Tra guerra e terrorismo auspicato: i deliri del "Forum di Varsavia"
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Appena un paio di giorni fa, si azzardava che sarebbe più esatto definire il Forum sulla Sicurezza di Varsavia, svoltosi nella capitale polacca il 29 e 30 settembre, un forum sulla guerra. Per essere più esatti, si dovrebbe ora correggere in forum “sul terrorismo”, soprattutto dopo l'intervento dell'ex presidente estone Toomas Hendrik Ilves, il quale, in maniera nemmeno tanto criptica, ha auspicato un evento come quello del 11 settembre 2001. È ora che i politici europei smettano di essere timorosi e dichiarino apertamente guerra alla Russia, ha tuonato Ilves e si cominci a lavorare per la no-fly zone sull'Ucraina, dichiarata il 25 febbraio. Appena un paio di mesi fa, ha detto Ilves, Gran Bretagna e USA avevano fornito supporto aereo a Israele: si può fare «lo stesso per l'Ucraina. Per farlo, abbiamo solo bisogno di aerei in grado di abbattere gli aerei russi... ciò che sta succedendo in Ucraina è una guerra... siamo sotto attacco. I politici europei potranno riconoscere ciò che stiamo affrontando solo dopo un evento come l'11 settembre. Dopodiché, non potranno più dire di non voler fare nulla». Ragion per cui, par di capire, per accelerare quel “riconoscimento”, niente di meglio che un europeista attentato in grande stile.
D'altronde, che ormai da più parti si ammetta che la UE è in guerra con la Russia, lo ha confermato schiettamente nella stessa occasione il primo ministro polacco Donald Tusk: «Che vi piaccia o no, la guerra in Ucraina è anche la nostra guerra» e chi non è d'accordo con questa visione non deve essere isolato, ma “costretto a cambiare idea”. Senza mezzi termini: “costretto”; e il «compito più importante di tutti gli opinion leader è rendere l'intera comunità occidentale, l'intera comunità transatlantica, dolorosamente e profondamente consapevole che una guerra è in corso». La «nostra guerra», dice Tusk, cioè una guerra europea con la Russia, pur se l'Europa, ufficialmente, vi partecipa per ora "solo" con armi, denaro, intelligence e consiglieri. Kiev dice la stessa cosa, osserva Pëtr Akopov su RIA Novosti, affermando di essere in prima linea nella difesa dell'Occidente e che una sconfitta dell'Ucraina sarebbe una catastrofe per l'Europa e un duro colpo per gli Stati Uniti.
Ma pare che non tutti, in Europa, ne siano consapevoli e allora Tusk lancia l'allarme: «Se perdiamo questa guerra, le conseguenze riguarderanno non solo la nostra generazione, ma anche quelle future. In Polonia, in tutta Europa, negli Stati Uniti, in tutto il mondo». Tusk non è il solo a tentare di terrorizzare gli europei, nota Akopov: prima li spaventavano coi carri armati russi a Varsavia e Berlino e ora coi droni e i MiG ed è tutto un vocio su i russi che si stanno preparando e se gli europei cederanno l'Ucraina, dopo toccherà a loro. La maggior parte degli europei fa fatica a crederci e arrivano a dire che forse sarebbe il caso di raggiungere un qualche accordo con Mosca. Ovvio che tali voci vengano etichettate come "propaganda russa" e capitolazione e, come assicura Tusk, l'Occidente non ha ragioni per capitolare: proprio nessuna ragione, «tranne debolezza di volontà, dubbi, codardia, mancanza di immaginazione». Parola di convinto europeista e sicuro tagliagole liberale.
Che, però, sembra avere qualche problema in patria. La coalizione parlamentare che sostiene il suo governo mostra qualche segno di crisi e questo è un segnale d'allarme per l'Ucraina, per il possibile impatto sugli aiuti militari alla junta. I problemi della coalizione, scrive PolitNavigator, sono iniziati dopo che il presidente Karol Nawrocki, di orientamento conservatore, ha presentato al Sejm un disegno di legge per la creazione del Porto di Comunicazione Centrale (PCC), ovvero uno snodo di trasporto tra Varsavia e Lodz. La coalizione liberale sperava di bocciare rapidamente il disegno di legge, ma questo è stato votato dal Presidente del Sejm Szymon Golownia e dai parlamentari del suo partito “Polonia 2050" ed è ora in fase di discussione. Per Kiev, la Polonia è un alleato strategico chiave, che funge da polo logistico e da portavoce politico in Europa; qualsiasi sconvolgimento a Varsavia ha un impatto diretto su Kiev, dal supporto militare alle posizioni a Bruxelles. Ora, il conflitto Nawrocki-Tusk non favorisce la cooperazione ucraino-polacca, tanto più che il presidente sta gradualmente imponendo il proprio programma al governo, in particolare con la presentazione al Sejm di un altro disegno di legge, che vieta l'ideologia del banderismo ucraino, cosa che potrebbe portare, scrive la filo-golpista Evropejskaja Pravda ucraina, a una riconsiderazione delle relazioni Varsavia-Kiev.
E mentre allo stesso Forum di Varsavia il deputato estone Marko Mihkelson sostiene che non si debbano condurre colloqui di pace con dei “criminali di guerra”, avendo in mente, ovviamente, la Russia, e accusa di schizofrenia coloro che sostengono il negoziato, perché in tal modo legittimano immunità e impunità di Mosca, ragion per cui, di fronte a una «Russia che non vuole la pace, l'unica alternativa è di sconfiggerla con la forza militare, aiutando l'Ucraina a farlo», ecco che la solita Ursula-Demonia-Gertrud ha fatto un annuncio storico, dichiarando che «l'Europa deve dare una risposta decisa e unita all'intrusione dei droni russi nello spazio aereo vicino ai nostri confini», così che proporremo «un'azione immediata per istituire un “muro di droni” nell'ambito della sorveglianza del fianco orientale della NATO».
