Ma perché quando sono gli Usa a lanciare missili intercontinentali non si parla di "provocazioni"?

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di Fabrizio Poggi

Forse è sfuggito all'attenzione, ma non sembra che qualcuno dei canali TV abbia parlato di provocazione, negli ultimi due giorni, in occasione del lancio del missile balistico intercontinentale “Minuteman III” da parte degli Stati Uniti, come i media italici sono soliti dichiarare dopo un test missilistico nordcoreano. Eppure il “Minuteman”, lanciato dalla California, ha preso la direzione della RDPC ed è caduto in mare dopo una traiettoria di 4000 miglia, nell'area dell'atollo Kwajalein, a sud delle isole Marshall. Il missile, non armato, ma in grado di portare testate nucleari, è caduto nell'oceano Pacifico dopo aver percorso ben più della metà del tragitto in direzione della Corea del Nord. Il canale Zvezdatv scrive che, alla data del 2008, gli USA disponevano di 450 razzi “Minuteman III”, con 550 testate atomiche.

A proposito della tensione tra Washington e Pyongyang, RIA Novosti scrive oggi che gli USA potrebbero porre sotto stretta sorveglianza i porti russi di Vladivostok, Nakhodka e Vanino, nel quadro delle sanzioni all'esame del Congresso nei confronti della RDPC e che impegnano il Presidente a riferire annualmente sulle misure concrete adottate nei confronti di porti e aeroporti da cui potrebbero partire merci dirette verso la Corea del Nord. Insieme ai porti russi sull'oceano Pacifico, sotto sorveglianza sarebbero anche porti cinesi, iraniani e siriani. Il documento, adottato per ora dalla Camera dei rappresentanti USA prevede che il Ministero per la sicurezza interna abbia la facoltà, sul territorio statunitense, di ispezionare navi e aerei che nel corso dell'anno precedente abbiano toccato il territorio della RDPC, oppure siano registrati in paesi i cui controlli doganali siano giudicati “insoddisfacenti”. Si prevede anche l'introduzione di sanzioni contro quei paesi che acquistino dalla Corea del Nord merci quali oro, nichel, titanio, zinco, metalli rari, carbone e ferro. Si proibisce addirittura l'impiego di lavoratori nordcoreani, se ciò possa andare a favore del governo di Pyongyang.
 

E' in questo quadro che non può passare inosservato un commento dell'ufficiale Rodong Sinmun, a firma dell'osservatore Kim Chol, in cui si punta il dito sui media “dei grandi paesi confinanti”, Rénmín Rìbào e Huánqiú Shíbào, accusati di “osservazioni assurde e sconsiderate”, forse perché “spaventati dai ricatti e dai missili USA”. Quegli organi ufficiali del PC cinese, secondo Chol, avrebbero affermato che il potenziale nucleare nordcoreano “costituisce una minaccia per gli interessi nazionali della Cina”, dirottando sulla RDPC, in sintonia con gli USA, la colpa per il peggioramento delle relazioni tra Pechino e Pyongyang. Accusando la RDPC, con i suoi test nucleari “a meno di 100 km dal confine”, di minacciare "la sicurezza nella regione nordorientale della Cina", quei media non farebbero altro che avallare i “pretesti USA per il loro dislocamento di forze strategiche nella regione”. Di più, Quotidiano del Popolo e Global Times si dichiarano contrari all'accesso nordcoreano al nucleare, per preservare “gli interessi comuni di Stati Uniti e Cina” e si pronunciano per “sanzioni più severe contro la RDPC per evitare una guerra che costituirebbe un pericolo per la Cina”.
 

Tutto ciò, scrive Kim Chol, non è che una “violazione dei legittimi diritti di indipendenza e dignità e degli interessi della RDPC e costituisce altresì una minaccia verso un paese confinante legato da una lunga tradizione di amicizia”. Sono invece gli interessi della RDPC e non della Cina, scrive Chol, ad esser stati ripetutamente violati dalla insincerità e dal tradimento da parte del suo partner.
 

“Alcuni teorici cinesi dicono un sacco di sciocchezze”, secondo cui l'accesso della RDPC al nucleare offrirebbe agli USA un pretesto per rafforzare la loro attività strategica nella regione. Ma Washington, scrive Chol, aveva attivato la sua strategia di dominio nella regione Asia-Pacifico molto prima che la RDPC avesse accesso al nucleare e il suo obiettivo primario è proprio la Cina.
 

Pechino, continua il Rodong Sinmun, dovrebbe riconoscere in modo onesto che la RDPC ha invece contribuito a proteggere la pace e la sicurezza della Cina, frenando il regime statunitense. E poi la stoccata finale: nulla può cambiare la linea della RDPC per l'accesso al potenziale nucleare e Pyongyang non chiederà mai di mantenere l'amicizia con la Cina a prezzo del proprio programma nucleare, prezioso per la sua sopravvivenza, ben più di quanto sia preziosa tale amicizia. La Cina, conclude Kim Chol, non dovrebbe più cercare di mettere alla prova i limiti della pazienza della RDPC, ma procedere a un'opzione strategica adeguata.
 

Forse l'organo ufficiale del PCC non ha dato mano libera a Donald Trump, ma la partita nordcoreana sembra comunque farsi più intricata e per niente tranquilla.

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