L’”Uomo di Gheddafi” che trascina i migranti in Italia. Un incredibile video di Repubblica
Ma perché mai tre ragazzi dell’Africa subsahariana, capitati (a quanto pare, per caso) in Libia, avrebbero dovuto essere lì imprigionati da “un uomo di Gheddafi” e da lui costretti, a forza di botte, ad imbarcarsi verso l’Italia?
di Francesco Santoianni - Pecorarossa
Ma perché mai tre ragazzi dell'Africa subsahariana, capitati per caso in Libia, avrebbero dovuto essere lì imprigionati da “un uomo di Gheddafi” e da lui costretti, a forza di botte, ad imbarcarsi verso l'Italia? Se lo domandano in molti davanti ad un video di Repubblica, giù diventato virale, che pretende di dimostrare come, dietro alla tragedia di centinaia di migliaia di persone che scappano da un continente devastato dalle rapine e dalle guerre dell'Imperialismo, ci sia null'altro che le macchinazioni di “scafisti mercanti di morte” (ovviamente, da distruggere con una nuova invasione della Libia) e candide ONG che nulla avrebbero da spartire con i suddetti “mercanti di morte”.
Ma soffermiamoci su alcune parti del video di Repubblica
Intanto le prigioni “non ufficiali ma (che) appartenevano a gente della polizia” che si direbbero suggerire l'innocenza di un regime – quello di Al Serray – tenuto su' solo dall'appoggio del governo italiano. Poi una davvero misteriosa vicenda. “Una notte un libico è venuto e ha spaccato la porta. Ci ha portato tutti fuori, ha aperto un rubinetto e ci ha bagnato. Ci ha filmati tutti bagnati e ha mandato il video all'Unione Europea. Per fargli credere che ci aveva soccorsi in mare. E dicevano, se parlate vi ammazzo.”
A questo punto, interviene il giornalista che, ovviamente, non si chiede come il video sia stato “mandato” (e come faceva il tizio a saperlo) e per quale motivo dei vestiti bagnati con l'acqua di un rubinetto avrebbero dovuto attestare lo status di profughi. Ma la sua domanda è un'altra:
“Sei sicuro che era l'Unione Europea? Cosa c'era scritto sulle divise?”
“U-N. Poi non mi ricordo ma c'era un fiore bianco accanto.”
Le “divise”? Sappiamo così che qualcuno ha creduto alla storia dei vestiti bagnati ed è venuto a controllare non si sa cosa. Qualcuno, comunque, che non faceva parte di una ONG, considerando quanto riportato nell'intervista:
“Hai visto persone di organizzazioni internazionali?” (domanda del giornalista)
“No, nessuna organizzazione internazionale.”
Fatto sta che, dopo una serie di uccisioni (tra cui quella di un uomo che aveva raccontato a “quelli dell'Unione Europea” di non essere mai stato in mare, ma bensì arrestato per strada), stupri vari, l'arrivo dell'ambasciatore sudanese... misteriosamente si realizza l'imbarco:
“Il 12 marzo 2017 ci hanno imbarcati. Non sono partito per venire in Italia. Sono stato forzato a partire. Mi sono chiesto dove stiamo andando? E quindi ci hanno fatto imbarcare. Dunque ci hanno imbarcati su una nave. Io non ho pagato.”
E, finalmente, arriva una osservazione logica del giornalista di Repubblica: “Perché i libici vi hanno costretto ad imbarcarvi?”
Risposta: “Noi... laggiù non si (sa) quello che succede. In ogni caso, non abbiamo scelta. I neri laggiù (in Libia) non hanno scelta. Noi neri siamo come dei polli laggiù. Se torni indietro gli rovini il business e per questo ti obbligano a partire. Se avessi saputo che la Libia era così, non ci sarei mai andato. Ogni volta che vado a dormire mi torna in mente e non riesco ancora a capire.”
Speriamo che il prossimo video di Repubblica lo aiuti a dipanare il mistero.
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