Laurie Dusek, avvocato di Sirhan, spiega che anche il figlio di Robert Kennedy crede nell’innocenza del proprio assistito

Laurie Dusek, avvocato di Sirhan, spiega che anche il figlio di Robert Kennedy crede nell’innocenza del proprio assistito

Laurie Dusek è l’avvocato di Sirhan Sirhan, il presunto colpevole dell’assassinio di Robert Kennedy

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di Michele Metta
 

Il mio articolo odierno è una conversazione con Laurie Dusek. È l’avvocato di Sirhan Sirhan, il presunto colpevole dell’assassinio di Robert Kennedy. Laurie, permettimi di ringraziarti, perché ti sono davvero grato per aver accettato di rispondere ad alcune mie domande. Partiamo con la prima: perché hai deciso di diventare assistente legale di Sirhan?

 

Robert Kennedy è per me un eroe fin da quando ero bambina. All’inizio, devo confessare che pensavo Sirhan fosse colpevole, l’avevo visto in TV con una pistola in mano, ma più nel corso degli anni approfondivo, e più mi rendevo conto di quanto si trattasse d’una storia ben diversa. E così, quando ho conosciuto Bill Pepper [avvocato al centro di battaglie mitiche per la giustizia, e già difensore di Sirhan, N.d.R.], sono rimasta impressionata dalla sua conoscenza sugli anni Sessanta, e quando mi ha chiesto se fossi interessata a collaborare con lui alla difesa legale di Sirhan, gli ho detto di sì con immenso entusiasmo.


Cinquanta anni sono passati, ma le parole, le preoccupazioni e speranze di RFK sono tuttora importanti. Il nostro Paese non può, non deve esimersi dal cercare la verità sul suo assassinio. Quando mi si chiede come mai io sia così dedita e determinata a risolvere questo caso, tutto quel che posso dire è che noi tutti come popolo degli Stati Uniti abbiamo il dovere d’imparare dal nostro passato, dalla nostra Storia, e che questo non può accadere se giriamo gli occhi altrove, se nascondiamo la testa sotto la sabbia.


Oggi, la Nazione s’interroga su come siamo divenuti quel che siamo, ed intendo politicamente, eticamente, moralmente. Siamo tutti orecchi per la cosiddetta “interferenza russa” durante le nostre ultime elezioni, ma ci siamo dimenticati della “interferenza” che ha colpito le elezioni del 1968.


Nel 1968, il candidato del Partito Democratico è stato ucciso, ma i media e le masse hanno diverso lo sguardo, rifiutandosi di chiedersi davvero chi ne fosse responsabile. RFK non è stato ucciso dai russi, e non è stato nemmeno ucciso da Sirhan B. Sirhan. È stato ucciso da poteri interni al nostro Paese, poteri tuttora presenti.


RFK voleva offrire il proprio aiuto ai poveri e agli emarginati. Voleva porre termine alla violenza sia in patria che nel resto del Mondo. Questioni che hanno continuato ad essere largamente ignorate, e che quindi continuano ad interrogarci. Lungi dal volerne fare una sorta di santo, dico però con convinzione che aveva la statura dello statista che ha a cuore il proprio Paese e ha a cuore il destino dei meno fortunati. Abbiamo il dovere d’onorare la sua memoria sia appunto aiutando i meno fortunati sia cercando la verità sulla sua morte.


Come detto da RFK con mirabile eloquenza in un suo discorso in Sudafrica, “Ogniqualvolta un essere umano combatte per un ideale, o opera per migliorare il destino del prossimo, o si ribella all’ingiustizia, genera un piccolo flusso di speranza, ed intersecandosi l’un l’altro attraverso milioni di centri d’energia e audacia, questi rivoli sono in grado d’erigere una corrente capace d’abbattere i più erti muri d’oppressione e rifiuto”.


Ed allora, facciamoci artefici d’una corrente infinita!

 

Hai mai ricevuto minacce, o offese, per il tuo essere avvocato di Sirhan?

