Benigni e l'inno al suprematismo razzista dei colonizzatori

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Benigni e l'inno al suprematismo razzista dei colonizzatori

 
di Diego Angelo Bertozzi per l'AntiDiplomatico

La sera del 19 marzo in diretta televisiva su Rai1 abbiamo potuto assistere allo show del comico e attore Roberto Benigni: al centro del suo discorso il sogno dell'unità europea e un suo possibile e augurabile futuro federalista. Andiamo oltre la consueta retorica della costruzione dell'Unione Europea come salvaguardia di pace, perché si dovrebbero elidere i 67 giorni di bombardamento continuo su Belgrado e, ancor prima, la tragedia della ex Jugoslavia. Mi voglio, invece, concentrare sul modello, indicato nell'occasione, cui dovrebbero rivolgersi i governi del Vecchio Continente per giungere ad un vero e proprio patto federativo, unica possibile soluzione contro i nazionalismi, e quindi, l'esplodere di nuovi conflitti militari. Il modello è rappresentato dal processo di costruzione degli Stati Uniti d'America a partire dalla rivoluzione del 1776 e che terminò con la vittoria sull'Inghilterra e la successiva proclamazione della costituzione federale nel giugno del 1788.

In astratto la ricostruzione di Benigni, con tanto di citazioni dei protagonisti, non comporta particolari problemi. La soluzione federale, con un governo centrale limitato dai singoli Stati oltre che dagli altri poteri costituzionali, è ritenuto come migliore garanzia per evitare la perpetua conflittualità delle potenze europee. Purtroppo, però, si resta sul piano dell'astratto e, mi si permetta, di un radicata lettura "razziale" della storia. Certo, il famoso comico ha dovuto ricordare che c'è stata una sanguinosa guerra civile; ma volete paragonare questo solo incidente con l'atavica propensione alla guerra delle Corone europee? Poi il nulla: una pace eterna e la fine dei nazionalismi nella terra dei Padri pellegrini! Peccato che la costruzione (processo progressivo certamente) della democrazia statunitense sia passata attraverso una pesantissima e sanguinosa clausola di esclusione rappresentata dalla sterminio pianificato delle popolazioni native. Una vera e propria guerra continua durata oltre un secolo. Non farne il minimo cenno non costituisce una semplice agiografia - sopportabile visto che sarebbe una delle tante - ma rivela una lettura suprematista che cancella dalla storia intere popolazioni nella creazione e nel consolidamento della futura superpotenza globale. Significa accettare il razzismo di colonizzatori che sentivano su di sé il diritto divino di eliminare fisicamente popolazioni inette, incapaci di governarsi e di sfruttare le risorse a loro concesse dal buon Dio, e rappresentate alla stregua di selvaggi dediti al paganesimo.

Il mito della conquista, e quindi dell'epopea della costruzione della nazione, ha come presupposto che di fronte ci fosse una terra vergine, una sorta di deserto desolato abitato da popolazioni definite spesso come demoni o esseri bestiali dalla precaria forma umana. Pensiamo a quel che accade a metà del '600 agli ostinati Pequot che non volevano cedere le proprie terre: furono oggetto di una vera e propria serie di spedizioni militari (guerre, caro Benigni!) che portò al massacro ("Dobbiamo bruciarli" era il grido di battaglia) a fil di spada di uomini, donne e bambini, così da fungere da macabro monito per altre popolazioni native. Il tema della "Minaccia indiana" trova qui le sue radici, nel dipingere l'indiano come una creatura feroce, dalla natura demoniaca o bestiale, da sterminare per mettere al sicuro l'umanità.

Ma passiamo oltre e guardiamo al pacifico periodo post indipendenza. Negli anni '20 dell'Ottocento, sotto la presidenza del democratico Jackson, viene ripresa la pratica dei trasferimenti forzati delle popolazioni indigene (non certo un atto di guerra, vero Benigni?): la più efferata per violenza è quella del 1838 subita dai Cherokee della Georgia, spinti lungo vari "Sentieri delle lacrime" fino nell'odierno Oklahoma: una vera e propria strage con cadaveri lasciati sul terreno e con circa il 25% dei deportati che non giunse a destinazione. Nel 1864 tocca, nel Colorado, al villaggio di Sand Creek dove lo sterminio indiscriminato è esemlificativo del trattamento riservato a questi popoli. Il colonnello John Chevington, d'altronde, era stato chiarissimo nel presentare al Congresso la spedizione (mica una guerra, caro Benigni!) preannunciando che la sua politica era quella di "uccidere e raccogliere gli scalpi di tutti, piccoli e grandi", specificando che le "lendini fanno i pidocchi". Insomma, gli indiani non erano umani, ma pidocchi colpevoli pure di mettere al mondo troppe lendini. Che dire? Tale espressione sarebbe stata utilizzata dal nazista Himmler per descrivere lo sterminio ebraico come un'operazione simile alla "disinfestazione dai pidocchi". Mi fermo qui, per non appesantire con i tanti esempi della lunga guerra contro intere popolazioni.

Proprio così, caro Roberto Benigni, fatta eccezione per una popolazione di animali, sotto uomini e belve pagane, e il benefico incidente della guerra civile, gli Stati Uniti sono l'esempio di un processo federativo garante di pace e barriera contro i razzismi a cui dovremmo inspirarci noi, membri della superiore razza bianca dominatrice.

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