Spese militari e capacità bellica reale non coincidono negli Usa per questa ragione

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Spese militari e capacità bellica reale non coincidono negli Usa per questa ragione

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 di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico

 

Stando a quanto dichiarato da Mark Skidmore, professore di economia specializzato in finanza pubblica che lavora presso la Michigan State University, tra il 1998 e il 2015 due dipartimenti del governo federale Usa avrebbero effettuato spese non giustificate per oltre 21 trilioni di dollari. È quanto emerge da un’analisi a tappeto condotta da Skidmore e da una squadra di suoi collaboratori sul bilanci del Pentagono, del Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano e dell’Ufficio dell’Ispettore Generale. L’idea di passare al setaccio i conti del governo federale nasce dalle denunce formulate in precedenza da Catherine Austin Fitts, che in qualità di assistente al Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano sotto l’amministrazione Bush jr. denunciò che l’Ispettore Generale gli aveva confidato che, al luglio 2016, nel bilancio del Dipartimento della Difesa vi era un “buco” da 6,5 trilioni di dollari di spese ingiustificate. Skidmore, confortato dalla sua lunga esperienza nella pubblica amministrazione, pensò subito che la Fitts avesse scambiato miliardi con trilioni, ritenendo che un ammanco del genere fosse troppo grande anche per un apparato colossale come il Pentagono.

Decise quindi di vagliare in prima persona la documentazione, giungendo infine alla conclusione che le stime riportategli erano corrette, come confermato successivamente da un rapporto stilato dall’ispettore generale del Pentagono secondo cui il Dipartimento della Difesa non era stato in grado di esibire una documentazione completa attestante la destinazione finale di quei 6,5 trilioni di dollari di aggiustamenti nel bilancio dell’esercito tirati. Skidmore e la Fitts costituirono allora un gruppo di lavoro composto anche da un paio analisti economici freschi di laurea incaricati di raccogliere i dati e di incrociarli sa tra loro che con i rapporti periodici che l’Ispettore Generale aveva redatto a partire dal 1998, anno in cui entrarono in vigore le nuove regole sulla contabilità pubblica, fino al 2015, anno a cui si riferisce l’ultimo rapporto disponibile. Come ha spiegato lo stesso Skidmore: «a volte il revisore è obbligato a operare un aggiustamento dei conti perché le transazioni che è chiamato a verificare non sono correttamente riportate. Solitamente, le incongruenze riguardano una pozione minima della spesa totale autorizzata, oscillante tra lo 0,1 e l’1%. Ma per quanto riguarda il Pentagono, l’1% corrisponde a circa 1,2 miliardi di transazioni inadeguate […]. Lo studio che abbiamo condotto è incompleto, ma ci ha comunque permesso di rintracciare aggiustamenti per qualcosa come 21 trilioni di dollari. La fetta maggiore spetta alle forze armate. Siamo stati in grado di analizzare accuratamente 13 dei 17 anni presi in esame, e abbiamo trovato 11,5 trilioni di dollari di aggiustamenti soltanto per quanto riguarda l’esercito».

Skidmore non si spinge a ipotizzare che fine abbia fatto questa immane quantità di denaro pubblico, né se sia stata, rubata o impiegata per finanziare progetti legittimi ma non dichiarati. A tale proposito, un contributo assai sostanzioso lo hanno indubbiamente apportato gli sprechi, spesso associati a progetti sostanzialmente fallimentari. Stando, tanto per fare un esempio, a un rapporto firmato da Michael Gilmore, ex direttore della sezione del Pentagono che si occupa di testare i sistemi d’arma, il modello del caccia F-35 presentava ben 276 problemi tecnici (scarsa visibilità, scarsa manovrabilità, scarsa affidabilità dei sistemi di attacco, difficile visibilità in condizioni meteorologiche avverse) la cui risoluzione ha finito inesorabilmente per assorbire quantità ingenti di denaro aggiuntivo. Secondo la «Cnbc», «l’F-35 simboleggia tutto ciò che c’è di sbagliato nella spesa per la Difesa Usa: produttori incontrollati ed incontrollabili (in questo caso, Lockheed Martin), e una cultura del Pentagono incapace di seguire adeguatamente i dollari dei contribuenti». Una cosa del genere è accaduta con i mezzi Mrap (Mine-Resistant Ambush Protected), veicoli anti-mine al cui sviluppo erano stati dedicati circa 50 miliardi di dollari prima che gli esperti statunitensi si accorgessero che i vantaggi che offrivano in termini di blindatura erano vanificati dalla scarsissima velocità di movimento e dal loro costo astronomico.

