tenendo conto di queste differenze, quale può essere secondo te l’aspettativa riposta nelle prossime elezioni da parte dei diversi gruppi sociali?

R. Questa domanda è molto importante per quanto riguarda la natura del popolo palestinese che non costituisce un blocco monolitico ma esiste una classe media che è la più attiva, la più qualificata che fin dal 1948 ma anche prima si è distinta per attività, efficienza e lavoro profuso per innalzare il grado di progresso, la qualità culturale e di vita del popolo palestinese. Basta guardare fotografie e filmati degli anni “20 e “30 per capire come erano le città palestinesi, e la cultura, e la stampa. Tutte cose che noi conosciamo per averle viste sui libri, studiate ma anche per averle sentite raccontare dai nostri padri e dai nostri nonni. Tutto questo era grazie alla classe media palestinese, senza dimenticare l’importanza particolare della classe legata alla terra, gli agricoltori, che avevano una grande valore perché da loro provenivano i prodotti della natura. Il legame tra il palestinese e la terra è sempre stato forte, anche a livello culturale. La classe media era a fianco degli agricoltori e degli operai . Dico operai perché c’erano fabbriche in Palestina. La Palestina era un paese vivo, le sue città erano vive. Io preparai la mia tesi di laurea proprio su questo argomento, scrivendo centinaia di pagine e quindi ho approfondito questo aspetto e so come viveva il popolo palestinese allora. Ma questo è il passato.
Passiamo alla storia più recente. Vediamo i vari cambiamenti mondiali del periodo intorno agli anni “90, i rovesci a livello europeo di situazioni storiche, come la caduta del muro di Berlino, la disintegrazione del patto di Varsavia, la fine dell’URSS tutti cambiamenti che hanno comportato altre modifiche e hanno rappresentato l’inizio del tracollo di quella che veniva chiamata la solidarietà pan-araba con il mondo palestinese. Alla tragedia degli accordi di Oslo del “93 sono seguiti gli sciagurati colloqui di Camp David del 2000 sotto l’egida di Clinton e la finzione della “generosa offerta” di Ehud Barak. L’inizio del cosiddetto processo di pace (Oslo) ha lasciato segni evidenti nella popolazione palestinese e ha scosso dalle fondamenta la classe media palestinese della diaspora concentrata nei paesi del Golfo, cioè Arabia Saudita, Kuwait, Barein, Qatar e quel che oggi viene chiamato Emirati Arabi Uniti. Più di un milione e mezzo di lavoratori palestinesi di livello medio-alto, ingegneri, architetti, insegnanti, tecnici, bancari vivevano in questi paesi. Basti pensare che le principali società di elettricità erano gestite dai palestinesi, soprattutto in Kuwait.
Questa classe media è stata scossa, in quel che io chiamo il giardino delle tragedie, da quella tragedia che è stata l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq che ha portato alla cacciata di circa mezzo milione di palestinesi che sono stati costretti a partire perdendo tutto. Chi ti parla ne è un esempio personale perché io lavoravo in Kuwait e mi sono trovato dalla mattina alla sera cacciato per le mie opinioni espresse sugli schermi della RAI italiana come esperto e non come appartenente o difensore di una posizione politica, ma solo come giornalista. Ma ero palestinese e tanto è bastato per ritrovarmi solo,senza più lavoro, senza stipendio né liquidazione. Questo mezzo milione di palestinesi già in diaspora sono stati costretti a riparare dove avevano i propri familiari, in Siria, in Giordania, in Libano o in Iraq.
Questo succedeva nel “91, poi due anni dopo sarebbe arrivata Oslo, cioè la nascita della corruzione più stupida e più delinquenziale che esista nel territorio palestinese. Abbiamo visto che la corruzione ha cominciato a crescere ed è diventata un’istituzione che mangia tutto a destra e manca.

D. La tua critica verso l’Autorità nazionale palestinese è molto dura ed è continuamente
presente. Io dico che la corruzione esiste ovunque, noi in Italia ne sappiamo qualcosa,
perché tu trovi così negativa l’istituzione dell’Anp?

