La resa (definitiva) di Zelensky allo studio Ovale

Zelensky torna a mani vuote, la partita vera è fra Trump e Putin. Rigettate le richieste di Kiev: niente missili, niente sanzioni, niente escalation. L'incontro decisivo sarà a Budapest

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La resa (definitiva) di Zelensky allo studio Ovale

 


di Clara Statello per l'AntiDiplomatico


Il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump è un grande apprezzatore della lirica italiana. Prima di ricevere il capo di stato ucraino Volodymyr Zelensky, si è intrattenuto nello Studio Ovale con il celebre tenore Andrea Bocelli, erede del grande Luciano Pavarotti, che ha riempito la sala e le aree attigue con le note di Con te partirò.

Secondo il blogger dissidente ucraino Anatoly Shary, Trump avrebbe talmente apprezzato da dire a Zelensky di non affrettarsi ad arrivare alla Casa Bianca. Vero o no, il briefing dei due capi di stato è iniziato con oltre mezz’ora di ritardo rispetto al programma ufficiale.

Mentre i due presidenti si stingevano la mano, un giornalista ha chiesto loro se pensavano di poter porre fine alla guerra in Ucraina. Entrambi hanno risposto di sì. Sorridendo. C’è però una profonda divergenza tra i due sul modo in cui intendono concludere il conflitto.

 

L’irriducibile divergenza tra Trump e Zelensky

Davanti ai giornalisti, Trump ha dichiarato di credere a Putin quando dice di voler fermare la guerra. Zelensky pensa l’esatto opposto e ritiene che il leader russo debba essere “costretto” a sedere al tavolo delle trattative. A colpi di Tomahawk, naturalmente.

Di conseguenza la strategia della Casa Bianca è esattamente l’opposto di quella di Bankova e dei cosiddetti leader volenterosi.

Trump dichiara di sperare di “poter porre fine alla guerra” senza dover pensare ai Tomahawk. All’inizio dell’incontro ha messo ben in chiaro con i giornalisti di ritenere che attaccare in profondità la Russia con armi americane nel territorio sarebbe un’escalation. Non vuole arrivare a tanto (lasciando intuire che non è detto che non ci arriverà, se l’incontro con Putin a Budapest dovesse andar male).

Come si era accennato in un articolo precedente, l’opzione Tomahawk costituisce il perno dell’ambiguità strategica che Trump sta adoperando nella diplomazia con Mosca. Una delle poche carte che può usare con Putin.

 

La strategia di Zelensky

Com’era prevedibile, dopo il colloquio telefonico di giovedì tra Mosca e Washington, Zelensky ha trovato davanti a sé un muro scivoloso che ha sbarrato ogni speranza di portare a casa un accordo per le forniture di Tomahawk, altri sistemi di armi e il via libera per gli attacchi in profondità.

L’unica carta che è riuscito a giocare, durante l’incontro pubblico, è stata quella dello scambio: ha offerto agli Stati Uniti droni il know how per rafforzare l’industria di droni, in cambio dei missili.

Il presidente statunitense ha dato una risposta lapidaria: i droni ucraini sono molto buoni, ma non c’è nulla come i nostri jet.

 

La strategia di Trump

Tutto ciò che il capo della Casa Bianca è disposto a concedere al suo omologo ucraino è una pacca sulla spalla, i complimenti per il bell’abito elegante (dopo il diverbio al primo incontro allo studio ovale, i complimenti sul look sono la cartina tornasole dei rapporti tra Washington e Kiev – di subalternità, naturalmente), riconoscerne il valore di leader che sta attraversando molte difficoltà.

Apre ad un possibile incontro doppio a Budapest, promettendo che manterrà informato il leader ucraino di ciò che succede. Forse l’Ucraina potrà riprendere i propri territori. Forse potrà dare armi a Kiev e sanzioni a Mosca, se l’incontro con Putin non dovesse andar bene.

Pacche sulle spalle, paternalismo e ambiguità strategica, questo è l’atteggiamento di Trump nei confronti del suo ospite, durante un briefing che è più un tripudio narcisistico del capo della Casa Bianca che una trattativa.

 

La fermezza sui Tomahawk

Durante l’incontro pubblico, Zelensky appare come una semplice comparsa delle mille imprese compiute da Trump. Il presidente ucraino affronta i più svariati temi di politica internazionale, dal nobel per la pace assegnato “ad una brava donna di cui non conosco il nome”, ai rapporti con la Cina, con il Venezuela, le otto guerre che si vanta di aver concluso.

Il leit motive del “pacificatore” verrà ripetuto più volte durante i 45 minuti di briefing. Anche perché adesso vuole il nono accordo di pace. Insomma la fine della guerra in Ucraina per Trump è un affare personale:

  • è la guerra di Biden, non la sua;
  • È provocata dall’odio profondo tra Zelensky e Putin, non da un problema di sicurezza in Europa;
  • Vuole concluderla per uno scopo personale, il nono accordo per il cessate il fuoco nel primo anno di mandato.


