Dittatura del politically correct: negli USA condanna a 16 anni per aver bruciato bandiera LGBT
di Francesco Santoianni
Chissà cosa diranno le tante “anime belle della sinistra” davanti alla condanna a 16 anni di carcere comminata, negli Stati Uniti, per “crimine di odio” (e, cioè per aver bruciato una bandiera LGBT)? E che diranno i milioni di “Je suis Charlie” che, in nome di Voltaire, (“Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”) sfilavano, più che contro il terrorismo, a favore del “diritto” di potere ingiuriare i mussulmani? O le Sardine che al punto 5 del loro “programma” pretendono di equiparare la violenza verbale a quella fisica? O i fautori della surreale Commissione parlamentare contro l’odio, osannata, tra gli altri da Amnesty International, (sedicente paladina del diritto di opinione)? Verosimilmente, vi diranno che bruciare bandiere LGBT è il primo passo verso il rogo agli omosessuali; così come vi hanno detto che condannare il sionismo è il primo passo verso una nuova Auschwitz, o che criticare la politica dei “porti aperti” è razzismo…
È la dittatura del Politically correct che impone il concetto di “odio” finalizzato , ad esempio, a far sbattere fuori da Facebook chi osa criticare la guerra alla Siria. Un concetto, questo dell’”odio”, che serve a procurare un allarme, a produrre nei destinatari una percezione di pericolo. Serve a «fare presto», in deroga alle cautele del diritto, perché chi “odia” è certamente una persona irrazionale, al massimo da curare ma, intanto, da mettere in galera prima che il suo lato “bestiale” diventi una minaccia per l’intera società.
Stiamo esagerando? Leggetevi cosa scrive La Stampa su chi lotta oggi in Francia per la difesa delle pensioni.