Scoop di "Domani": il momento in cui Quirinale, Bruxelles e Berlino hanno "spinto per Draghi"
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«Uomini dell’entourage di Sergio Mattarella, la Commissione europea di Ursula von der Leyen e le cancellerie di Berlino e Parigi hanno spinto per la sostituzione di Draghi subito dopo la lettura della prima bozza [del Recovery Plan]», dice un anonimo tecnico del MEF intervistato da “Domani”.
Ovviamente la retorica è sempre la solita: il Recovery Fund rappresenta un’occasione storica per l’Italia e i nostri cari partner europei erano preoccupati che non sapessimo sfruttare al meglio tutti questi fantastiliardi messi generosamente a disposizione dall’Europa, e quindi hanno pensato bene di togliere di mezzo Conte per mettercene uno più competente. Il tutto ovviamente nel nostro interesse.
Inutile dire che si tratta di una narrazione risibile. Come diciamo da tempo, il Recovery Fund non serve di certo ad aiutare l’Italia a risollevarsi economicamente, ma anzi serve a stringere ancora di più il cappio della UE attorno al collo del nostro paese. Potremmo definirlo un MES all’ennesima potenza.
Tanto per cominciare i soldi del Recovery Fund non sono né una montagna, né regalati. Il grosso dei fondi sono prestiti che andranno, ovviamente, restituiti; ma anche i cosiddetti “trasferimenti a fondo perduto” in realtà non sono tali: alla fine li dovremo rimborsare quasi tutti. Insomma, la UE si limiterà a ridarci indietro i nostri stessi soldi, come già avviene per i “normali” fondi europei.
Inoltre, il governo ha già fatto sapere che solo i trasferimenti verranno utilizzati per finanziare spese aggiuntive. Parliamo di circa 80 miliardi in sei anni: meno del deficit aggiuntivo stanziato dal governo nel solo 2020. Briciole. È lo stesso governo ad ammettere queste avranno un impatto irrisorio sull’economia: 0,3, 0,4 e 0,8 per cento del PIL nei prossimi tre anni.
Come se non bastasse, in cambio degli spicci europei dovremo anche impegnarci a tagliare la spesa pubblica per assicurare la sostenibilità del debito.
Ma arriviamo alla questione centrale, quella che interessa veramente ai nostri “amici” europei. I fondi del Recovery Fund prevedono condizionalità molto stringenti: non solo è la Commissione a decidere sostanzialmente come devono essere spesi i soldi, ma la loro ricezione è subordinata al rispetto delle raccomandazioni specifiche per paese della Commissione, che vanno da sempre nella stessa direzione: tagli della spesa pubblica, compressione del salari, deregolamentazione dei mercati del lavoro ecc.
In questo consiste, alla fine, il Recovery Fund: l’usurpazione definitiva di quel minimo di autonomia di bilancio – e dunque di democrazia – che ci era rimasta e l’accentramento di ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea. Altro che “opportunità storica”!
Detto questo, se veramente vogliamo dare credito alla teoria per cui l’operazione Draghi sarebbe stata orchestrata dall’asse Berlino-Parigi-Bruxelles, il motivo non è certo quello per cui temevano che Conte non avrebbe speso i soldi nell’interesse dell’Italia, ma semmai perché temevano che non li avrebbe spesi nella maniera auspicata dalla UE (ovvero dal capitale nordeuropeo, ovvero dalla Germania).
Ma se le cose stanno così, allora Conte è una vittima della sua stessa retorica. Col senno di poi, aver investito così tanto politicamente nel Recovery Fund – uno strumento che ha come unico obiettivo il commissariamento de facto dell’Italia – appare come un errore strategico colossale.
Se oggi, infatti, Draghi – letteralmente l’incarnazione vivente del vincolo esterno – può presentarsi come il salvatore della patria che può garantire l’arrivo e il “buon uso” dei fantastiliardi dell’Europa, è precisamente perché Conte in primis ha avallato fin dall’inizio la logica del vincolo esterno, presentando il Recovery Fund come un generoso regalo di mamma Europa che lo scolaretto Italia avrebbe dovuto fare di tutto per meritarsi e “spendere bene”, e anzi senza i quali saremmo stati perduti. Tra l’altro illudendosi di poter scegliere come spendere i soldi.
Insomma, Conte – sospinto da MoVimento Cinque Stelle e PD – non ha fatto che alimentare l’idea dell’Italia come nazione minus habens incapace di gestire se stessa e perennemente bisognosa dell’aiuto (e a volte della “rieducazione”) di qualche “provvidenziale” attore esterno, per definizione più civilizzato e capace di noi.
Questa è precisamente la narrazione che ha prodotto una classe dirigente completamente subalterna all’Europa e strutturalmente incapace di difendere gli interessi del paese, e che ci ha ridotti in quello “stato di minorità” che è proprio di chi sente la necessità di affidare ad altri le decisioni circa le proprie priorità e il proprio destino. Non sorprende che a farne le vittime, oltre ai comuni cittadini, siano spesso proprio i politici italiani, dediti da anni ad un’operazione di autodenigrazione di se stessi e del loro paese.
Se per mesi hai ripetuto la fandonia secondo cui il Recovery Fund – nei fatti due spicci concessi a debito in cambio di condizionalità peggiori del MES, come spiego nel dettaglio qui – rappresenta «la più grande occasione nella storia del paese», c’è poco da sorprendersi che oggi il popolo acclami l’arrivo dei “competenti” per gestire questa «opportunità storica». Che dire? Chi di vincolo esterno ferisce di vincolo esterno perisce.
Un ultimo appunto: indipendentemente dal fatto che il retroscena in questione sia vero o no, non si può non rimanere sorpresi di come ormai giornali “liberali” e “democratici” come “Domani” discutano apertamente del fatto che l’Europa e le principali cancellerie avrebbero pianificato, in combutta col presidente Mattarella, la rimozione di un governo e la sua sostituzione con uno più gradito, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Ormai abbiamo completamente introiettato la nostra condizione di colonia dell’impero UE a trazione franco-tedesca. Povera patria.