“Sulla NATO incombe una sconfitta strategica”. Intervista esclusiva al gen. Marco Bertolini

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“Sulla NATO incombe una sconfitta strategica”. Intervista esclusiva al gen. Marco Bertolini

 

Intervista esclusiva de L'Antidiplomatico al gen. Marco Bertolini

 

Generale, la NATO, fondata con i presupposti di un'alleanza difensiva, sembra essere stata radicalmente trasformata dalla guerra in Ucraina. Si può affermare, secondo lei, che la NATO stia cercando una nuova vita scommettendo sulla guerra permanente?

 

La trasformazione è antecedente a quest’ultima guerra. Già con la fine della Guerra Fredda un’alleanza difensiva contro un nemico che di fatto si era arreso non aveva più senso. La Germania in quel momento venne abbandonata da buona parte dei contingenti internazionali che la occupavano, non solo nella sua partizione orientale e comunista, ma anche in quella occidentale. Rimase soltanto una forte presenza statunitense a conferma dell’interesse di Washington di mantenere la presa sul Vecchio Continente. L’Alleanza Atlantica da parte sua parve darsi un’altra funzione, passando dalla difesa comune all’esportazione del modello occidentale e americano, con le cosiddette operazioni di pace, prima tra tutte quella nei Balcani, nei quali sorse un nuovo “muretto di Berlino” in Bosnia tra Federazione croato-musulmana appoggiata dalla Nato e Republika Srpska appoggiata da Belgrado. Successivamente, un altro muretto venne eretto per dividere Kosovo e Serbia, approfittando dell’impotenza russa a proteggere gli interessi del proprio alleato di riferimento nei Balcani.

Ma è certamente ora, con la guerra in Ucraina, che la Nato dimostra più chiaramente quella che è la sua funzione di strumento di pressione nei confronti di quel continente euroasiatico che per Mac Kinder era l’Heartland, la porzione di mondo da contenere e controllare per avere il dominio globale. Certamente, quello che possiamo osservare è che nel caso specifico, la fine della guerra rappresenterebbe una sconfitta per la Nato e per tutto quello che è l’Occidente collettivo, per quanto è stato investito in una guerra che doveva provocare una “sconfitta strategica” per Mosca. Sconfitta strategica che invece, sul campo, pare incombere ora sulla Nato stessa, anche se ci sono altre aree “predisposte” per riproporre lo stesso scontro con Mosca, a partire dal Baltico, al Caucaso e ai Balcani stessi dove le frizioni per interposto Stato con Mosca sono pronte a scattare. Insomma, non sappiamo come e quando finirà la guerra in Ucraina, anche se la disparità di forze sul campo lascia poche illusioni a Londra, Washington e Bruxelles; ma quello che è certo è che non finirà con essa lo scontro al quale siamo assistendo.

 

Prima di Donald Trump nessun presidente degli Stati Uniti aveva messo in dubbio pubblicamente l'esistenza della NATO. C'è un nesso, a suo avviso, tra certe dichiarazioni ed i conflitti di Donald Trump con lo stato profondo o con una parte dell'élite finanziaria?

 

E’ molto difficile interpretare il pensiero di Trump, sfrondandolo di tutte le contraddizioni, accelerazioni e successive inversioni di marcia che ci sta mostrando. Credo che sostanzialmente lui percepisca l’inimicizia irriducibile dello Stato Profondo statunitense che resiste ad ogni suo tentativo di imprimere una diversa direzione alla politica US, soprattutto con riferimento alla funzione di poliziotto mondiale di cui si era rivestita in passato e che lui disdegna. Quello che traspare certamente è un disinteresse, anzi quasi un disprezzo, per la Nato e per l’Unione Europea, evidenziato in particolare col suo recente cambiamento apparente di posizione sulle possibilità di vittoria dell’Ucraina. Tende, invece, a considerare queste due realtà più come “clienti” ai quali affibbiare i suoi costosissimi prodotti, a partire dal GNL e per arrivare alle armi, visto che ci tengono così tanto a mantenere in vita una guerra in Ucraina che non è nei suoi interessi prioritari. Il che non significa che non sia anch’esso interessato ad avere una Russia indebolita, con la quale però avere rapporti da una posizione di forza in un mondo che riconosce essere destinato a diventare multipolare. In questo contesto, pare degno di nota il suo recente post col quale affermava che “after getting to know and fully understand the Ukraine/Russia Military and economic situation…. Ukr with the support of EU (nota: with the support of EU) is in position to fight and win……” concludendo però con un “I wish both countries well. We will continue to supply weapons to Nato for Nato to do what they want with them. Good luck to all!”. Un’affermazione che sembra più una sarcastica presa di distanza dall’Alleanza (l’uso del termine “they” è emblematico) e un lavarsi le mani per quello che l’Unione Europea vuol fare.

