Il neoliberismo di Milei: un modello fallimentare che torna in Argentina

Il neoliberismo di Milei: un modello fallimentare che torna in Argentina

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Le ricette economiche con cui il nuovo presidente dell’Argentina, il fanatico neoliberista Javier Milei, assicura di rialzare il paese dalla crisi che lo travolge sono ormai ben note.

L’ammiratore argentino delle teorie fallimentari di economisti come Milton Friedman, sostiene misure come le privatizzazioni selvagge che comprendono assett strategici e sanità, de-regulation estrema, cancellazione delle tutele lavorative, austerità, pareggio di bilancio e via dicendo. Politiche di lacrime e sangue confermate dallo stesso Milei durante il suo discorso investitura. Un discorso dove ha praticamente affermato, tra gli applausi scroscianti dei suoi sostenitori, che è pronto a sacrificare il popolo argentino sull’altare degli interessi capitalistici.

Nel suo primo incontro con la stampa il portavoce presidenziale Manuel Adorni ha affermato: “Cambieremo il contratto sociale in modo che ci sia rispetto per la legge, le libertà individuali e la proprietà privata. È chiaro che i tempi del cambiamento stanno arrivando e saranno complessi". La battaglia principale, ha aggiunto, riguarderà la crescita dell'economia, per la quale è necessario risolvere i problemi strutturali in termini di politica fiscale. "Non si spenderà più in deficit. 'Non ci sono soldi' non è una frase fatta, l'equilibrio fiscale sarà rispettato alla lettera", ha affermato, riferendosi a uno degli slogan più ripetuti da Milei prima e durante il suo insediamento.

Adorni ha annunciato che il ministro dell'Economia, Luis Caputo, annuncerà in una conferenza stampa, le misure economiche che il governo adotterà in questa prima fase e sulle quali ci sono forti aspettative. D'altra parte, ha confermato che ci saranno tagli nel settore pubblico. "La stragrande maggioranza delle persone che lavorano nello Stato sono valide, sono necessarie, ma spesso sono state lasciate da parte. Quello che combatteremo è il cosiddetto impiego militante e politico", ha affermato agitando un’altra classica bandiera neoliberista. Parole che però cozzano con uno dei primi provvedimenti di Milei: il presidente ha firmato un decreto per modificare una normativa che impediva la nomina di parenti stretti a cariche pubbliche. In questo modo, ha potuto nominare sua sorella Karina Milei come Segretario generale della Presidenza. 

Un altro provvedimento firmato da Milei autorizza il ministro delle Finanze a intervenire, chiudere, liquidare, privatizzare, fondere o sciogliere decine di imprese statali, compresi i media pubblici.

Milei sostiene visioni neoliberiste radicali, quindi un intervento pubblico ridotto all’osso, libertà estrema per il mercato capace di autoregolarsi grazie alla fantomatica ‘mano invisibile’ e una libertà economica senza limiti. Il suo paradigma economico si basa sulla convinzione che agli individui dovrebbe essere consentito di impegnarsi liberamente in attività economiche senza alcun ostacolo da parte dello Stato.

L’ondata neoliberista che si appresta a travolgere l’Argentina guidata dal fanatico ideologizzato Milei sortirà davvero gli effetti promessi dal nuovo presidente?

I fallimenti del neoliberismo

Il neoliberismo, come ideologia economica e politica, è stato ampiamente implementato in tutto il mondo a partire dagli anni ’80. Promuovendo le idee del libero mercato, della deregolamentazione e dell’intervento limitato del governo, le politiche neoliberiste avrebbero dovuto portare prosperità e benessere alle nazioni secondo quanto vanno declamando gli ottusi sostenitori. Tuttavia, la realtà ha dimostrato che il neoliberismo è stato costellato di fallimenti e conseguenze negative per tutti i paesi dove ha trovato applicazione. Senza volgere troppo lontano lo sguardo, basta vedere lo stato in cui versa l’Unione Europea tecnocratica e neoliberista. Uno dei maggiori fallimenti dell’ideologia neoliberista è l’esacerbazione della disuguaglianza, poiché le politiche neoliberiste spesso danno priorità agli interessi delle aziende e delle élite ricche rispetto ai bisogni della maggioranza. Inoltre, la privatizzazione e la deregolamentazione dei servizi essenziali come l’assistenza sanitaria e l’istruzione si sono rivelate dannose, negando l’accesso a coloro che non possono permettersi di pagare.

