L'Uomo nell'Ombra: il Licenziamento di Mandelson e il Sistema Epstein
di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico
La caduta di Peter Mandelson non è un semplice scandalo politico. È la cartina di tornasole di un sistema corrotto, un sintomo di un’infezione che ha divorato le stanze del potere globale. Mentre Londra e Washington si affannano a prendere le distanze dall’ambasciatore troppo amichevole con il pedofilo Jeffrey Epstein, la domanda che nessuno vuole veramente affrontare è la più semplice e al tempo stesso la più radicale: da dove venivano davvero i soldi di Epstein?
Perché un uomo come Mandelson, principe delle tenebre della politica britannica, maestro della manipolazione e fondatore di una delle lobby più influenti d’Europa, la Global Counsel, rischierebbe tutto per un finanziare americano? La risposta non sta nella morale, ma nell’economia. E l’economia di Epstein è il cuore di tenebra di questa storia.
La favola comoda vuole che Epstein fosse un “genio degli investimenti”. Una copertura perfetta per un’operazione che odorava di ricatto già decenni fa. La verità è che la sua fortuna non è mai stata spiegata, perché non doveva esserlo. Era il lubrificante di un sistema di potere illecito.
Epstein non vendeva prodotti finanziari. Vendeva accesso, protezione e, soprattutto, silenzio. La sua vera attività era la creazione di un mercato nero dell’influenza, dove la merce di scambio erano segreti e compromissioni. Attirava l’élite in un vortice di piaceri illeciti, documentava tutto, e poi usava quel materiale come leva. Non per estorcere soldi, ma per ottenere immunità, favori e un’influenza capillare che nessun hedge fund potrebbe mai comprare.
Mandelson non era un ingenuo. Era un consumato architetto del potere. Quando scrive a Epstein, già condannato, offrendo supporto e mettendo a disposizione i suoi contatti, non sta compiendo un gesto di amicizia malriposta. Sta pagando un debito. O sta proteggendo un investimento. Perché in quel sistema, Epstein era il centro della ragnatela. Tagliare i ponti con lui significava rischiare di essere tagliati fuori da un flusso vitale di informazioni e connessioni, o peggio, vedersi esposti.
La sua azienda, la Global Counsel, con clienti del calibro di JPMorgan, Barclays e Big Tech, non è un semplice studio di consulenza. È un hub di intelligence politica ed economica. E in questo business, l’accesso a informazioni privilegiate e a reti di influenze è tutto. L’amicizia con Epstein garantiva a Mandelson – e di riflesso ai suoi clienti – un accesso senza precedenti a un oscuro capitale sociale fatto di segreti e vulnerabilità dell’élite globale.
La fretta con cui la Global Counsel sta ora cercando di vendere la quota di Mandelson non è dettata dalla moralità. È una mossa di risk management finanziario. La reputazione tossica è una liability in un’economia che, seppur opaca, deve mantenere una parvenza di legittimità. I clienti pagano per l’accesso al potere, non per lo scandalo.
Ma il mistero più grande rimane: chi ha finanziato l’ascesa di Epstein? Chi ha fornito il capitale iniziale per costruire la sua macchina del ricatto? La pista porta a Leslie Wexner, ma è davvero plausibile che un magnate della moda affidasse miliardi a un uomo senza un track record verificabile, solo per "genialità finanziaria"?
La natura opaca di questo trasferimento di ricchezza ha alimentato teorie alternative e speculazioni selvagge, spesso strumentalizzate per scopi politici. Recentemente, il commentatore conservatore americano Tucker Carlson ha gettato un altro nome nel calderone, affermando senza fornire prove che Epstein fosse "finanziato dallo Stato di Israele". Un’accusa gravissima e potenzialmente antisemita, che rischia di sostituire un mistero con una caricatura, deviando l’indagine dalla sua pista più verosimile: quella di una rete transnazionale e apolide di potere, dove i legami non sono di nazionalità ma di interessi e ricatti. Il vero obiettivo di chi promuove queste narrazioni non è scoprire la verità, ma sostituire un complotto oscuro con un capro espiatorio comodo, spostando l’attenzione dai molti clienti potenti di Epstein a un unico, immaginario mandante nazionale.
L’ipotesi più inquietante è che Epstein non fosse un attore indipendente, ma un asset. Un operativo utile a servizi intelligence o a interessi economico-finanziari ancora più oscuri. La sua capacità di muoversi impunemente per anni, nonostante le accuse, le sue connessioni con il mondo scientifico e accademico, la sua rete globale di “contatti”… tutto punta verso un’architettura di potere deliberatamente costruita per il controllo e la manipolazione.
Il licenziamento di Mandelson non è la chiusura del caso. È la prova che il sistema Epstein è ancora vivo e operativo. Si sta semplicemente sbarazzando delle parti troppo esposte. Fintanto che non avremo il coraggio di seguire i soldi e smantellare l’intera architettura economica che ha reso possibile tutto questo, le ombre di Epstein e del suo sistema continueranno a governare dal buio.
La vera domanda non è cosa sapesse Mandelson, ma chi proteggeva e per chi lavorava veramente Jeffrey Epstein. E quella è una domanda che il potere non vuole sentirsi porre.