L'euro è stata una cattiva idea fin dall'inizio. Foreign Policy

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Dopo frenetiche trattative dell'ultima ora e in tutto il continente, le autorità della zona euro e il nuovo governo di sinistra della Grecia hanno raggiunto un accordo. Se siete sorpresi, scrive Paola Subacchi su Foreign Policy, non dovreste esserlo: né il governo greco né la Germania e gli altri Stati membri avrebbero rischiato di provocare una crisi finanziaria.
 
La stabilità finanziaria nell'area euro è stata conservata - almeno per ora. Ma rattoppare la situazione non ha rimosso la questione chiave di cosa fare orai. C'è tanta avversione nei confronti delle misure di austerità in Europa in questo momento. Questo è comprensibile e l'Europa dovrebbe condurre una valutazione tanto necessaria quanto approfondita dell'intero progetto dell'euro: Ha ancora senso, dati i suoi vincoli e limiti? Quale dovrebbe essere la via da seguire?  E' stata una buona idea?
 
Come l'economista tedesco Rudiger Dornbusch ha scritto nel 1996, "Se c'è una cattiva idea, questa è l'UEM". La zona euro non ha le caratteristiche di quella che gli economisti chiamano un "area monetaria ottimale." Secondo la definizione standard, un'area valutaria ottimale è caratterizzata da una perfetta mobilità del lavoro, perfetta flessibilità dei salari, e di un sistema di condivisione del rischio.
 
La sopravvivenza dell'euro nel contesto di preferenze nazionali eterogenee ha portato ad una lunga recessione, con alto tasso di disoccupazione e il deterioramento delle condizioni di vita in alcuni paesi, il debito pubblico ingestibile, e l'opinione pubblica sempre più euroscettica.  
 
E la fine non è vicina. I problemi sono stati corretti, ma non risolti. Ad esempio, la questione di come trattare i grandi livelli di debito pubblico data la rigidità strutturali e i vincoli istituzionali - tra cui il divieto di monetizzazione del debito - continuerà a tormentare la sopravvivenza del progetto dell'euro, minacciando stabilità finanziaria e fattibilità politica.
 
L'unica strada per i paesi fortemente indebitati come la Grecia e l'Italia sembra essere continuare più o meno con la stessa ricetta: deflazionare salariale, aumento della flessibilità del mercato del lavoro, e attuare riforme dal lato dell'offerta, come la privatizzazione e la contrazione del settore pubblico. Ma va al di là di quello che gli elettori sono disposti a sopportare.
 
All'interno del sistema attuale, gli Stati membri sono bloccati in un tasso di cambio fisso che riflette il tasso di conversione delle valute nazionali in euro. Il tasso di cambio non può più essere utilizzato come strumento politico per rendere le esportazioni più competitive e riequilibrare l'economia domestica. Così, un paese può guadagnare competitività nel breve periodo solo deflazionando i salari e riducendo il costo del lavoro.
 
Dall'inizio della crisi dell'euro, un dibattito politico limitato e il prevalere delle opinioni dei paesi economicamente e politicamente più forti (pensate alla Germania) hanno trasformato questo sitema in un sistema punitivo.  
 
Ed ecco la parte peggiore: Niente di tutto questo avrebbe dovuto essere una sorpresa. Il progetto euro non è la prima volta che un tasso di cambio fisso ha costretto i paesi a riequilibrare attraverso la deflazione dolorosa e inutile.

L'opzione di un'uscita dall'euro non è prevista dai trattati a meno che gli Stati non siano disposti a imboccare la strada dello smantellamento dell'euro, qualcosa che il governo di Atene dice di non voler fare. Ma l'austerità pesa e ha reso le politiche deflazionistiche meno accettabili nei paesi democratici. Ciò si riflette in un dibattito che è sempre più polarizzato tra i partiti pro-euro e anti-euro, e tra quelli pro-Germania e quelli anti-Germania.
 
L'unione monetaria europea è un progetto politico costruito sul presupposto impossibile che una moneta unica - e un mercato unico - potessero superare gli interessi nazionali e la politica interna. La storia degli ultimi cinque anni mostra i costi di queste ipotesi. E questo offre all'Europa l'opportunità di riflettere sul se l'impegno a mantenere l'euro - fare "tutto il necessario" nelle ormai famose parole del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi - sia la strada giusta da seguire, soprattutto se questa strategia influisce negativamente sul benessere di alcuni Stati membri e rischia di minare la democrazia.   

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