Uno dei difetti fondamentali del neoliberismo è la sua tendenza ad esasperare la disuguaglianza all’interno delle società. Questa ideologia favorisce pesantemente gli interessi delle multinazionali, delle istituzioni finanziarie e delle élite ricche, spesso dando luogo a politiche che arricchiscono ulteriormente chi si trova già in una posizione più che privilegiata lasciando indietro il resto della popolazione. I tagli fiscali per i ricchi, la deregolamentazione e la riduzione della spesa sociale sono misure neoliberiste comuni che ampliano il divario di ricchezza. Questo è particolarmente evidente in paesi come gli Stati Uniti, dove la disuguaglianza dei redditi ha raggiunto livelli allarmanti, creando disordini sociali e incidendo negativamente sul benessere generale della popolazione.

Un altro fallimento del neoliberismo risiede nella privatizzazione e nella deregolamentazione dei servizi essenziali. Secondo questa ideologia, settori vitali come la sanità e l’istruzione sono spesso soggetti alle forze del mercato, il che comporta un aumento dei costi e un accesso limitato per coloro che non possono permetterselo. In molti paesi, la privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha comportato un aumento dei prezzi, una diminuzione della qualità e un accesso ineguale ai servizi medici. Allo stesso modo, la privatizzazione dell’istruzione ha portato a un aumento vertiginoso delle tasse universitarie, gravando sui giovani con un debito studentesco paralizzante e limitando le opportunità educative per gli individui svantaggiati.

Dunque, nonostante quanto vanno cianciando i tipi alla Milei e simili accecati dall’ideologia che prospettano un futuro luminoso, la realtà racconta come il neoliberismo si sia rivelato un’ideologia fallimentare incapace di assicurare quanto promette.

Il caso del Cile

Un caso eclatante è quello del Cile dominato dai cosiddetti Chicago Boys, un gruppo di giovani economisti cileni formatisi presso l’Università di Chicago. Il fallimento del neoliberismo in Cile e la sua conseguente crescita impoverente costituiscono un caso emblematico. Il neoliberismo, caratterizzato da un ridotto intervento del governo e da una maggiore liberalizzazione del mercato, fu implementato in Cile durante la dittatura di Augusto Pinochet negli anni ’70. Tuttavia, invece di promuovere la crescita economica e portare benefici a tutti i settori della società, le politiche neoliberiste hanno fatto esplodere la disuguaglianza e ostacolato lo sviluppo sociale.

In primis, le politiche neoliberiste hanno portato alla concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di pochi, trascurando i bisogni della maggioranza. La privatizzazione dei beni statali, come i servizi e i servizi pubblici, ha consentito a una piccola élite di accumulare grandi fortune, mentre la popolazione generale ha sofferto per i conseguenti prezzi elevati e l’accesso inadeguato ai servizi essenziali. Questa distribuzione distorta della ricchezza ha ampliato il divario tra ricchi e poveri, portando ad un aumento delle tensioni sociali, represse brutalmente nel sangue dal regime fascista di Pinochet.

L’enfasi del neoliberismo sulle forze di mercato ha creato un sistema capitalista senza restrizioni, privo di norme per proteggere i lavoratori. Le tutele del lavoro e i diritti di contrattazione collettiva sono stati annullati, portando a condizioni di lavoro precarie e salari stagnanti per la classe operaia.

Inoltre, le politiche neoliberiste hanno impedito vi fossero pari opportunità nell’istruzione e nella sanità, perpetuando le disuguaglianze sociali. La privatizzazione dell’istruzione e della sanità ha portato alla mercificazione di questi servizi essenziali, rendendoli accessibili solo a chi può permetterseli. Una situazione che ha impedito a molte persone di accedere a un’istruzione e a un’assistenza sanitaria di qualità, rafforzando ulteriormente il ciclo della povertà e limitando la mobilità sociale.