Risultati altrettanto problematici sono stati conseguiti dalle unità navali di superficie Lcs, prodotte da Austal e Lockheed Martin: «debolezza strutturale, inadeguatezza del sistema informatico, fusione dei gruppi elettrogeni, tubi che tendono a scoppiare, deficit di propulsione ed errori di trasmissione potenzialmente disastrosi. Gli ufficiali sono inoltre scettici sulla loro efficienza in combattimento. Nel 2016, il presidente del comitato dei servizi armati del Senato John McCain ha aspramente criticato il programma, rilevando che ben 12,4 miliardi di dollari erano stati sprecati dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per 26 unità Lcs prive di capacità di combattimento. Secondo Michael Gilmore, direttore dell’ufficio del Pentagono che effettua i test, nessuna delle due varianti della nave Lcs sopravvivrebbe in combattimento […]. Vi inoltre menzionato il caso della portaerei Gerald Ford, il cui costo iniziale era stato stimato in 13 miliardi di dollari. La consegna è in ritardo di due anni, e il principale tester del Pentagono ritiene che non sia in condizione di combattere. Ha problemi col controllo aereo, il caricamento delle munizioni, l’autodifesa, il lancio e l’atterraggio di aerei. Un rapporto dell’ufficio per la responsabilità del governo ha rilevato che la combinazione tra l’aumento dei costi, gli ostacoli ingegneristici e la presenza di sistemi tecnologici non testati sta producendo una situazione allarmante che va affrontata dal Congresso. Alcuni esperti hanno anche sottolineato che nell’epoca dei missili a lungo raggio e potenti, le portaerei saranno obsolete (ma ancora incredibilmente costose) come risorse strategiche».

Per quanto gravosi, gli sprechi rappresentano tuttavia soltanto uno dei fattori di criticità segnalati da Mark Skidmore. A suo parere, infatti, ammanchi tanto misteriosi nel bilancio federale come quelli emersi nel corso della sua analisi non possono che certificare la presenza di qualcosa di profondamente sbagliato nel sistema di assegnazione dei fondi pubblici di cui si avvale il governo. Seymour Melman, economista di spessore con trascorsi al Pentagono sotto l’amministrazione Kennedy, ha rivelato in proposito che «i manager delle imprese civili e del capitalismo di Stato cercano entrambi di espandere il loro potere decisionale, ma lo fanno in maniera differente: i primi cercano di ridurre i propri costi di produzione in modo tale da avere maggiori profitti (capitali) che possono essere poi utilizzati in altri progetti; i secondi invece non hanno bisogno di ridurre i propri costi, perché ogni anno vengono resi disponibili nuovi fondi provenienti dagli stanziamenti del Congresso per il Dipartimento della Difesa […]. In effetti […], più i manager dell’economia militare fanno pagare i loro prodotti, più fanno profitti. L’aumento dei fondi disponibili per il Pentagono è una ghiotta occasione. Per esempio l’estrattore della puleggia per i caccia F-16, essenzialmente una barra di acciaio lunga cinque centimetri con tre viti, nel 1984 veniva venduto dalla General Dynamics al Dipartimento della Difesa per 8.832 dollari l’uno; se lo stesso articolo fosse stato progettato su misura da un’azienda privata sarebbe venuto a costare 25 dollari».

La stupefacente mancanza di trasparenza, aggiunge inoltre il professor Skidmore, stride in maniera palese con quanto stabilito in merito dalle leggi statunitensi, che attribuiscono al Congresso il compito di giustificare le spese federali. È interessante notare, a questo proposito, che l’annuncio di un audit da parte del Pentagono è giunto pochi giorni dopo che Skidmore aveva cofirmato con il suo collega di Boston Laurence Kotlikoff un articolo per «Forbes» in cui si dava conto delle sue ricerche. Tale risultato ha indotto il professore ad affermare che «anche se non possiamo sapere con certezza quale ruolo abbiano svolto i nostri sforzi nell’indurre il governo  a riprendere in mano documenti originali e a condividerli con il pubblico, riteniamo che possa aver fatto la differenza», anche se, stando a quanto denunciato dallo stesso Skidmore, alcuni dei link ai documenti chiave grazie ai quali la sua squadra era riuscita a certificare l’inghippo sono stati nel frattempo disattivati – nei giorni successivi, i documenti in questione sono stati reinseriti ed etichettati con indirizzi differenti. «È importante che il Congresso e i cittadini statunitensi abbiano fiducia nella capacità del Dipartimento della Difesa di amministrare correttamente ogni dollaro dei contribuenti», ha commentato il sottosegretario alla Difesa David Norquist cercando evidentemente di smentire le conclusioni di un’approfondita inchiesta condotta nel 2013 per «Reuters» da Scott Paltrow, il quale si era convinto che «negli uffici del Dfas che si occupano di tenere la contabilità per conto di Esercito, Marina, Aeronautica e altre agenzie della Difesa, quella consistente nel falsificare i conti è una procedura operativa standard».

Tutto ciò evidenza la netta sproporzione tra spese militari spaventosamente elevate (877 miliardi di dollari nel 2022, secondo il Sipri) profuse ogni anno dagli Stati Uniti e potenza bellica reale, i cui limiti sono peraltro emersi in maniera piuttosto evidente con l’incapacità del complesso militar-industriale della Nato di soddisfare adeguatamente la domanda di armi e munizioni dell’esercito ucraino.

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