In realtà, chiarisce subito che i Tomahawk sono armi prodigiose ma servono agli Stati Uniti. Così come le altre altri armi richieste da Kiev.

“Questa è una delle ragioni per cui vogliamo porre fine a questa guerra”, afferma davanti alla stampa, tradendo uno dei principali problemi provocati agli Stati Uniti dalla “guerra di Biden”: la perdita della deterrenza americana.

Un’altra ragione per cui Trump non vuole destinare questi sistemi di arma in Ucraina, potrebbe essere che ne ha bisogno per altri scenari, come Iran o Venezuela.

Per rimarcare l’intenzione di non consegnare (almeno in questa fase) i Tomahawk, la Casa Bianca pubblica un messaggio su X, in cui ripete una dichiarazione del leader USA, a commento di una foto dell’incontro (ancora in corso):

“Noi (gli USA, ndr) non stiamo perdendo persone, non stiamo spendendo denaro, ci pagano per munizioni e missili…abbiamo fatto un affare molto vantaggioso con la NATO. Non siamo qui per questo, siamo qui per salvare vite…”.

Insomma, la priorità strategica per Trump è quella di arrivare ad un cessate il fuoco con la Russia, non di fare affari con i membri della NATO vendendo armi per l’Ucraina.


Le condizioni di Trump per Putin

Nella prima dichiarazione rilasciata ai giornalisti subito dopo l’incontro – e dopo l’arrivo a Mar-a-Lago - ha detto chiaro e tondo:

“A mio avviso dovrebbero fermare immediatamente la guerra, cessare il fuoco lungo la linea del fronte adesso, altrimenti tutto diventerà più complicato”.

Questo è un punto fondamentale: si tratta dell’obiettivo che intende raggiungere nei colloqui con Putin. Un cessate il fuoco immediato lungo la linea del fronte, per poi iniziare le trattative per un accordo di pace.

 

Nei rapporti con Putin, si tratta di un passo indietro rispetto all’incontro di Anchorage, nel quale i due leader avevano concordato sulla linea negoziale di Mosca, ovvero concludere un accordo globale di pace, senza un previo cessate il fuoco.

Non è una buona premessa per l’imminente vertice di Budapest, a meno non sia la base negoziale da cui parte Trump (per strappare alla controparte un cessate il fuoco in cambio del ritiro delle truppe ucraine dal Donbass, ad esempio)

Nei rapporti con Zelensky, si tratta di un chiaro ordine. Lui e tutti i leader cosiddetti volenterosi dovranno rispettarlo.


La resa di Zelensky

Secondo quanto riporta Axios, l’incontro a porte chiuse tra i due presidenti è stato molto teso e difficile, anche se nessuno ha mai alzato la voce. A nulla sono valse le controproposte di Zelensky. Dopo due ore e mezza, Trump ha interrotto bruscamente: “Penso che abbiamo finito, vediamo cosa accadrà la prossima settimana”.

Il capo della Casa Bianca è poi volato in Florida, senza incontrare la stampa. Al presidente ucraino è toccato spiegare ai giornalisti la sua capitolazione totale: nessuna decisione sui Tomahawk, non sono state discusse le questioni dei raid sul territorio ucraino e delle nuove sanzioni sulla Russia.

Non solo torna a casa con un nulla di fatto, ma è costretto ad accettare le condizioni imposte dalla Casa Bianca: “Dobbiamo fermarci dove siamo ora, Trump ha ragione”.

Un bello smacco, dopo aver parlato di nuovo di attacchi in profondità, iniziativa offensiva ucraina e riconquista dei propri territori.

A cosa è servita la riunione allo Studio Ovale

Dai report del vertice emerge in maniera inequivocabile che la partita non è tra Zelensky e Putin ma fra Trump e Putin.

L’incontro allo Studio Ovale è servito prima per fare pressione sul Cremlino, poi imporre le proprie condizioni a Zelensky.

Il leader ucraino, trattato come eroe della libertà da Biden, adesso si riscopre come pedina di Re Donald. È costretto ad accettare questo ruolo e a giocare con le regole del presidente americano.

Trump vuole una fine immediata della guerra, presentata come “una Vittoria di entrambi”, scrive su Truth. Non sono note quali siano le condizioni negoziali poste alla Russia, a parte lo stop sulla linea del fronte.  

Adesso tocca a Putin, che dovrà decidere la prossima mossa sapendo che l’opzione escalation resta ancora sul tavolo.

Clara Statello

Clara Statello

Clara Statello, laureata in Economia Politica, ha lavorato come corrispondente e autrice per Sputnik Italia, occupandosi principalmente di Sicilia, Mezzogiorno, Mediterraneo, lavoro, mafia, antimafia e militarizzazione del territorio. Appassionata di politica internazionale, collabora con L'Antidiplomatico, Pressenza e Marx21, con l'obiettivo di mostrare quella pluralità di voci, visioni e fatti che non trovano spazio nella stampa mainstream e nella "libera informazione".

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