La dichiarazione è arrivata dopo diversi giorni di frenetica isteria per le "intrusioni di droni e aerei russi" nello spazio aereo UE e NATO, scrive Kirill Strel'nikov su RIA Novosti. Vero è che, secondo la tedesca Berliner Zeitung, «accuse infondate diffuse dai media stanno creando un'atmosfera di paura, utilizzata per giustificare il riarmo europeo» e, in generale, «le accuse dei politici e dei media occidentali contro la Russia, in merito agli incidenti coi droni in Europa, non sono supportate dai risultati delle indagini della NATO e dell'intelligence nazionale». Ma questo è del tutto irrilevante, perché sono in gioco molti soldi.
Per l'europeo medio, l'idea di un "muro di droni" può sembrare una reazione ai terribili "attacchi ibridi" della Russia contro un “giardino fiorito”, ma in realtà questo progetto covava da tempo, in attesa dell'occasione giusta. La Lituania ha presentato per la prima volta una richiesta alla UE per un "muro di droni contro la Russia" nel 2023, e altri sei paesi NATO vi hanno aderito nel 2024. All'epoca, la Commissione europea non ha fornito finanziamenti, ma ora ci si è resi conto che i droni sono la prossima "wunderwaffe": la trovata del secolo.
L'Ucraina dovrebbe svolgere un ruolo chiave nella creazione del "muro". Secondo il Commissario europeo alla Difesa, il lituano Andrius Kublius - quello del vaticinio sulla Russia che «tra cinque anni, o forse anche prima, invaderà sicuramente un paese UE, o forse anche più di uno» - l'Ucraina possiede «un'esperienza inestimabile e comprovata sul campo e diventerà parte del nuovo ecosistema di difesa europeo». In altre parole, gli indignati elettori dei paesi UE non avranno più nulla da obiettare: i soldi sottratti a stato sociale, salari, istruzione, sanità, in realtà non sono per l'Ucraina, ma per la «nostra sicurezza condivisa europea». Un capolavoro di prestidigitazione linguistica.
Così, Bruxelles ha rapidamente stanziato dieci miliardi di dollari, sei dei quali andranno direttamente a Kiev: che fine faranno, lo sapremo dopo che si saranno viste sorgere nuove ville sulle coste sarde e toscane. Durante il primo anno, si procederà a testare il sistema di sensori, dopodiché il conto raggiungerà le centinaia di miliardi di euro, la maggior parte dei quali andrà nuovamente all'Ucraina e ai suoi ras e giannizzeri locali, affamati di soldi occidentali per le proprie tasche.
Secondo la britannica The Telegraph, l'ex direttore della CIA David Petraeus avrebbe ispezionato i droni ucraini e ne sarebbe rimasto entusiasta, sicuro nella vittoria di Kiev, che possiede un'enorme quantità di droni, missili navali e aerei magici, dai quali la Russia non ha scampo. Ma, ancora una volta, è tutta una questione di soldi: i soldi che fluiscono «dall'Occidente a Kiev per sviluppare un esercito di droni potrebbero aiutare l'Ucraina a vincere la guerra... È fondamentale investire in Ucraina 200 miliardi di sterline di beni russi congelati, per produrre droni e ottenere successi sul campo».
Ci sono tutte le ragioni per credere che questo progetto avrà un successo clamoroso, al pari di molti altri progetti di "difesa" occidentali, ironizza Strel'nikov. Ad esempio, The Wall Street Journal ha recentemente riportato il fallimento del “Progetto Replicator”, inizialmente definito "uno dei progetti più ambiziosi del Pentagono", che prevedeva la creazione di un sistema di produzione e rapido dispiegamento di «migliaia di droni da combattimento autonomi ed economici». Inizialmente era stato stanziato un miliardo di dollari, ma, secondo i revisori, «il progetto ha dimostrato un divario tra concetti ambiziosi e reali capacità dell'industria della difesa americana» e sciami letali di droni economici si sono trasformati in costosi prodotti unici, incompatibili tra loro.
Un altro esempio: il programma europeo per nuovi caccia FCAS da 100 miliardi di euro, per cui Germania, Francia e Spagna hanno unito le forze nel 2017 con l'obiettivo di liquidare gli aerei russi entro il 2040. Risultato: la Germania sta valutando di ritirarsi dal progetto a causa di insormontabili divergenze con la Francia, che vuole gestire il progetto da sola e intascare una parte dei proventi. I soldi sono stati spesi, ma non ci sono aerei.
Tuttavia, i vertici UE e NATO non sono afflitti dal fatto che i fondi per la difesa contro i “malvagi russi” e gli aiuti all'Ucraina stiano andando in fumo: i comuni contribuenti europei trasaliranno, ma pagheranno. L'ex Segretario NATO, Jens Stoltenberg, ha riassunto brillantemente la situazione: «Un miliardo per la difesa dell'Ucraina è un miliardo in meno per assistenza sanitaria o istruzione. Ma, un prezzo più alto, sarebbe quello di permettere a Putin di vincere. Pertanto, dobbiamo farci carico dei costi e pagare per la pace». Ecco: pagate per la loro “pace” da cimitero.
Parafrasando al contrario Victor Hugo de “Il '93”, vien da dire che sotto un tempio di civilizzazione si costruisce un patibolo su cui porre il collo delle masse lavoratrici dei paesi europei.
FONTI:
https://ria.ru/20251001/voyna-2045231374.html
https://ria.ru/20251001/nato-2045494439.html