Uscita dall'euro. Italia dovrebbe veramente restituire 430 miliardi alla Bce?

Uscita dall'euro. Italia dovrebbe veramente restituire 430 miliardi alla Bce?

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Coniare Rivolta*
 

Spesso e volentieri nel dibattito sul ruolo e il destino dell’Unione europea il sistema mediatico dominante lancia anatemi sugli enormi rischi derivanti da un’eventuale uscita. Si tratta di una strategia preventiva volta a chiudere il dibattito sul nascere presentando ogni opzione di eventuale rottura, o anche solo ogni voce critica, come un’irresponsabile e puerile fuga in avanti irrealizzabile o terribilmente dannosa. Di recente ci ha pensato Floris, noto presentatore “Di martedì”, a terrorizzarci con un elenco dei costi che l’Italia dovrebbe sostenere se qualche folle si mettesse in testa di uscire dall’Unione europea. E lo ha fatto ricorrendo ad un breve schema ad effetto.
 

  1. obbligo di restituzione di 430 miliardi alla BCE;
  2. fuga di investitori e capitali, rischio default banche;
  3. maxi-inflazione, crollo potere acquisto salari e pensioni;
  4. mutui in euro più cari da ripagare in lire;
  5. aumento costo materie prime, aumento bollette.


Lo schemino di Floris ci fornisce lo spunto per fare chiarezza in particolare sul primo punto, quello relativo alla presunta restituzione di 430 miliardi alla BCE. Ci si riferisce al saldo di un conto, aperto presso la BCE, noto come Target 2. Cosa è il Target 2Come spiega la stessa BCE, è “la principale piattaforma europea per il regolamento di pagamenti di importo rilevante; viene utilizzato sia dalle banche centrali sia dalle banche commerciali per trattare pagamenti in euro in tempo reale” e permette “alla moneta di fluire liberamente attraverso i confini”.


L’Italia ha, in effetti, un saldo negativo sul Target 2 di circa 430 miliardi di euro. Dunque, se usciamo dall’euro dobbiamo pagare il conto? Proviamo a fare quello che Floris non può fare, proviamo a capire di cosa stiamo parlando.


Partiamo dal caso più semplice, lo scambio di merci. Il Target 2 è uno strumento attraverso cui la BCE crea moneta e la inietta nel sistema economico europeo. I Paesi appartenenti all’area dell’euro commerciano tra loro. La Germania, ad esempio, compra merci dalla Grecia, e la Grecia ne compra dalla Germania. Questi scambi danno vita a flussi di denaro che vanno nella direzione opposta ai flussi di merci: un flusso di euro andrà a pagare le merci greche acquistate in Germania, dunque muoverà dalla Germania alla Grecia, ed un altro andrà in senso contrario, dalla Grecia alla Germania, per pagare le merci tedesche acquistate dai greci. Ma ci sono economie più forti di altre. La Germania è un esportatore netto, cioè esporta più merci di quelle che importa dagli altri Paesi; la Grecia è un importatore netto, cioè importa dagli altri più merci di quelle che riesce ad esportare. Rivolgendo l’attenzione ai flussi di denaro, che vanno in senso opposto rispetto ai flussi di merci, noteremo dunque che la Grecia deve dare ogni giorno alla Germania più denaro di quello che la Germania versa alla Grecia per pagarne le sue merci. Quando questi due Paesi avevano monete diverse questo squilibrio commerciale incontrava precisi vincoli monetari: la Grecia aveva bisogno di più marchi (questa la moneta tedesca prima dell’euro) di quelli che riceveva come pagamento delle proprie esportazioni in Germania, e dunque doveva chiedere in prestito marchi, indebitandosi con le banche tedesche. Il debito che la Grecia contraeva in marchi si dice ‘debito estero’, perché il Paese si indebita in una valuta che non ha il potere di emettere, in una moneta straniera. Il debito estero non può crescere all’infinito, perché va ripagato in una moneta estera che scarseggia nel Paese. Questo vincolo monetario imponeva, paradossalmente, dei limiti agli squilibri commerciali tra Paesi europei: la Germania poteva fare l’esportatore netto fino ad un certo punto, perché la Grecia poteva fare l’importatore netto solo nei limiti in cui riusciva a raccogliere marchi sui mercati finanziari. In altre parole, vincoli valutari contenevano le dimensioni degli squilibri commerciali interni all’Europa.


Una delle ragioni per cui nasce l’Unione europea è abbattere questo limite, consentendo ai paesi industrializzati più avanzati (Germania e Olanda, su tutti) di conquistare definitivamente tutto il cosiddetto ‘mercato comune’, cioè a dire tutti i mercati europei, al di là dei vincoli che diverse valute necessariamente imporrebbero. Uno degli strumenti di questa conquista è proprio il Target 2. Attraverso questo conto, la BCE crea ogni giorno tutti gli euro di cui la Grecia ha bisogno per comprare le merci tedesche, cioè per pareggiare lo sbilanciamento nei flussi monetari che discende dallo squilibrio commerciale tra i due Paesi. Dunque, la BCE inietta euro in Grecia, ma non per la Grecia: quel denaro transita dalla Grecia ed è diretto in Germania, finendo nel fatturato dell’industria tedesca. Questo sistema di creazione di moneta (dalla periferia al centro) non genera maggiore reddito nella periferia, ma vi genera solo maggiore capacità di indebitamento.


