La “tavola rotonda” dei volenterosi ha scelto la guerra

I leader europei riunitisi a Parigi puntano sull'invio di truppe in Ucraina

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La “tavola rotonda” dei volenterosi ha scelto la guerra

Di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Si dicono tutto tra loro: uno parla e l'altro risponde; e si trovano ovviamente d'accordo. D'altronde, sono o no dei “volenterosi”? Il novello Thiers della peggiore reazione europea, l'omuncolo della finanza eurobellicista di casa all'Eliseo assicura – ce lo racconta il Corriere della Sera – che «gli europei sono ormai pronti a offrire all’Ucraina le garanzie di sicurezza necessarie, una volta raggiunta la pace» e il moderno atamano ucraino Skoropadskij, agli ordini del nuovo “impero” franco-germano-britannico, gli risponde prontamente che «Purtroppo non ci sono segnali da parte della Russia che voglia davvero mettere fine a questa guerra». Da una parte, la “nostra” c'è la pace; dall'altra, dove domina “l'orda asiatica”, c'è la guerra, per assioma.

Se lo dicono e se lo ripetono tra di loro e così sono tutti contenti: “è Putin che vuole la guerra”; noi “eurodemocratici siamo per la pace”, dovete crederci; se rimpinguiamo i nostri arsenali è solo perché “la Russia prima o poi invaderà l'Europa”; dunque, per scongiurare “il pericolo russo, mandiamo le nostre truppe in Ucraina”. Ecco fatto. E la combriccola dei “volenterosi” (o ansiosi di muover guerra, che dir si voglia, dato che ormai nessun fogliaccio di regime specifica più di cosa quei «circa 35 Paesi presenti oggi a Parigi» siano “solleciti”, o abbiano volontà) radunatisi in casa di Emmanuel Macron è decisa a «dare un quadro immediato al dopoguerra, nel caso improbabile in cui Putin nei prossimi giorni dovesse arrestare l’aggressione».

Aggressione che, secondo il nuovo trend in voga a via Solferino, andrebbe avanti dal 2014. Già, perché evidentemente qualcuno si è accorto che il discorso sui “tre anni di guerra” zoppicava abbastanza: come si è arrivati al febbraio 2022, quali forze si contrapponevano prima di allora, quale politica conducevano le diverse parti, ecc. E allora, con un tocco “magico”, ecco che i bombardamenti ordinati dai Turcinov, dai Porošenko, dai Parubij (oggi “martire”: della fede) contro i civili del Donbass, rei di essersi opposti al golpe euronazista a Kiev del febbraio 2014, i massacri perpetrati allora e negli anni seguenti dai “volontari” (toh: anche quelli erano “volenterosi” di fare la guerra) neonazisti, tutto questo diventa, nelle redazioni schizofreniche di Milano, Torino, Roma, “aggressione russa dal 2014”, con Mosca che «non ha tenuto fede agli accordi di Minsk». Non c'è che dire: basta tacere sul semplice fatto che quegli accordi prevedevano, quale punto cruciale, lo status speciale per il Donbass da inserire nella Costituzione ucraina e che Kiev «ha tenuto fede a quegli accordi» a suon di bombe e stragi proprio contro Donbass. Garanti, tanto per ricordare, i signori Merkel e Hollande: europeisti della prima ora.

Insomma, da via Solferino ci comunicano che, il 4 settembre, i bellimbusti della congrega parigina «potrebbero trovarsi d’accordo su tre assi : 1) rafforzamento del sostegno militare all’esercito ucraino, prima vera garanzia di sicurezza, sulla base di trattati bilaterali tra l’Ucraina e i vari Paesi; 2) estensione all’Ucraina dell’articolo 5 Nato, che prevede un intervento alleato se Kiev venisse di nuovo attaccata dopo la fine della guerra (sarebbe un indubbio successo diplomatico della premier italiana Giorgia Meloni, la prima a lanciare l’idea mesi fa); 3) invio nelle retrovie ucraine di una forza franco-britannica per garantire l’eventuale cessate il fuoco (senza l’Italia)». Di sfuggita: qualche giorno fa, dalle stesse pagine, avevano assicurato che il via all'articolo 5 della NATO non è così automatico come lo vorrebbero i fans dei fascisti di governo.

Non passa giorno che Parigi e Londra, quantomeno a parole, ribadiscano di voler inviare soldati da qualche parte in Ucraina: ovviamente, lontano dal fronte. Per il resto si vedrà: quanti soldati, quali soldati, a far cosa? Importante è riunire di tanto in tanto la confraternita, convincere qualcuno – prima di tutti se stessi – di esistere, che i novelli Thiers anticomunardi e gli Stuart restauratori siano pronti a mettere insieme le “forze demoliberali” e “organizzare la resistenza europeista contro l'aggressore asiatico”, e il gioco è fatto.