 

Personalmente, non ho mai ricevuto minacce. Nemmeno posso dire ci siano mai state minacce fisiche fatte a Bill Pepper o a Dan Brown [psicologo che segue Sirhan, e che crede nella sua innocenza, N.d.R.], ma hanno senza dubbio entrambi patito degli abusi, soprattutto Dan. Sia Dan che Bill, dal momento in cui hanno iniziato a lavorare al caso, hanno cominciato ad avere problemi con l’IRS [l’autorità USA che gestisce il pagamento delle imposte, N.d.R.]. Dan è già stato convocato tipo quattro, cinque volte, e sebbene abbia sempre dimostrato la regolarità della sua condotta, continuano a convocarlo. Ne potrebbe davvero raccontare delle belle, circa queste strane convocazioni … Ma Dan ha avuto nondimeno insoliti problemi con il bagaglio quando viaggia in aereo. Problemi iniziati, guarda che coincidenza, esattamente dopo il suo primo incontro con Sirhan. C’è stata una volta in cui Dan ha notato un addetto dell’aeroporto prelevare le sue valigie dall’area bagagli, e quando ha protestato, il tizio che aveva in mano le sue valigie gli ha risposto: “Ho ricevuto istruzioni d’occuparmi di tutto il bagaglio del clan Kennedy”. Al che, Dan ha controbattuto: “Non faccio parte di nessun clan dei Kennedy …”, e ha chiesto indietro le proprie cose. Incidenti analoghi non sono mancati in altre occasioni.


Per un periodo, abbiamo avuto i nostri telefoni sotto controllo …


Quindi, no, assolutamente niente insulti: ho visto la gente o giudicare quel che faccio come qualcosa di grande, o guardarmi come se fossi una pazza, cosa alla quale non faccio caso.

 

Che prove esistono circa la sua innocenza?

 

a. I testimoni oculari non hanno mai indicato una posizione di Sirhan rispetto al Senatore tanto vicina da permettergli d’essere il responsabile del colpo mortale. Colpo che è stato esploso da una distanza di soli 4, massimo 5 centimetri. Sappiamo che è questa la distanza grazie ai residui di polvere da sparo riscontrati sia tra i capelli che sul vestito del Senatore al momento dell’autopsia.


b. Sirhan fu immobilizzato schiacciandolo sul portavivande e la sua mano tenuta giù già al secondo sparo. È dunque impossibile che abbia sparato al Senatore.


c. I testimoni collocano Sirhan difronte al Senatore, ma tutti i colpi che hanno raggiunto il Senatore sono stati sparati da dietro, e con una traiettoria dal basso verso l’alto.


d. Il cosiddetto nastro di Pruszynsky (una registrazione su nastro fatta da Stanislaw Pruszynski, un giornalista polacco incaricato di seguire le elezioni per la Presidenza, e tenuto nascosto per quaranta anni) rende evidente la presenza d’un secondo tiratore, dato che si possono udire tredici spari su quel nastro. Gli spari numero 3 e 4, e 7 e 8, sono a tal punto ravvicinati che è impossibile siano stati sparati da una sola pistola. Sono state condotte numerose prove, su pistole calibro 22 [lo stesso calibro della pistola in possesso di Sirhan, N.d.R.], ed è fisicamente impossibile che una sola persona possa sparare da un’unica pistola due colpi in un lasso di tempo così corto. I suddetti test sono stati effettuati da Phil Van Praag, un perito con oltre trentacinque anni d’esperienza.


e. C’è un numero troppo alto di vittime (oltre al Senatore, altre cinque persone rimasero ferite) e troppo alto di fori di pallottole negli stipiti delle porte e nella controsoffittatura, per essere stati causati dall’arma di Sirhan, che ha un tamburo di soli otto colpi. Molti, se non tutti i controsoffitti e porte recanti fori di pallottole sono stati distrutti dalla Polizia di Los Angeles.


