SECONDA PUNTATA. Non solo Trump: il nemico/strega interno nella storia USA

La seconda puntata della lunga storia della repressione negli Stati Uniti

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SECONDA PUNTATA. Non solo Trump: il nemico/strega interno nella storia USA

 

 

Siamo alla seconda “puntata” del nostro viaggio all'interno della spirale repressiva che ha contraddistinto diverse fasi della storia statunitense, vale a dire di un Paese considerato – e autocelebratosi – come faro della democrazia. Ora partiamo dall'immediato post prima guerra mondiale.

 

Alla fine della Prima guerra mondiale gli Stati Uniti d'America si rivelano al mondo come una grande potenza politico-militare ed economica. Negli anni del conflitto, grazie alle continue ordinazioni militari, vengono raddoppiati gli investimenti nell'industria manifatturiera, mentre triplica il valore della produzione industriale (dai 23,9 miliardi di dollari ai 62 miliardi). I progressi sono enormi anche dal punto di vista commerciale. Gli Usa, da paese principalmente debitore, si trasformano in paese creditore (ben 10 miliardi di dollari di prestito agli alleati), mentre si impennano anche le esportazioni estere.

All'interno lo sviluppo economico è accompagnato dalla ulteriore concentrazione monopolistica nei settori strategici dell'industria manifatturiera e mineraria. L'immediato dopoguerra negli Usa è caratterizzato da una forte ripresa del movimento rivendicativo operaio. Alla base ci sono il peggioramento delle condizioni di vita, l'aumento della disoccupazione in seguito alla smobilitazione dell'esercito e l'attacco degli imprenditori ai diritti conquistati nell'industria durante lo sforzo bellico (controllo dei prezzi, riconoscimento dei sindacati, giornata lavorativa di otto ore, ecc.). Nel 1919 si contano circa 3600 scioperi con la partecipazione di più di 4 milioni di lavoratori che chiedono la giornata lavorativa di otto ore, aumenti salariali in linea con il forte aumento del costo della vita, il riconoscimento dei sindacati e la contrattazione collettiva.

È in questo Paese, simbolo del capitalismo giovane, vincente e senza frontiere, che giunge l'eco della presa del potere bolscevico nel 1917. E vi arriva sia come nuova minaccia internazionale al modello americano che deve essere isolata, se non schiacciata, sia come pericolo di sovversione interna nei confronti della quale governo e industriali non fanno sconti.

Ad apparire sul palcoscenico è lo spettro rosso, la strega del comunismo. La paura, ingigantita dalle autorità, è quella di un contagio della rivoluzione bolscevica. A questo proposito bisogna ricordare che gli Stati Uniti partecipano con l'invio di truppe - 18.000 uomini - alla campagna internazionale per "strangolare alla nascita", secondo le parole di Winston Churchill, la Russia rivoluzionaria (1918-1922). In azione accanto a quelle francesi, inglesi e giapponesi,  le truppe statunitensi sbarcano a Murmansk (Russia settentrionale) e a Vladivostock (Estremo Oriente), con la motivazione ufficiale della protezione delle basi delle armate antisovietiche. Notevoli sono gli aiuti che giungono alle forze "bianche": denaro, armi, munizioni e attrezzature varie. Nelle zone controllate dall'Intesa si segnalano depredazioni di merci preziose, requisite come compensazione per le spese di occupazioni, ed episodi di violenza e dura repressione. Si calcola che nei soli territori del nord russo le merci sottratte abbiano raggiunto il valore di un miliardo di rubli-oro. E il comportamento delle forze Usa non si discosta da quello degli alleati, come testimonia il generale Graves: "le crudeltà erano tali che esse indubbiamente saranno ricordate e verranno raccontate tra il popolo russo anche a cinquant'anni di distanza dal loro compimento. Gli Stati Uniti d'America si sono attirati l'odio del 90 per cento della popolazione in Siberia".

