Il Patto di Stabilità e la metamorfosi di Meloni
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di Alessandro Volpi*
E' sempre più evidente che la Legge di bilancio ha come unico obiettivo quello di riportare il deficit al di sotto del 3% e uscire dalla procedura d'infrazione, operando tagli e inserendo misure che dovrebbero garantire benefici ma che in realtà sono di entità risibile e sostanzialmente ridotti a mere promesse, senza alcun provvedimento di carattere strutturale. Ma a cosa serve rientrare nel parametro del 3%? Ad avere un voto migliore da parte delle agenzie di rating di proprietà dei grandi fondi Usa? Direi di sì. Ma questo serve a pagare meno interessi sul debito? Non sembrerebbe proprio visto i rendimenti dei titoli di Stato italiani che restano decisamente assai alti? La riduzione del deficit serve ad avere più risorse dall'Unione europea? Non sembrerebbe proprio visto peraltro che, tra poco, cesserà anche il Pnrr il cui unico risultato è stato quello di portare le stime di crescita del Pil a neppure l'1%, e il nostro paese continua a versare al bilancio europeo più di quanto riceva.
Ma allora perché questo feticismo del rigore che, di fatto, non consente neppure di adeguare la spesa pubblica all'inflazione? Giorgia Meloni, quando era all'opposizione, lanciava strali contro il Patto di stabilità e ora ne è diventata la più zelante sacerdotessa di rito draghiano. Forse servirebbe una visione politica che partisse da un dato ormai insostenibile: in Italia le entrate fiscali totali derivano per quasi il 40 % dai salari, mentre provengono dai profitti per meno del 5%: ciò avviene nonostante i profitti siano arrivati ad essere pari al 40% del Pil italiano, con un aumento in vent'anni di quasi 7 punti rispetto ai salari. Siamo il paese dello sceriffo di Nottingham dove alle banche e alle assicurazioni si chiede se, cortesemente, anticipano le tasse che non pagheranno in futuro, dimenticando i colossali profitti e, nel caso delle assicurazioni, non considerando che l'introduzione universale della polizza sulle calamità naturali è destinata a generare entrate per una cifra oscillante fra i 2 e i 4 miliardi di euro l'anno. Ma le tasse le paga il lavoro dipendente a cui il Patto di stabilità toglie il Welfare.
*Post Facebook del 16 ottobre 2025
Ma allora perché questo feticismo del rigore che, di fatto, non consente neppure di adeguare la spesa pubblica all'inflazione? Giorgia Meloni, quando era all'opposizione, lanciava strali contro il Patto di stabilità e ora ne è diventata la più zelante sacerdotessa di rito draghiano. Forse servirebbe una visione politica che partisse da un dato ormai insostenibile: in Italia le entrate fiscali totali derivano per quasi il 40 % dai salari, mentre provengono dai profitti per meno del 5%: ciò avviene nonostante i profitti siano arrivati ad essere pari al 40% del Pil italiano, con un aumento in vent'anni di quasi 7 punti rispetto ai salari. Siamo il paese dello sceriffo di Nottingham dove alle banche e alle assicurazioni si chiede se, cortesemente, anticipano le tasse che non pagheranno in futuro, dimenticando i colossali profitti e, nel caso delle assicurazioni, non considerando che l'introduzione universale della polizza sulle calamità naturali è destinata a generare entrate per una cifra oscillante fra i 2 e i 4 miliardi di euro l'anno. Ma le tasse le paga il lavoro dipendente a cui il Patto di stabilità toglie il Welfare.
*Post Facebook del 16 ottobre 2025