R. Perché sono aumentate le sofferenze dei lavoratori palestinesi. La nascita dell’Anp ha gettato migliaia di loro all’interno della Palestina, esattamente a lavorare nei cantieri israeliani, in Israele, perché non avevano altra prospettiva. Migliaia di loro sono stati costretti, spinti, a calci praticamente ad andare a lavorare in Israele realizzando il sogno sionista di trasformare tutti gli arabi in servi o in “taglialegna” come dicono gli scritti del sionismo più reazionario.
Questo naturalmente ha aumentato la povertà e l’umiliazione per tutti quelli che non hanno potuto trovare un lavoro, a parte coloro che sono stati assunti nella burocrazia dell’Autorità nazionale palestinese perché dotati di un requisito importante, quello di dire signorsì e prendere il proprio stipendio in silenzio. E’ stato creato uno spaventoso apparato di pubblica amministrazione composto da più di 100.000 lavoratori che sono semplicemente a servizio della burocrazia dell’Anp e non del loro stesso popolo. Sostanzialmente lavorano, sebbene indirettamente, a beneficio dell’occupante, nel permettere l’aumento delle colonie, nel liquidare piano piano la causa palestinese, soprattutto nella mente dei giovani e questo in fin dei conti ha condotto a confermare i privilegi e le ricchezze dei funzionari dell’Anp e l’ulteriore arricchimento dei ricchi già ricchi, aumentando il divario tra la gran maggioranza del popolo palestinese e una minoranza di ricca borghesia rappresentata dalle élites “compradore” secondo la definizione appresa in gioventù dai libri letti di nascosto perché vietati, in quanto comunisti, nei paesi arabi dove eravamo residenti. Ricordo che ad essere trovati con un libro “di sinistra” si era considerati peggio di un terrorista. Quello che dico è tutto vissuto personale, sia in Palestina sia nei diversi paesi arabi. Questa ricca borghesia non ha mai rappresentato gli interessi del popolo palestinese.

D. Il quadro che emerge dalla tua analisi è veramente triste, ma per quanto
riguarda le aspettative post elettorali cosa puoi dirci?

Sì, veniamo al punto cruciale della tua domanda. Tu mi hai chiesto quale sia l’aspettativa riposta nelle prossime elezioni da parte dei diversi gruppi sociali palestinesi. La mia risposta, a questo punto di fondamentale importanza, potrebbe sembrarti un po’severa, ma è la verità. Non esiste alcun rapporto tra queste elezioni e la realtà, la sofferenza, le prospettive, il futuro del popolo palestinese perché sono elezioni che avvengono come pura azione figurativa, cioè soltanto per accontentare quelli che vogliono la linea di Oslo. Non c’è una sola formazione politica palestinese (noi i partiti ancora non li abbiamo, sono tutte formazioni) che abbia un programma politico con cui entrare in queste elezioni, ma è una gara, una gara bugiarda, per guadagnare legittimità, come dicono.
Legittimità! Ma ragazzi la parola legittimità nei movimenti rivoluzionari è una parola sacra. Nella politica legittimità è una parola molto importante. Cos’è che dà legittimità? Io, o qualunque persona, da dove prende legittimità? La prende da qualcun altro: da un popolo, da un organismo, da un’azione, da uno sforzo collettivo che rappresenta l’interesse della collettività. Allora chiederei “Voi, formazioni politiche, che legittimità cercate? La legittimità di Oslo? La legittimità di trattative che non hanno portato a nulla?”
Io non so di quale legittimità parlino. Forse la legittimità delle stesse elezioni?

Non credo che delle elezioni che avvengono dopo 15 anni di attesa, di non movimento, di assoluto congelamento di tutto , anche del futuro e senza alcun criterio elettorale costituzionale vero e proprio, ma solo con un decreto presidenziale con te tecniche di svolgimento, possa dare legittimità.
Il decreto del presidente Abu Mazen dice che queste elezioni avverranno in tre fasi distinte durante l’anno in corso 2021. Il 22 maggio si svolgeranno le elezioni legislative, cioè quelle per nominare i membri del consiglio legislativo ( il parlamento palestinese, ndr). Il giorno 31 luglio ci saranno le elezioni presidenziali, poi il 31 agosto, dopo un mese, ci saranno le elezioni del Consiglio nazionale palestinese, il PNC cari lettori è un’istituzione orgoglio del popolo palestinese perché rappresenta l’organismo dell’OLP (Organizzazione di Liberazione della Palestina, fondata nel 1964,ndr) che raggruppa tutto il popolo palestinese, anche se finora questo PNC è congelato, è chiuso come un portone su cui è affissa la targa “vacanza eterna” e le elezioni che sono avvenute lì sono sempre state nomine e non elezioni.
Già Arafat nominava personalmente tutti i membri, quindi è un Consiglio nominativo e non elettivo e lo dice uno che li ha vissuti tutti questi momenti. Nessun PNC in questi anni ha avuto membri eletti , ma soltanto nominati, vuoi da questa, vuoi da quella formazione palestinese. Ognuna prendeva la sua quota. Questa volta non si sa come avverranno queste elezioni. Perché ancora non ne hanno discusso. Eppure mancano solo pochi mesi.
Il Comitato centrale elettorale il 20 marzo ha annunciato che avrebbe ricevuto tutte le candidature fino al 31 marzo. Quindi solo pochi giorni per ricevere e poi decidere la validità delle candidature.
Questo stabilisce il decreto, queste sono le regole che dovrebbero dare legittimità alle elezioni.
Io sono palestinese di origine, non lo sono né via whatsap né via facebook, io sono il figlio della Palestina e sono un testimone di tanti eventi, e chiedo quale legittimità offre un semplice decreto firmato da sua eccellenza il presidente di uno stato immaginario? e chi potrà dare risposta a queste elezioni cara giornalista se tre quarti del popolo è escluso definitivamente da queste stesse elezioni?