Questo, senza far menzione d’altre condotte sempre tenute dalla Polizia di Los Angeles: distruzione di prove, le foto sottratte a Scott Enyart [allora fotografo amatoriale, che aveva scattato immagini molto importanti al momento degli spari, ma il cui relativo rullino risulta essere sparito dai reperti di prova, N.d.R.], pallottole scambiate tra loro durante il Processo (la pallottola estratta dal collo di RFK – messa agli atti come Peoples reperto 47 – era stata marcata con la sigla “TN 31” dal Dottor Noguchi [autore dell’autopsia, N.d.R.] quando l’aveva rimossa, ma nel 1975, nel corso delle nuove indagini presiedute da [Robert] Wenke [per stabilire se ci fosse appunto stato un secondo sparatore, N.d.R.], tale Peoples reperto 47 era marcato con tutt’altra sigla: “TNDW” …). E c’è pure l’inqualificabile condotta di DeWayne Wolfer, Capo Criminologo presso la Divisione Indagini Scientifiche della Polizia di Los Angeles, che sovraintendeva la parte balistica delle indagini.


[Inoltre,] immediatamente dopo l’attentato, una coppia, i Bernstein, fuori all’hotel Ambassador aveva visto una ragazza e un uomo correre nei loro pressi gridando “gli abbiamo sparato”, e quando i Bernstein avevano chiesto “sparato a chi?”, la ragazza aveva risposto “Kennedy; lo abbiamo colpito …”. I Bernstein non mancarono di raccontare tutto questo al Sergente Sharaga, della Polizia di Los Angeles, che emise un APB (All Point Bullettin [scheda-rapporto, N.d.R.]), ma solo per sentirsi dire da gente più in alto di lui che quell’APB doveva sparire.

 

Cosa prova interiormente Sirhan oggi, pensando all’assassinio di RFK?

 

Quel che prova Sirhan circa l’assassinio è per tanti aspetti rimasto immutato nel corso di questi cinquanta anni. Ha sempre detto d’ammirare RFK e che vorrebbe che tutto questo non fosse mai accaduto. Oggi, è consapevole di non aver ucciso il Senatore, mentre invece gli era stato ripetuto per anni dai suoi [precedenti] avvocati che era lui l’assassino. Consapevolezza che gli offre una sorta di consolazione, e tuttavia se non è lui il colpevole, allora perché mai è ancora in prigione?? Quando sono stata a far visita a Sirhan assieme a RFK Jr. lo scorso dicembre, Sirhan ha espresso la propria vergogna per il suo essere associato alla morte del padre di Bobby, ma Bobby gli ha toccato con gentilezza la mano, e gli ha detto: “So che non sei tu ad aver ucciso mio padre”. Credo che ciò abbia dato a Sirhan un po’ di conforto. Sirhan ha però anche detto a Bobby: “Innocente o no, dentro di me mi sento colpevole perché tuo padre non avrebbe dovuto patire tutto questo, né la tua famiglia, mi dà davvero pena …”.

 

Conosciamo tutti certamente Sirhan per via di quanto accaduto nel 1968. Mi piacerebbe invece, per favore, poter guardare attraverso te l’identità intima di Sirhan così come da te conosciuta nel corso di questi anni di contatto con lui.

 

Sirhan è una persona gentile, pacifica, rinchiusa dentro una prigione che abita dentro il suo stesso cuore. Ha cultura, e si tiene al passo con l’attualità ascoltando la radio. Aveva l’abitudine di leggere i giornali, eccetera, ma dice d’aver “perso interesse” nella lettura. Sirhan mi piace, e nel corso di questi undici anni sono in qualche modo divenuta protettiva nei suoi confronti, soprattutto a mano a mano che scopro quanto di lui e della sua famiglia si siano approfittati Grant Cooper e gli altri incaricati legali che dicevano di volerli aiutare.

 

Cosa prova a trovarsi ancora in prigione pur se innocente?