 

Sempre più spesso la NATO assomiglia all'ufficio vendite dell'industria militare degli Stati Uniti: a questo proposito l'Unione Europea aveva offerto la propria disponibilità ad acquistare dei sistemi di difesa antiaerea ed i missili Tomahawk a beneficio dell'Ucraina. Ma Donald Trump ha scartato quest'ipotesi. Perché?

 

Trump può sembrare pazzo, ma non lo è e sa benissimo che la cessione dei Tomahawh all’Ucraina coinvolgerebbe gli USA nel conflitto in Ucraina molto più direttamente di quanto non siano già coinvolti ora, con quella che definisce la “guerra di Biden”. Questo coinvolgimento sarebbe conseguenza della necessità da parte degli ucraini di delegare l’impiego di quei missili a personale militare americano, trattandosi di sistemi d’arma per i quali la mano e l’occhio statunitensi sono indispensabili. E questo Putin lo sa e l’ha già detto da tempo. Inoltre, il Tomahawk è idoneo anche a portare testate nucleari, e ogni suo lancio potrebbe essere interpretato come minaccia strategica, innescando una reazione devastante, anche se in realtà fosse con una testa di guerra convenzionale. Per ora, quindi, Trump pare restio a fare questo ulteriore passo verso una spiralizzazione che sarebbe difficile da fermare, scontrandosi però con il terrore della Commissione Europea e di alcuni paesi dell’Unione di rimanere col cerino in mano in caso di una fine delle ostilità che li relighino al ruolo degli sconfitti. Per questo, non è ancora detta l’ultima parola e non si può escludere un altro ribaltamento di fronte, con una decisione di Trump a favore di una cessione di tali sistemi che potrebbe aprire la scena a prospettive ancora più drammatiche. Insomma, speriamo che il Titanic non colpisca l’iceberg che biancheggia sempre meno debolmente poche miglia a prua nella notte.

 

Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha chiesto al Bundestag provvedimenti per reintrodurre in Germania il servizio militare obbligatorio. Come valuta queste dichiarazioni? Quali conseguenze può avere per l'Europa una decisione di questo tipo?

 

Il servizio militare obbligatorio, la cosiddetta leva, era stato sospeso (non abolito) anche in Italia all’inizio del millennio. Il provvedimento traeva spunto dal convincimento errato che il progresso scientifico e tecnico, nonché, l’espandersi della democrazia, relegasse le Forze Armate per lo più a Operazioni di Pace e comunque a bassa intensità. Per far fronte a queste esigenze, quindi, si riteneva che un Esercito di professionisti in grado di interfacciarsi efficacemente con le tecnologie correnti fosse sufficiente, non rendendo più necessario il riferimento ai classici principi dell’Arte della Guerra del passato e che, per fortuna, vengono ancora insegnati in tutte le Accademie. E tra questi principi, quello della Massa continua a sussistere a piena dignità a fianco a quelli del Fuoco, della Manovra, della Riserva e della Protezione. In particolare, la guerra in Ucraina ha dimostrato, con la sua virulenza e con la sua continua necessità di “carne da cannone” da mobilitare per ripianare perdite sempre più ingenti sulla liea del fronte, l’ingenuità dell’ideologia progressista secondo la quale, per dirla con Francis Fukuyama, la Storia è finita, assieme a quella antica festa crudele della guerra, grazie all’espandersi globale delle democrazie occidentali. Naturalmente, i singoli Paesi stanno facendo i conti con questa vecchia-nuova realtà, cercando di tornare sui passi di una progressiva smilitarizzazione che li lascerebbe privi degli strumenti principali per l’affermazione della propria sovranità: Forze Armate credibili, appunto. Per questo, soprattutto da sinistra si registra una sorprendente attenzione per le tematiche militari anche a costo di sfociare in un bellicismo ridicolo e irritante che contraddice decenni di retorica pacifista, nello sforzo disperato di deviare a livello europeo un potenziamento militare che per costruzione avrebbe nelle singole Patrie il proprio esclusivo riferimento. Da qui, i continui appelli per una “difesa comune”, un “esercito europeo” che prevenga un rafforzamento delle sovranità nazionali, percepite sia da sinistra, che dal centro, nonché anche da larghi settori della destra come un male da evitare.