Poco prima della fine del conflitto il Congresso aveva votato una legge che prevedeva la deportazione degli stranieri che si opponevano alle decisioni del governo e che, più genericamente, predicavano contro la proprietà privata. La paura, presunta o effettiva che fosse, è quella del contagio interno. Il New York Times, quasi a dare il via alla caccia al rosso, titolava “I rossi bolscevichi si danno molto da fare in questo paese”. Così nel dicembre del 1919, sotto la direzione del ministro della giustizia Mitchell Palmer e del suo collaboratore J. Edgar Hoover alla guida della “Divisione estremisti”, sono arrestati 249 stranieri di origine russa per essere poi imbarcati ed espulsi verso la Russia sovietica.  Negli stessi giorni a Boston 400 operai incatenati ed ammanettati sono fatti sfilare per strada, con la stessa logica di disprezzo con la quale nel 1871 i comunardi furono esposti in gabbia nei giardini parigini del Luxembourg. Ma oggetto delle incursioni della polizia, i cosiddetti "Palmer raids", sono anche le abitazioni dei militanti e le sedi delle organizzazioni di sinistra. Il ministro, accreditando una versione psicopatologica del dissenso, era profondamente convinto che lo stato dovesse impiegare risorse per “liberare il paese dagli agitatori rossi” colpevoli di  diffondere “la malattia dei cattivi pensieri”.

Un mese dopo sono circa quattromila le persone che vengono arrestate su tutto il territorio americano, imprigionate a lungo e, infine, deportate. Un giudice federale spiega così le reali motivazioni di questo agire: le pene "furono applicate per dare una visibilità spettacolare all'operazione e per fare pensare che realmente esisteva un pericolo grave e imminente". Il sospetto si dirige oltre che sugli attivisti sindacali, comunisti, anarchici e socialisti, anche sugli stranieri. Sono questi gli "agitatori esterni", gli agenti dell'Idra bolscevica, che vogliono minare la base della struttura sociale del Paese.

Accanto alle autorità agiscono anche associazioni di cittadini privati che si reclutano in funzione di spie all'interno dei movimenti sindacali oppure di manovalanza della repressione come nel caso dell'American Legion che, in accordo con la National Association of Manufactures, costituisce corpi di vigilanza civica in funzione antisocialista e per la salvaguardia dal comunismo. Nette sono le simpatie fasciste del suo comandante nazionale Alvin Owsley: “Se fosse necessario, la Legione sarebbe pronta a proteggere le istituzioni e gli ideali del nostro paese nella stessa maniera usata dai fascisti per sbarazzarsi degli sterminatori che minacciavano l'Italia”.

L'arresto e la condanna a morte degli Italiani Sacco e Vanzetti, anarchici impegnati nell'attività sindacale, con la falsa accusa di partecipazione ad una rapina, rientra in questa logica repressiva. E lo dice chiaramente, riferendosi al secondo, il giudice Webster Thayer: “Quest'uomo, anche se non ha davvero commesso il crimine a lui attribuito, è non di meno colpevole moralmente, perché nemico delle nostre attuali istituzioni”.

(Continua...)

 La prima puntata.

 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

 

- Storia del movimento operaio negli Stati Uniti (1861-1955), R. O. Boyer e H. M. Morais, De Donato, Bari 1974;

- Not Without Honor: A History of American AntiCommunism, Powers, Richard Gid, Free Press, 1997;

- Storia del popolo americano, Howard Zinn, Il Saggiatore, 2005

- Storia degli Stati Uniti, Maldwyn A. Jones, Bompiani, Milano 1997;

- La nascita di una potenza mondiale,  John L. Thomas, il Mulino, Bologna 1999;

- Il maiale e il grattacielo, di Marco D'Eramo, Feltrinelli, Milano 1999;

- Gli Stati Uniti contemporanei, Bruno Cartosio, Giunti, Firenze 2002;

- Le XX siècle americain, Howard Zinn, Agone, Marsiglia 2003;

- Il crogiuolo, Arthur Miller, Einaudi, Torino 2004;

- La creazione dell'America, Francis Jennings, Einaudi, Torino 2003.

- Storia universale, Accademia delle Scienze dell'Urss, vol. 9 - Teti Editore, Milano, 1975

In rete: interessante archivio di immagini relative alla "Red scare" all'indirizzo web http://newman.baruch.cuny.edu/digital/redscare/

Diego Bertozzi

Diego Bertozzi

Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano e in Filosofia e Scienze filosofiche all'Università degli Studi di Verona, si occupa da tempo di storia del movimento operaio e di Cina. Ha pubblicato per Diarkos  "La nuova via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative" (2019)
 
 
 

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