 

Sirhan è davvero religioso, ma in un modo interiore, intimo. Mi sento in dovere di precisare che Sirhan è cristiano, perché in molti credono invece che sia un musulmano, e di conseguenza un terrorista. Un atteggiamento che trovo folle, ma che ho riscontrato nel corso degli anni seguendo il caso. Ritengo che sia proprio questo suo forte spirito religioso ad averlo sostenuto per tutti questi cinquanta anni. La prima volta che ho incontrato Sirhan, (era il 6 giugno del 2007), mi ha detto “se mai mi dovesse succedere qualcosa qui dentro, sappi che non sono stato io”. Sono stupefatta dalla forza interiore di Sirhan, e talvolta, quando mi sento stravolta, mi soffermo a pensare a lui, e il mio stato mentale cambia.

 

Sirhan è un palestinese. Ritieni che chi l’ha incastrato l’abbia fatto proprio per via di queste sue origini?

 

Sirhan quella sera ha rappresentato un trucco per distogliere l’attenzione: gli astanti erano tutti concentrati su di lui, senza prestare attenzione a nessun altro. Mi fa venire in mente quei maghi che dicono al pubblico che faranno sparire un elefante e chiedono che qualcuno salga su a fare da assistente. Be’, ovvio che nessuno può davvero far sparire un elefante, ma può far sì che [nel mentre esegue il trucco] lo sguardo del pubblico venga deviato verso un’altra zona del palco. Che Sirhan sia un palestinese, era importante ed è stato convenientemente usato contro di lui da gente che ha il potere. Il suo essere palestinese è stato dato in pasto come la ragione che lo avrebbe spinto ad uccidere il Senatore. Ha fatto vendere copie ai giornali, e i media hanno puntato il dito su quello, ma la vera storia non l’hanno mica svelata. Credo i media siano non poco colpevoli per come Sirhan è comunemente giudicato dall’opinione pubblica: l’hanno dipinto come un terrorista, un pericolo e, fin dall’inizio, come il SOLO assassino. I media hanno insomma contribuito a nascondere la verità.

 

Durante una mia recente intervista a Stephen Jaffe, membro di punta del team di Garrison, il Procuratore Distrettuale grazie al cui coraggio nel 1967 l’indagine sull’assassinio di JFK fu riaperta, Jaffe mi ha rivelato d’essere stato l’organizzatore d’uno stupefacente rendezvous segreto, quello tra RFK e lo stesso Garrison, aggiungendo: “Prima di quell’incontro, ho avuto un contatto da un caro amico della famiglia Kennedy che mi ha chiesto d’organizzare la riunione. Abbiamo anche avuto aiuto da un altro senatore degli Stati Uniti. RFK disse a Garrison a New York, in quell’incontro molto confidenziale, che avrebbe riaperto le indagini sull’assassinio del presidente Kennedy, ma solo dopo essere stato eletto Presidente. Solo con quel potere, aveva spiegato, avrebbe potuto farlo”. Laurie, ti chiedo: cosa ne pensi di questa rivelazione?

 