Per chiarire meglio, facciamo un esempio pratico. Un cittadino greco decide di comprare un prodotto tedesco. Se, per semplicità, supponiamo che questa sia l’unica transazione che avviene tra i due Paesi, cioè in altri termini se quel flusso di denaro coincide con il disavanzo commerciale della Grecia verso la Germania. La transazione economica viene registrata nel Target 2? La risposta è sì. Ciò avviene perché, per regolare transazioni tra Paesi diversi, occorre base monetaria. Questo ci fa capire due cose: a) il cittadino greco deve avere i soldi per comprare la macchina (non è che il Target 2 gli regala i fondi); b) dal conto corrente del cittadino greco si va alla Banca di Grecia, e da lì – anziché privarsi di preziosa base monetaria – si chiede quella somma in prestito alla BCE, che la versa alla fabbrica tedesca. Tutto questo, ovviamente, avviene in automatico: il Target 2, a fine giornata, registra gli squilibri nei flussi tra i Paesi ed eroga quella somma per rendere possibile il regolamento (settlement) della transazione. In questo modo, il sistema economico greco si è indebitato con quello tedesco attraverso la mediazione della BCE: il Target 2 è quella mediazione.


Al sistema Grecia resterà, quindi, un debito che probabilmente in marchi non sarebbe riuscita ad accumulare a questi livelli e che invece la BCE è ben felice di concedere, rendendo possibile l’ampliamento degli squilibri commerciali tra i Paesi centrali e i Paesi periferici. Infatti, il denaro iniettato in Grecia si registra come un prestito della BCE alla Grecia proprio sul Target 2. Specularmente, il maggiore denaro incamerato dal sistema economico tedesco nel gioco del commercio intra-europeo viene depositato presso la BCE, generando un saldo positivo della Germania sul Target 2. Si tratta di una semplice registrazione contabile dell’operazione che, occorre precisare, richiedeva il prestito alla Grecia di base monetaria in euro: se questa esigenza viene soddisfatta da chi ha il potere di creare moneta, non vi sono limiti all’espansione di questa particolarissima (finché siamo nell’euro) forma di debito estero. Non a caso, i più accaniti critici del Target 2 sono le banche private tedesche, che si sono viste sottrarre l’affare della intermediazione del commercio: prima i greci dovevano passare per loro, chiedere loro marchi (e per questo il tutto aveva un limite, perché una banca privata non presta mai all’infinito). Da quando c’è il Target 2 la BCE salta completamente quel passaggio: un ottimo esempio di come il progetto di integrazione europea sia molto più attento alle esigenze dell’industria che non della finanza. Favorisce gli esportatori, sfavorisce le banche.


Questo conto, in ultima analisi, riflette esattamente la suddivisione dell’Europa tra esportatori netti, Paesi in surplus commerciale intra-europeo come Germania e Olanda, e Paesi importatori netti, cioè in deficit commerciale intra-europeo come Grecia e Spagna. Ai saldi negativi con segno meno dei Paesi della periferia europea registrati sul Target 2 corrispondono esattamente i saldi positivi dei Paesi centrali, vinti e vincitori nell’organizzazione del commercio intra-europeo imposta dall’Unione europea.


Questo basta per capire che il Target 2 è uno strumento dell’opera di colonizzazione commerciale che i Paesi centrali hanno imposto ai Paesi periferici in Europa: è un meccanismo al servizio delle industrie più forti per rendere sostenibile un modello di crescita fondato sull’esistenza di squilibri commerciali tra periferia e centro. Il debito accumulato dai Paesi periferici sul Target 2 fornisce la misura di questa operazione di colonizzazione dei mercati periferici: senza il Target 2, i greci e gli italiani sarebbero stati costretti – da vincoli valutari – a indirizzare i propri acquisti al mercato nazionale, contribuendo così allo sviluppo interno e al rafforzamento dell’industria domestica, esattamente come avveniva prima che partisse il progetto di integrazione europea. I prestiti della BCE che passano per il Target 2 sono uno strumento di politica monetaria utile a finanziare le esportazioni dei Paesi centrali verso quelli periferici, tutt’altro che una regalia della BCE ai Paesi periferici.


