Nel “bunker” di Maduro
di Geraldina Colotti
Sulle piattaforme di opposizione, la domanda rimbalza: In quale bunker si nasconde il “dittatore” Maduro? Cubani, cinesi, russi (e chi più ne ha più ne metta) stanno scavando tunnel sotto il palazzo presidenziale “come quelli di Hamas sotto Gaza”?Segue una ridda di ipotesi sul tipo di attacco che sferrerà l'imperialismo Usa per “ripristinare la democrazia” e fare con il chavismo quel che Netanyahu e Trump hanno fatto con Gaza. D'altro canto, Machado ha chiesto pubblicamente al genocida sionista di “fare lo stesso lavoro” con i chavisti del suo paese...
E ora che Trump ha annunciato dapprima che le presunte operazioni contro il narcotraffico “potrebbero cominciare anche a terra”, e poi di aver dato mano libera alla Cia per compiere operazioni sotto copertura in Venezuela (onde riscuotere la taglia posta sulla testa del presidente e di altri dirigenti bolivariani), golpisti frustrati di tutte le risme si sentono già l'acquolina in gola. Dalla loro, sanno di avere il Segretario di stato Marco Rubio, rappresentante dell'anticomunismo più sfegatato di Miami, potente eminenza grigia dell'amministrazione nordamericana.
Già a maggio del 2025, quando il governo bolivariano lasciò andare negli Usa cinque oppositori che si erano volontariamente “autoesiliati” nell'ambasciata argentina a Caracas, Rubio dichiarò che era stata un'operazione della Cia a liberarli. E, allora, Machado aveva diffuso, enfatica, la falsa notizia, definendola come “un'operazione impeccabile ed epica” e annunciandone presto altre dello stesso tenore “per liberare gli eroi prigionieri”.
Nessuno di loro dubita che un attacco ci sarà, il Nobel per la Pace a Machado, che tutto è fuorché una eterea gandiana, viene interpretato così dall'estrema destra. Tanti venezuelani di classe media, che hanno lasciato fior di case e tenute nel paese per andare a impoverirsi in Europa, chiedono con ansia ai parenti rimasti quanti giorni, minuti, secondi dovranno ancora aspettare...
La speranza si è riaccesa a seguito degli omicidi mirati compiuti dagli Usa nel mar dei Caraibi, dove la Marina Militare continua l'eliminazione di presunti narcotrafficanti. È già morta una ventina di persone. Gli ultimi, erano colombiani. Un mix di provocazione militare e di guerra psicologica, tipico delle guerre di nuovo tipo.
Il governo bolivariano lo sta denunciando in tutte le istanze internazionali, mettendo in guardia circa le conseguenze globali di una simile “messa alla prova” in America latina. Stanno alzando la soglia dell'illegalità internazionale anche in un continente che, nel 2014, la Celac (l'organismo che comprende tutti gli Stati americani tranne Canada e Usa) ha dichiarato zona di pace. Perché?
La vicepresidente venezuelana, Delcy Rodriguez lo ha spiegato, dati alla mano, nel suo intervento al Forum internazionale sull'energia, in Russia. Presentando un'analisi di settore, Rodriguez ha citato le proiezioni che indicano una crescita del 23% della domanda di energetica il 2050. Un contesto in cui l'alleanza OPEC+ attualmente rappresenta il 56% della domanda di petrolio greggio, il 43% della produzione globale e l'81% delle riserve petrolifere mondiali.
Inoltre, va considerato che il 26% della produzione mondiale di petrolio e il 43% delle riserve globali è attualmente soggetto a sanzioni: un fatto – ha detto la vicepresidente – che pesa oltre che sul futuro dei paesi colpiti, anche sulla stabilità del mercato. Le recenti sanzioni imposte dagli Stati uniti alla Cina – ha avvertito - avranno un impatto significativo sulle catene di approvvigionamento, sui prezzi e sui mercati globali.
In questo contesto va vista l'aggressione militare al Venezuela, un paese con le maggiori riserve petrolifere accertate. Insieme alla Russia – ha ricordato Delcy -, il Venezuela rappresenta il 24% dell'approvvigionamento energetico mondiale grazie alle sue riserve di petrolio e gas, e sta costruendo alleanze per promuovere la pace e il benessere dei paese, mentre l'imperialismo nordamericano mira a impossessarsi della sua ricchezza nazionale.
Un attacco come quello che incombe sul paese bolivariano – ha messo ancora in guardia la vicepresidente – avrebbe però "un impatto sullo schema energetico internazionale e sul futuro sviluppo di tali risorse".
Per gli omicidi mirati nei Caraibi, che l'amministrazione Trump sta rivendicando con ostentazione, hanno protestato anche alcuni parlamentari democratici statunitensi. “Il Congresso non può permettere a nessun presidente di scatenare una guerra, illegalmente o unilateralmente”, avverte il Partito democratico con una dichiarazione immemore delle passati aggressioni Usa, ma quanto mai pertinente.
Intanto, da Kampala, in Uganda, dove si sta svolgendo la XIX Riunione ministeriale di medio termine del Movimento dei paesi non allineati (Mnoal), il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez ha ribadito il suo appoggio totale al Venezuela e all'unione civico-militare, guidata dal presidente legittimo, Nicolas Maduro. Rodriguez ha chiesto alla comunità internazionale di mobilitarsi per fermare l'attacco in corso nei Caraibi e preservare la regione come Zona di pace.
In quale bunker si “nasconde” Maduro? Nel bunker della coscienza popolare, in mobilitazione permanente contro qualunque evenienza. Il presidente venezuelano ha, infatti, moltiplicato le apparizioni pubbliche, nelle marce o nelle manifestazioni di quartiere, e negli esercizi di addestramento militare: accompagnato dalla direzione politica, a tutti i livelli di gestione di questo laboratorio, di resistenza e proposta, che dura da quasi 27 anni.
Dirigenti che, periodicamente, l'estrema destra giura essere in fuga o in procinto di tradire. E il peggio è che se lo credano, aumentando l'isteria e l'odio indotto dal loro stesso meccanismo. Chi non l'ha visto da vicino non può capire. È un odio che trasforma il parente in nemico, il commerciante sotto casa in un potenziale assassino, il giovane del piano di sotto in un esaltato pronto a piantarti un paletto nel cuore, com'è successo all'anziana dirigente di quartiere durante le violenze post-elettorali dell'anno scorso.
Chi ha studiato i meccanismi di manipolazione psicologica dei sentimenti e delle frustrazioni delle masse pensa al genocidio in Ruanda del 1994, quando il colonialismo ha soffiato sul fuoco di conflitti cosiddetti etnici, alimentati ad arte, scatenando una violenza inusitata all'interno delle stesse famiglie. Allora, strumento della carneficina fu la Radio delle mille colline, che arrivava direttamente nelle case. Adesso, sono i cellulari e le reti sociali.
Le testimonianze abbondano, qualunque giornalista può raccoglierle facilmente. Chi scrive, in tutti questi anni di “guarimbas” e di violenza declinata nelle più diverse maniere dai “pacifici manifestanti” insigniti ora del Nobel, ne ha davvero viste di tutti i colori. Chi ricorda le “puputof”, le bombe di escrementi tirate sulle forze armate dopo una minuziosa raccolta negli istituti educativi privati? Chi ricorda i fili di acciaio stesi da un capo all'altro delle strade per sgozzare i lavoratori che tornavano in moto nel buio della sera? Tutti i colori dell'odio. E della menzogna complice interessata a coprirla in Europa.