Verso la Legge di Bilancio nel nome dell'economia di guerra

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Verso la Legge di Bilancio nel nome dell'economia di guerra

 

di Federico Giusti

La manovra economica  non porta soldi al welfare, a sanità e istruzione che diventano invece le vittime sacrificali per l’aumento delle spese militari. Eppure ne avrebbero forte bisogno visto che spendiamo meno della media europea. E' la prima impressione ricavata dalla rapida lettura del  Documento programmatico di Finanza pubblica, in questa sede proviamo a riflettere su un unico punto ossia le spese militari non prima di avere colto nella nota tecnica dell'Ufficio parlamentare di Bilancio gli elementi di criticità evidenziati sulle prossime scadenze del PNRR oltre ad alcuni pericoli che potrebbero arrestare la pur debole crescita dell'Italia e della UE (il protezionismo, le guerre e i piani di riarmo, fonti primarie di incertezza con effetti sull’economia di difficile quantificazione)
 
Andiamo alle spese militari sapendo che molti capitoli di bilancio afferenti ad altri ministeri non permettono la quantificazione veritiera della spesa complessivamente effettuata. In questo modo, e non certo da ora, diventa arduo non solo quantificare la spesa militare complessiva che risulterà invece inferiore alla media europea. E sarà agevolato il compito della propaganda governativa  al fine di presentare la Premier come una guida oculata e indipendente, attenta in prima istanza agli interessi nazionali. Se andiamo indietro nel tempo, solo di qualche mese, troviamo dichiarazioni del Ministro della Difesa alquanto critiche sulla possibilità dell'Italia di assecondare le richieste Usa, fatto sta che la prossima manovra di Bilancio tra tagli e riduzioni di spesa prevede invece grandi investimenti nel militare
 
 
Nelle stanze governative si naviga a vista, perfino sulla questione palestinese, senza mai mettere in discussione il sostegno ad Israele, sono passati da una posizione ultrasionista a dichiarazioni di sostanziale apertura a un eventuale riconoscimento dello stato palestinese, pur senza Hamas.
 
E gli straordinari numeri delle manifestazioni di piazza hanno costretto la stessa Meloni a cambiare in parte la sua posizione pur buttandola in caciara con i giornali di destra che ogni giorno invocano la mano pesante a difesa dell'ordine pubblico.
 
Hanno fiutato il cambio del vento di una opinione pubblica schierata contro il genocidio e sanno che la campagna mediatica dei  loro giornali rischia di rafforzare le simpatie per la Resistenza palestinese, non produrranno effetti le accuse di connivenza con Hamas, le fake news, le letture parziali improntate alla difesa dell’ordine pubblico, all’odio verso chi sciopera.
 
 Le spese per la difesa aumenteranno nei prossimi anni , magari meno di quanto previsto dagli accordi Nato e Ue che vogliono i loro muri di droni e di missili, le armi all’ucraina, sia sufficiente guardare gli articoli sulla stampa e, meglio ancora, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp)
 
La spesa militare crescerà di circa 3,3 miliardi in più l’anno prossimo, quasi 7 quello dopo e 12 miliardi dal 2028 in poi, fatti due conti sono oltre 22 miliardi più di quanto speso fino ad oggi , si passa al 2,5% del Pil per spesa militare arrivando in 89 anni al 3,5% alle quali aggiungere oltre l’1,5% di spese non specificate in sicurezza, le missioni militari all’estero e altri “investimenti” afferenti a vari capitoli e differenti Ministeri
 
Una economia di guerra che si rispetti ha bisogno di accrescere le spese militari, di prestiti dalla UE, della clausola di salvaguardia comunitaria che esclude le nuove spese per la difesa dai tradizionali vincoli fiscali europei, nella speranza di uscire presto dalla procedura di infrazione (per avere superato la soglia del debito pubblico ammesso da Bruxelles) e accrescere ulteriormente le spese.
 
I miliardi per la difesa potrebbero presto sparire dai parametri Ue, la ipotesi di emissione del debito, pagandone gli interessi, è una condizione essenziale per la tenuta del sistema che punta sulle imprese di armi per superare la crisi in cui si dibatte l’economia e a tale scopo stanno lavorando per riconvertire  ad uso militare le imprese civili di settori in forte depressione.

 

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