Peccato che, dalla stessa parte ucraina – non quella ufficiale, golpista, s'intende – si faccia notare che a Kiev sbagliano a credere alle promesse della cerchia di Zelenskij su "garanzie di sicurezza" dei paesi occidentali: nessuno di essi è pronto a inviare i propri eserciti a combattere la Russia per il Donbass. Lo afferma il politologo ucraino Ruslan Bortnik, il quale ricorda come, in quasi tutti gli accordi sottoscritti con Kiev, sia specificato che «in caso di una nuova guerra, il nostro partner prenderà in considerazione la possibilità di fornirci assistenza finanziaria e tecnico-militare, ovvero inviando armi e denaro». Al massimo, scambio di intelligence, cooperazione in vari settori, ecc. Di fatto, in nessuno di quegli accordi si fa menzione di alcun principio di difesa collettiva. Non riesco a immaginare, dice Bortnik, un paese che dica «manderemo le nostre truppe a combattere i buriati o i nordcoreani da qualche parte nell'area di Pokrovsk».

E, in concreto, nemmeno tra “alleati” si riesce a mettersi d'accordo sull'invio di truppe. Come scrive il Financial Times, la “coalizione” dei “volenterosi” è scissa in tre campi: il più radicale, costituito dalla Gran Bretagna, disposta a valutare la possibilità dell'invio di un contingente militare; il secondo gruppo, che include l'Italia, è categoricamente contrario a qualsiasi dispiegamento di truppe; il terzo è composto da paesi “esitanti”, come la Germania, con una posizione attendista, che non hanno ancora adottato un punto di vista definitivo. Conclusione: la divisione tra gli “alleati” mette in discussione l'ulteriore coordinamento degli sforzi occidentali a sostegno del regime di Kiev. Ma dai!

The Washington Post lo scrive chiaro e tondo: i “fieri” eurobellicisti (questo non lo scrive TWP) intendono schierare, lontano dal fronte, truppe a scopo “dimostrativo”. Grazie alle offerte di Trump di fornire appoggio aereo e di intelligence, i «leader europei affermano di disporre finalmente del sostegno necessario per inviare truppe nell'Ucraina del dopoguerra. Ora hanno solo bisogno di qualcuno che fermi il conflitto», scrive TWP. Non ridete.

Più o meno sullo stesso tono l'americana Newsweek: «Se gli europei considerassero l'Ucraina così importante per la sicurezza del loro continente, le truppe europee starebbero già combattendo fianco a fianco con gli ucraini nelle trincee del Donbass. Ma non è così. L'Europa abbaia molto più forte di quanto morda, e l'Ucraina non è così importante per gli europei da rischiare un conflitto con la macchina militare russa». Chiarissimo.

Nonostante ciò, scrivono i giornalisti yankee, nonostante le promesse di appoggio statunitense e anche «mentre lavorano per perfezionare i piani per le garanzie di sicurezza, incluso l'incontro a Parigi del 4 settembre, gli europei sono in disaccordo su cosa esattamente siano disposti a fare in Ucraina». Contano sul fatto che, a lungo termine, un cessate il fuoco sia inevitabile, mentre, a breve scadenza, l'impegno per garanzie di sicurezza darebbe a Zelenskij «la fiducia nel sostegno occidentale se e quando avvierà colloqui con la Russia su concessioni territoriali potenzialmente dolorose».

Si parla così di “truppe dimostrative”, dislocate lontano dal fronte che – ma non scoppiano a ridere mentre lo dicono? - fungerebbero da “deterrente contro futuri attacchi”; truppe così “agguerrite” da esser definite, in sede demoeuropeista, parte integrante di quel "porcospino d'acciaio" in cui, a detta di Ursula-Demonia-Gertrud, dovrebbe trasformarsi l'Ucraina della junta nazigolpista.

Insomma, il 3 settembre, Thiers-Macron ha dichiarato che i “volenterosi” ministri della guerra hanno messo a punto piani "altamente riservati" e confermato i contributi dei rispettivi Paesi, che ora devono però essere approvati. In concreto: Francia e Gran Bretagna, uniche due potenze nucleari europee, sono anche le uniche ad aver annunciato l'invio di truppe; Estonia e Lituania hanno recentemente annunciato la loro partecipazione. Punto.

Ma l'importante è far vedere che ci si riunisce attorno alla “tavola rotonda” della guerra, darsi arie da grandi condottieri pronti a liberare il “santo sepolcro” - quello in cui, da almeno dieci anni sono seppellite democrazia, diritti, partiti politici e in cui gli assassini di oppositori sono quotidianità - e proclamare che è la Russia, “infedele”, a non volere la pace. E voilà, signor Thiers.

Fonti:

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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