Sono convinta che una delle ragioni principali per cui il Senatore Kennedy è stato ucciso sia il fatto che, se fosse stato eletto Presidente, avrebbe riaperto l’inchiesta sull’assassinio di suo fratello, JFK. Chi c’è dietro Dallas non poteva permetterlo. Dovresti leggere il libro di David Talbot, Brothers, che contiene dettagli a tal proposito. Ricordo che quando ho fatto visita a Sirhan accompagnata da RFK Jr., Bobby mi ha chiesto la mia idea su quanto accaduto quella notte, e che io gli ho risposto: “Penso che in un certo senso poco importa cosa esattamente abbia fatto tuo padre quella sera, perché nel momento stesso in cui era stato proclamato vincitore delle Primarie per il Partito Democratico, era divenuto un bersaglio da non lasciare uscire vivo da lì …”. Sono rimasta in silenzio negli ultimi undici anni su chi io credo sia davvero dietro la morte di RFK, dato che il mio compito è dimostrare che Sirhan non ha commesso il fatto, e NON quello di scoprire chi lo abbia invece commesso. Inoltre, operando come avvocati pro-bono, né Bill Pepper né io abbiamo purtroppo avuto a disposizione grandi finanziamenti tali da consentirci di svolgere questo tipo d’indagini investigative con la sola eccezione del lavoro svolto da Dan Brown. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sui documenti preparati dai precedenti legali di Sirhan (i quali purtroppo non sempre abbracciano la verità, poiché Grant Cooper non ha mai fatto davvero nulla a favore di Sirhan, mentre viceversa Larry Teeter ha fatto un lavoro magnifico per Sirhan); così come ci siamo soffermati sui documenti emessi dalla Polizia di Los Angeles e dall’FBI, e su vari libri sull’argomento. Penso sia stato davvero importante NON rivelare quali siano le mie convinzioni circa chi siano i veri responsabili, perché ho percepito quanto ci trovassimo in un campo minato dove una sola parola sbagliata poteva mandare all’aria anni di duro lavoro. Sono andata davvero su tutte le furie quando lo Stato della California in replica ad un’azione intrapresa presso la Corte da me e Bill, ci ha accusati d’aver ventilato la possibilità d’un secondo sparatore ma di non aver indicato chi questi fosse. Sempre nello stesso frangente, ci hanno anche accusati d’aver ventilato la possibilità d’un lavaggio del cervello [effettuato su Sirhan, N.d.R.], ma di non aver indicato chi l’avrebbe fatto. Ma il nostro compito è dimostrare che Sirhan non può aver ucciso il Senatore, non quello di trovare i nomi dei veri killer.

 

Mi hai proprio ora nuovamente sottolineato come RFK Jr. abbia lui pure iniziato a credere nell’innocenza di Sirhan. Un fatto che del resto emerge anche dal giudizio assolutamente positivo da lui dato al documentario sull’assassinio di Robert Kennedy girato dal talentuoso Shane O’Sullivan. Cosa narra tale documentario, e perché è così importante?

 

Il documentario di Shane è importante perché getta luce su molti aspetti relativi a questo caso. Shane è l’unico giornalista ad essersi concentrato sul lavoro fatto dal Dottor Dan Brown e sui suoi sforzi di deprogrammare Sirhan. Il concetto di Manchurian Candidate [di un soggetto, cioè, spinto a compiere determinate azioni sotto l’influsso del lavaggio del cervello, N.d.R.] è accolto con totale scetticismo, malgrado il nostro essere stati in grado d’esibire una seria documentazione attestante studi di tal genere condotti dalla CIA che provano che il nostro Governo queste cose le ha fatte. Ci siamo basati su analisi effettuate da Dan Brown ed Alan Scheflin che narrano dettagliatamente del coinvolgimento della CIA nel creare un Manchurian Candidate. Si tratta di qualcosa d’assolutamente importante, perché da lì ci si inizia a porre la domanda se Sirhan abbia davvero agito da solo, se davvero abbia agito “in maniera libera”, e se si dimostra la teoria del Manchurian Candidate, allora si dimostra anche che c’è stato di mezzo il Governo.


Un altro punto messo in luce da Shane è come la Polizia di Los Angeles abbia stravolto il caso. Fin dal primo momento, prove e testimoni sono stati ignorati, prove sono state distrutte prima del processo, e altre ancora sono state distrutte dopo il processo; prove che avrebbero potuto essere utilizzate in appello. Su elementi chiave (si pensi ai risultati dell’autopsia) il Collegio di Difesa è stato tenuto all’oscuro per settimane. Ci sono stati testimoni oculari che, anziché essere ascoltati dalla Polizia di Los Angeles, sono stati sottoposti a tentativi di far cambiare loro versione.


Shane ha sempre mantenuto uno sguardo obiettivo sui fatti, e nel farlo ha dimostrato l’esistenza di lacune pesanti da parte della Polizia di Los Angeles, dell’Ufficio del Procuratore Distrettuale, e dell’FBI. E io non credo che si sia trattato di sviste in buona fede o dovute a semplice negligenza: dico che s’è trattato d’atti deliberati. Dico che malgrado siano trascorsi cinquanta anni, tuttora constato ostacoli sia da parte del Tribunale che del sistema penitenziario.

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