Alberto Airola - Spettatori (in poltrona) al nostro funerale

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Alberto Airola - Spettatori (in poltrona) al nostro funerale

 

di Alberto Airola*

 

Siamo seduti su comode poltrone che poggiano sulle rovine dell’Europa e dell’Occidente, tra vecchi scheletri di templi della moralità, residui fumanti di etica e il fantasma della “superiorità” che ancora sussurra all’orecchio di leader sbandati, egocentrici, pronti a tutto pur di salvarsi dai tribunali, dalle elezioni, dai concorrenti e dall’oblio.

Così agiati e accomodati, assistiamo a tutto e al contrario di tutto come se fosse assolutamente normale. Le storielle dell’aggressore e dell’aggredito ribaltate, moltiplicando controsensi e assurdità che passano come normali, come se niente fosse, nella oramai onnipresente propaganda di guerra.

Un giorno siamo convinti che la Russia sia da condannare perché ha aggredito l’Ucraina ma subito dopo ci viene servito un cocktail opposto: è normale aggredire qualcuno se ti senti minacciato, preventivamente o meno.

Così qualcuno si domanderà ma come, non c’era un aggressore e un aggredito?La Russia ci attaccherà oppure era solo un’operazione di messa in sicurezza anche quella?

E sul Medio Oriente appena si era dichiarato A Gaza ogni Palestinese ha diritto ad un focolare, ecco dimenticarsi tutto,  per seguire il nuovo stravolgente conflitto con l’Iran, dimenticandosi improvvisamente dei 60mila civili uccisi e delle centinaia di morti palestinesi ammazzati ogni giorno, mentre gli vengono distribuiti aiuti alimentari. 

No, quel film è stato interrotto, adesso c’è la pubblicità: Netanyahu (condannato dalla CPI esattamente come Putin) fa bene ad aggredire l’Iran perché “deve difendersi” dalle

bombe atomiche iraniane, quasi pronte, non oggi ma domani, fra una settimana ,qualche mese ma che prima o poi ci garantiranno l’apocalisse nucleare.

Ora non si possono ogni giorno fare queste giravolte senza insospettire i cittadini che, in fondo in fondo, rischiano di capire quante bullshit ci stanno raccontando.

E allora deve andare tutto veloce, anzi velocissimo: il tempo si comprime tra una dichiarazione ed un tweet di Trump che scandiscono inizi e fine di conflitti che non sono di certo risolti, se non momentaneamente. Ci forniscono già etichette come marchi registrati come “La guerra dei dodici giorni”, pensieri già processati pronti da riscaldare in un forno a microonde.

Non fai a tempo a digerirne uno che subito ne devi ingurgitare uno nuovo.

Ma nella paura generale, svegliandosi ogni mattina e pensando che prima o poi qualcuno una bomba la tiri per davvero, ci rasserenano persino queste boutade da avanspettacolo.

È spettacolo, niente di più e noi gli spettatori tifosi.

Pensare che ce l’avevano già detto con ampio anticipo Guy Deborde, Chomsky, Orwell, Pasolini e tanti altri ma non è servito.

Abbiamo preferito stare a guardare, comodamente seduti, la messa in scena della realtà fittizia costruita per noi con le giuste emozioni e i necessari turbamenti, consoni agli scopi bellicisti e guerrafondai.

Ci spaventiamo, ci preoccupiamo ma con la distanza emotiva propria del guardare qualcosa che sta su uno schermo: magari ci commuove, ci coinvolge ma sappiamo che in sala si riaccenderanno le luci e torneremo a casa.

Invece torniamo alle ceneri di quella che chiamiamo Europa e ritroviamo la stessa verve propagandista veloce e confusa sulla necessità di avere L’esercito più potente d’Europa per Merz e i Tedeschi (come se Germania anno zero di Rossellini non sia mai esistito), fare Grande la Francia, che offre pratici ombrelloni nucleari agli altri, probabilmente con l’unico effetto di diventare obiettivi sensibili di molte molte altre bombe nucleari  e infine un parassita della grande narrazione della difesa europea come il Regno Unito che fa accordi e accordicchi con i campioni del riarmo, come fosse un alleato ma  pronto a seguire o dettare gli accordi con Trump.

Da Italiano questo mi fa ancor più paura di Putin, di Teheran, di Israele o di altri grandi interpreti di questo film: mi fanno paura le ambizioni nazionalistiche (ma poi meglio definirle oligarchiche)  dei perdenti della Storia, i Paesi europei, delle loro fregole di armarsi, invece che pensare a qualcosa di intelligente per i loro Popoli e avere un qualche straccio di visione del futuro per le giovani generazioni.

Credo che il conflitto peggiore per noi, stia nella rivalità dei finti alleati europei decisi ad andare fino in fondo alla strada della distruzione per vedere chi resterà, chi regnerà ancora sulle rovine fumanti della Grande Civiltà europea compassata e stramorta.

Mi dispiace perché, appurato che non esisteranno mai gli Stati Uniti d’Europa, so che esiste un’Europa di cittadini, persone comuni che hanno già realizzato l’Unione: lavorando insieme, varcando confini fino a cancellarli, amandosi, facendo famiglie e sono loro che dovremmo sentire, invece di imbottirci di dichiarazioni dei loro capi di governo.

Delle loro opinioni, dei loro bisogni reali, non si sa nulla e anche le flebili voci alternative, sono coperte dalle  note lugubri dei richiami alla guerra. 

Tutto per la nostra salvezza, mentre ci scavano la fossa, ringraziandoci per il sacrificio nei titoli di coda.


*Già senatore della Repubblica. Documentarista e attivista

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