Inoltre, il neoliberismo ha minato la fiducia del pubblico nella capacità dello Stato di provvedere ai propri cittadini. La privatizzazione dei sistemi previdenziali e pensionistici in Cile ha portato a prestazioni pensionistiche inadeguate per molti cittadini anziani, che in vecchiaia si ritrovano con un sostegno finanziario limitato. Ciò, a sua volta, ha creato un senso di insicurezza e sfiducia nella capacità del governo di salvaguardare il benessere dei suoi cittadini, minando la coesione sociale e la stabilità.

Il fallimento del neoliberismo in Cile ha avuto come risultato un impoverimento della crescita e un’esplosione delle disuguaglianze sociali. La concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di pochi, l’abbandono dei servizi essenziali e dei diritti dei lavoratori, il perpetuarsi delle disuguaglianze sociali nell’istruzione e nella sanità e l’erosione della fiducia pubblica nello Stato sono tutte caratteristiche delle politiche neoliberiste rilevate in ogni paese dove questa ideologia economica ha trovato applicazione. 

Il collasso economico dell’Argentina

Con buona pace di Milei che ama descriversi come il nuovo che avanza, le sue idee e ricette economiche sono vecchie e hanno già prodotto danni inenarrabili anche e soprattutto in Argentina. Il crollo del neoliberismo in Argentina segna un punto di svolta significativo nella storia economica del paese. Il neoliberismo, con il suo corollario di libero mercato agli estremi, la deregolamentazione e la riduzione dell’intervento statale, è stato ampiamente adottato negli anni ’90 come mezzo per stimolare la crescita economica e la stabilità. Tuttavia, questo modello capitalista ha portato a una profonda crisi economica in Argentina, caratterizzata da un’inflazione alle stelle, tassi di povertà in aumento e un’economia in crollo. 

Piccolo spoiler: la storia termina con l’allora presidente De La Rua costretto a fuggire in elicottero per sottrarsi all’esplosione della rabbia popolare.

Uno dei principali fattori che hanno contribuito al crollo del neoliberismo in Argentina è stata la forte dipendenza dai prestiti esteri. Durante gli anni ’90, il governo si è indebitato ampiamente con istituzioni finanziarie internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Questo ha reso il paese vulnerabile agli shock esterni. Quando gli Stati Uniti aumentarono i tassi di interesse all’inizio degli anni 2000, l’Argentina si ritrovò incapace di far fronte ai propri obblighi di debito, provocando un default e una grave recessione economica.

Un altro fattore chiave nel crollo del neoliberismo è stata l’attuazione di misure di austerità estreme. Per ripristinare la stabilità finanziaria e soddisfare le richieste dei creditori internazionali, il governo argentino ha attuato rigorose politiche di austerità, tra cui tagli significativi alla spesa pubblica, privatizzazione delle imprese statali e licenziamenti diffusi. Proprio quel che prospetta adesso Milei. Queste misure hanno colpito in modo sproporzionato le popolazioni più vulnerabili, causando l’esplosione di povertà e disuguaglianza. Disordini sociali e proteste scoppiarono quindi in tutto il Paese, evidenziando il fallimento delle politiche neoliberiste nell’affrontare i bisogni delle masse popolari argentine.

In conclusione, il crollo del neoliberismo in Argentina è stato il risultato di una combinazione di fattori, tra cui la forte dipendenza dal debito estero e l’attuazione di misure di austerità. Questo modello non è riuscito ad affrontare i problemi strutturali sottostanti. Le terribili conseguenze delle politiche neoliberiste, come l’aumento della povertà e della disuguaglianza, dimostrano la necessità di un approccio più equilibrato e inclusivo allo sviluppo economico. 

Evidentemente però l’Argentina non ha appreso la lezione e il paese viene di nuovo messo sulla stessa strada che lo condusse al collasso economico all’inizio del nuovo secolo. 

Milei sarà il nuovo De La Rua?

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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