 

La militarizzazione dell'economia sembra possibile solo con dei consistenti tagli alla spesa sociale. Crede che gli italiani siano disposti ad accettare certi sacrifici per aumentare le spese militari e per armare l'esercito ucraino?

 

Credo che ci siano eventi, come le guerre, ma anche i terremoti e le alluvioni, che prescindono dalla disponibilità popolare ad accettarle. Ne abbiamo l’esempio con quello che sta accadendo in Europa nonostante che le opinioni pubbliche siano quasi unanimemente contrarie alla continuazione della guerra. E questo vale anche per i tagli alla spesa sociale che l’impresa bellica, o anche solo – speriamo – la sua evocazione, può imporre. Di fronte alla domanda “volete burro o cannoni?” la scelta della piazza può essere spesso per i secondi, mentre nelle case si opta sempre per il primo, soprattutto in caso di guerre non finalizzate all’affermazione degli interessi vitali e diretti nazionali come nel caso in questione. Figuriamoci se poi si trattasse di spese a favore di un Esercito straniero come nel caso di quello ucraino. Ma il nostro paese, come gran parte degli altri, sta soffrendo di un deficit di sovranità veramente invalidante, iniziato con l’adozione di una moneta che non possiamo “gestire” secondo le nostre necessità, che rende particolarmente corta la catena alla quale siamo legati. La stranissima unanimità con la quale tutte le leadership europee si sono schierate dall’inizio contro una fine negoziata della guerra la cui continuazione impattava visibilmente contro i nostri stessi interessi, è indicativa a questo riguardo.

 

L'amministrazione Trump si era detta pronta a tenere a Budapest un vertice con quella del Cremlino, malgrado le ormai frequenti dichiarazioni di Macron, Starmer e Merz sul pericolo di un'invasione russa. Perché secondo lei gli Stati Uniti non sembrano credere a questa minaccia?

 

Che la Russia non abbia l’interesse né la possibilità di minacciare l’Europa lo si deve a ragioni demografiche, economiche e politiche. Da un punto di vista demografico, un paese di 146 milioni di abitanti e con territorio enorme e che va dall’Europa al Pacifico non ha certamente la possibilità di cercarsi rogne al di fuori della sua area. Può certamente distruggerci con il suo armamento nucleare ma non avrebbe il personale per controllare il nostro territorio né per avere la meglio di popolazioni molto più numerose. Inoltre, la Russia è anche un paese europeo e risentirebbe direttamente sul proprio territorio delle conseguenze della rovina del nostro, la cui ricchezza rappresenta invece una risorsa sulla quale investire. Venendo all’aspetto economico, questo vale anche per un alleato della Russia, la Cina, che proprio su un’Europa florida ha investito con la sua Via della Seta per trarre profitti. Da un’Europa in rovina e distrutta non potrebbe trarre nulla.

Infine, da un punto di vista politico, la Russia ha bisogno di un rapporto con l’occidente europeo per non essere velocemente fagocitata dall’oriente a trazione cinese che schiaccerebbe la natura europea della sua classe dirigente.

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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