Noi dell’esilio, della diaspora e dei campi profughi fuori dalla Palestina non abbiamo nessun diritto a votare perché non siamo registrati nei libri dell’autorità nazionale palestinese, quindi per noi nessuna risposta, nessuna prospettiva da queste elezioni, nessuna politica in un quadro così triste, così buio. Elezioni senza prospettiva. Anzi, è ancora in dubbio che avvengano nelle date citate perché le formazioni politiche non sanno che cosa dire alla loro gente. E’ tutto un atto apparente, ma di fondo, di consistente, non c’è niente perché il popolo palestinese nella sua totalità non può esprimersi. Con tutto il rispetto per la gente che vuole andare a votare dico che aspettarsi dei cambiamenti allo stato di cose è un’illusione. Io sono molto scettico. Lo dico con molta sincerità e onestà.



D. Dalla stampa abbiamo saputo che all’interno di Fatah c’è stata una sorta di epurazione contro figure che potevano ostacolare la rielezione del presidente Abu Mazen. Risponde al vero che si è trattato di vera epurazione o è un’illazione? E se risponde al vero c’è stata unanimità all’interno
di Fatah o il fatto ha creato divisioni?

R. La notizia dell’epurazione è vera, è stata una decisione del Comitato centrale di Fatah. Per modo di dire del Comitato, in realtà di Abu Mazen, capo del Comitato centrale perché lui è il capo di tutto, è lui che ha fatto avere l’ultimatum, tramite una commissione di pochi funzionari che sono andati a parlare con Nasser al Qudwa ex ministro degli esteri e famoso nipote di Arafat , un personaggio che conosco molto bene fin dai tempi dell’Università. Lui studiava al Cairo, io a Bologna, ma abbiamo diviso la stessa stanza al congresso della gloriosa unione degli studenti (GUPS) presso Algeri. Quindi un’amicizia antica.

So bene che quando lui ha rifiutato di ritirare la sua candidatura e la presentazione di una propria lista, hanno deciso di istituire una regola, scritta ora, proprio da questo Comitato centrale. Una regola che lui ha contribuito per primo a scrivere per espellere chi esce “fuori disciplina organizzativa”, come viene chiamata nel linguaggio di al Fatah che conosco abbastanza, anzi molto bene, quindi quando lui ha detto no a questa commissione, gli hanno detto “la regola è esecutiva a partire dall’11 marzo”. Credo fosse il giorno 11 marzo.
Io considero che questo atto è stato una minaccia a tutti i ribelli che volevano contestare l’unica lista voluta da Abu Mazen, e che sarà presieduta da lui, per quanto riguarda le elezioni presidenziali. A lui della lista legislativa e della lista del PNC peraltro non importa molto. Lui vuole essere eletto presidente, con le buone o con le cattive, perché vuole proseguire nella sua politica come presidente di Fatah . Ricordiamo che alla presidenza di Fatah lui è arrivato dopo la morte di Arafat .
Questa espulsione dunque doveva essere un messaggio a tutti i ribelli all’interno del Comitato centrale, se ve ne sono non possiamo saperlo perché là vige sempre l’unanimità, le discussioni rimangono coperte dal massimo riserbo e nessuno sa cosa succede dentro le stanze “blindate”.
Morale della favola lui voleva mandare un messaggio a Marwan Barghouti , cioè di non candidarsi né in prima persona né tramite altri che potessero fare alleanza con lui facendolo passare indirettamente in qualche lista. Quindi il messaggio era chiaro.

Fino a poche ore fa (l’intervista è stata realizzata prima di Pasqua, ndr) avrei detto che era tutta una finta mossa e che prima o poi si sarebbero messi d’accordo e tutto sarebbe rientrato con baci abbracci e scuse per aver sbagliato. Ma ora vedo che Marwan ha reso pubblica la sua decisione di candidarsi e allora il quadro potrebbe cambiare.
Considera però che dopo l’espulsione di Nasser Al Qudwa non c’è stato alcun cenno di discordia e nessun cenno di dibattito interno al Comitato centrale . Il rito è il solito, si è cordiali, si mostra rispetto e sottomissione al capo perché se sarà ancora il presidente è bene comportarsi così. E’ l’insieme di questi comportamenti che ci ha portato all’attuale sciagurata situazione. Le mie parole sono severe, lo so, ma sono vere. Succede così da tanti anni.