In Italia, il deficit registrato sul Target 2 è solo parzialmente spiegabile attraverso gli squilibri commerciali intra-europei. In buona parte, esso si spiega sulla base di un differente fenomeno, legato ai movimenti dei capitali e non ai movimenti delle merci. Abbiamo visto che il Target 2 registra gli squilibri tra i flussi monetari che si verificano tra i Paesi dell’euro; tali flussi, tuttavia, non sono solo il pagamento di merci ma potrebbero anche essere meri trasferimenti di denaro (sposto il mio conto corrente in Germania, mentre nessun tedesco sposta il proprio in Italia) oppure il corrispettivo di un’attività finanziaria acquistata (compro titoli di Stato tedeschi mentre nessun tedesco compra BTP italiani). Dunque, vediamo che il Target 2 non fa sorridere solamente l’industria dei Paesi centrali, ma anche il settore finanziario europeo tutto, che può muoversi da un Paese all’altro senza i vincoli che la frammentazione valutaria imponeva in passato. Uno speculatore può muoversi agilmente tra Bund tedeschi e BTP italiani senza alcun vincolo monetario, perché il Target 2 è lì a disposizione per creare tutti gli euro necessari a fare sì che il capitale abbandoni rapidamente un Paese per un altro. Il ricatto dello spread usato contro i Paesi periferici ha creato un’elevatissima instabilità finanziaria che si traduce nella fuga di capitali verso i lidi sicuri, ovvero le attività finanziarie dei Paesi centrali, che hanno tutto il sostegno della BCE e non temono alcun attacco speculativo. Questo enorme movimento di capitali dalla periferia al centro ha prodotto ampi disavanzi sul Target 2, in particolar modo in Italia. E di nuovo, come nel caso degli squilibri commerciali, si tratta di un meccanismo che favorisce il settore finanziario nei suoi movimenti speculativi, non certo la stabilità dei Paesi periferici: è un debito utile a oliare i meccanismi del continuo ricatto finanziario – che richiede rapidi e illimitati spostamenti di capitale intraeuropei – imposto ai Paesi periferici.


E dunque, in caso di uscita, cosa accadrebbe? Dovremmo davvero pagare il conto come suggerisce Floris? Ovviamente no. In caso di uscita dell’Italia dalla moneta unica, quel conto si tradurrebbe in un debito estero – esattamente come avveniva prima dell’introduzione dell’euro. E col debito estero si possono fare tante cose, ma mai nella storia è stato ripagato integralmente in un’unica soluzione. Si entra in una dimensione negoziale che può avere esiti diversi: si può ripagare ordinatamente e lentamente nel tempo, accumulando surplus commerciali (una strada che l’industria italiana dimostra ancora oggi di poter mettere in pratica), oppure si può ristrutturare – cioè ripudiare almeno parzialmente – sulla base della considerazione che quel debito è servito più ai Paesi centrali che ai periferici, più agli esportatori tedeschi che ai greci, più ai grandi speculatori che ai lavoratori italiani. Quel che è certo è che, in caso di uscita dell’Italia dall’euro, il saldo negativo del Target 2, quei 430 miliardi di euro, resterebbe una voce contabile, esattamente come è oggi, tra la BCE e la nostra Banca Centrale.


Mario Draghi ci ha offerto una simpatica testimonianza dell’uso terroristico e strumentale che si fa del Target 2. Simpatica perché questo ricatto del Target 2 (al grido di ‘se esci, paghi’) gli si è ritorto contro. A fronte di un’interrogazione di europarlamentari italiani sul tema, l’allora Presidente della BCE rispose: “Se un paese lasciasse l’Eurosistema, i crediti e le passività della sua Banca Centrale Nazionale nei confronti della BCE dovrebbero essere regolati integralmente”. Insomma, l’Italia avrebbe dovuto saldare il conto all’uscita, tutto insieme. Per ironia della sorte, sentendo quelle parole, un europarlamentare olandese si fa venire l’acquolina in bocca: l’Olanda ha un credito sul Target 2 di circa 100 miliardi di euro, se dunque uscisse dall’euro potrebbe passare alla cassa a ritirare? Panico a Francoforte, poi la risposta caustica di Draghi: “Lasci che le risponda nello stesso modo in cui ho risposto a domande simili al Parlamento europeo. L’euro è irrevocabile, e questo è nei trattati. Non farò speculazioni su ipotesi che non hanno possibilità di avverarsi alla luce degli attuali accordi. Inoltre, l’euro è stato un successo per l’eurozona e specialmente per i paesi come l’Olanda”. C’è altro da aggiungere?


Il problema del Target 2, in caso di un’eventuale uscita dell’Italia dalla zona euro, è un problema di debito estero, e come tale deve essere affrontato. Nello specifico, sarebbe parte integrante del debito italiano denominato in una valuta diversa da quella nazionale: in euro anziché in nuove lire, così come l’Italia ha già debiti nelle principali valute mondiali, dal dollaro allo yuan. Nessun nuovo conto da saldare nell’immediato, certamente un nuovo capitolo della lotta tra sfruttatori e sfruttati. Con buona pace di Floris.


*Pubblichiamo su gentile concessione degli autori

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