A proposito di matrimoni, feste in laguna e città blindate
« (…) Solo in quanto è capitale personificato, il capitalista ha valore storico e possiede quel diritto storico all’esistenza che, come dice spiritosamente il Lichnowsky, non ha data. E solo in quanto egli è capitale personificato, la sua propria necessità transitoria è insita nella necessità transitoria del modo di produzione capitalistico; (…) Il capitalista è rispettabile solo come personificazione del capitale; in tale qualità condivide l’istinto assoluto per l’arricchimento proprio del tesaurizzatore. Ma ciò che in costui si presenta come mania individuale, nel capitalista è effetto del meccanismo sociale, all’interno del quale egli non è altro che una ruota dell’ingranaggio. (…) Dunque, in quanto tutto il suo fare è soltanto funzione del capitale che in lui è dotato di volontà e di coscienza, il proprio consumo privato è considerato dal capitalista come furto ai danni dell’accumulazione del suo capitale (...) Mentre il capitalista classico bolla a fuoco il consumo individuale come peccato contro la propria funzione e come un «astenersi» dall’accumulazione, il capitalista modernizzato è in grado di concepire l’accumulazione come «rinuncia» del proprio istinto di godimento. «Due anime abitano, ahimè, nel suo petto, e l’una dall’altra si vuoi separare!».
Agli inizi storici del modo di produzione capitalistico — ed ogni capitalista ultimo arrivato percorre individualmente questo stadio storico — predominano l’istinto d’arricchimento e l’avarizia come passioni assolute. Ma il progresso della produzione capitalistica non crea soltanto un mondo di godimenti, apre anche con la speculazione e col credito mille fonti di arricchimento improvviso. A un certo livello di sviluppo un grado convenzionale di sperpero, che è allo stesso tempo ostentazione della ricchezza e quindi mezzo di credito, diventa addirittura necessità di mestiere per il «disgraziato» capitalista. Il lusso rientra nelle spese di rappresentanza del capitale. Inoltre, il capitalista non si arricchisce come il tesaurizzatore in proporzione del suo lavoro personale e della sua frugalità personale, ma nella misura nella quale succhia forza-lavoro altrui e impone all’operaio la rinuncia a tutti i piaceri della vita. Dunque, benché la prodigalità del capitalista non abbia mai il carattere di buona fede che ha la prodigalità dello spensierato signore feudale, e benché anzi nello sfondo stiano sempre in agguato la più sudicia avarizia e il calcolo più pavido, tuttavia la sua prodigalità cresce col crescere della sua accumulazione, senza che l’una debba pregiudicare l’altra. Ma con il crescere dell’accumulazione nel seno sublime dell’individuo capitalista si accende un conflitto faustiano fra istinto d’accumulazione e istinto di godimento.
Marx, Il capitale; Capitolo XXII; 3, Divisione del plusvalore in capitale e reddito. La teoria dell'astinenza