D. Ma tu come vedi la candidatura di Marwan Barghouti?

R. Questo è un argomento delicato. Molto interessante ma parlarne richiede la massima freddezza, la massima razionalità, ma anche la massima onestà e sincerità.
Primo, Abu Mazen non vuole un candidato carismatico che possa essere suo effettivo rivale alle elezioni , e tutto il comitato centrale di Al Fatah dice di sì alla sua volontà.
Secondo, hanno cercato di convincerlo a non fare questo atto. Non so che prospettiva abbia lui, che fiducia. La sua lista si chiama Libertà e forse potrà parlare a suo nome.
Tra i candidati ci sarà Nasser Al Qudwa, l’espulso da Fatah, e ci sarà Fadwa Barghouti, la moglie di Marwan con la quale ho avuto modo di parlare a lungo quando è venuta in Italia e alla quale va tutta la mia stima.
In Fatah si sta scatenando il terremoto, ma poniamoci la domanda più legittima: gli israeliani lo lasceranno candidarsi a tutti gli effetti? Al momento sembra di sì, magari gli servirà per far credere al mondo di essere democratici, ma l’hanno buttato in galera e riempito di ergastoli e non apriranno le porte del carcere per lui, mai e poi mai.
Però una sua elezione forse creerebbe qualche problema a Israele, non tanto alle legislative perché le galere israeliane sono piene di deputati palestinesi, ma alle presidenziali sì. Sebbene credo che creerebbe meno problemi a Israele di quanti ne potrebbe creare ai vertici di Fatah, perciò forse Israele e l’Anp si accorderanno per spostare le elezioni. Ovviamente è solo un’ipotesi.
Tuttavia, se la sua lista alle legislative avrà successo, visto che comprende anche membri di Fatah dissidenti dalla linea di Abu Mazen, sarà un grande segnale.
Anche se io dubito di queste elezioni perché a mio avviso non esprimono il parere del popolo palestinese, i voti a Marwan, sia per il Consiglio legislativo che per le presidenziali, saranno una dichiarazione di rispetto per tutto quello che ha fatto come vero militante di questa causa. Ma lo ripeto: la vera sfida è alle presidenziali. Anche se Israele non lo libererà mai, la sua eventuale vittoria sarà una bomba per Abu Mazen che a questo punto non avrà più il leader di Hamas come rivale ma avrà un uomo capace di convogliare su di sé anche parte dei voti che sarebbero andati ad Hamas, cioè a Ismail Hanyeh.
Sarà il segnale che il popolo palestinese vuole alla sua guida un uomo rimasto fuori dalla corruzione e capace di pagare le sue scelte con la galera. Un eroe popolare a capo dell’Anp potrebbe davvero dare una sferzata a questa situazione paludosa. Staremo a vedere.

D. Grazie dr. Samir per questa lunga intervista e per la schiettezza della
tua critica anche se a volte mi è sembrata molto dura.

R. Grazie a te e a chiunque trasmette notizie reali dalla Palestina e sulla Palestina, sperando che aiutino il popolo palestinese a veder rispettati i suoi diritti.

Ringrazio Samir Al Qaryouti per la schiettezza delle sue risposte, sebbene improntate a una critica piuttosto urticante. Una critica dalla quale si può dissentire o meno, ma certamente non la si può ignorare né tantomeno strumentalizzare in quanto proviene da un osservatore politico palestinese indipendente e riconosciuto da decenni come uno dei massimi esperti del mondo arabo oltre che della causa palestinese.

(per leggere la prima parte clicca qui)

Patrizia  Cecconi

Patrizia Cecconi

Romana di nascita, milanese di ultima adozione. Laureata in Sociologia presso la Sapienza Roma ove tiene per alcuni anni dei seminari sulla comunicazione deviante. Successivamente vince la cattedra in Discipline economiche ed insegna per circa 25 anni negli Istituti commerciali e nei Licei sperimentali. Interessata all'ambiente, alle questioni di genere e ai diritti umani ha pubblicato e curato diversi libri su tali argomenti ed uno in particolare sulla Palestina esaminata sia dal punto di vista ambientale che storico-politico. Ha presieduto per due mandati l'associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese di cui ora è presidente onoraria e, al momento, presiede l'associazione di volontariato Oltre il Mare. Da oltre 12 anni trascorre diversi mesi l'anno in Palestina, sia West Bank che Striscia di Gaza, occupandosi di progetti e testimonianze dirette della situazione. Collabora con diverse testate on line sia di quotidiani che di riviste pubblicando articoli e racconti. 

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