Dall'illusione alla pace: la doppia prova di Trump su Gaza e Ucraina

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Dall'illusione alla pace: la doppia prova di Trump su Gaza e Ucraina


di Jeffrey Sachs e Sybil Fares - Al Jazeera

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si dipinge come un fautore di pace. Nella sua retorica, si attribuisisce il merito dei suoi sforzi per porre fine alle guerre a Gaza e in Ucraina. Eppure, sotto questa ostentazione si cela una mancanza di sostanza, almeno fino ad oggi.

Il problema non è la mancanza di sforzo da parte di Trump, ma la sua mancanza di concetti appropriati. Trump confonde la "pace" con i "cessate il fuoco", che prima o poi (tipicamente prima) riportano alla guerra. In effetti, i presidenti americani da Lyndon Johnson in poi sono stati succubi del complesso militar-industriale, che trae profitto dalla guerra perpetua. Trump non fa che seguire quella scia, evitando una risoluzione genuina delle guerre a Gaza e in Ucraina.

La pace non è un cessate il fuoco. Una pace duratura si ottiene risolvendo le dispute politiche sottostanti che hanno portato alla guerra. Ciò richiede di affrontare la storia, il diritto internazionale e gli interessi politici che alimentano i conflitti. Senza affrontare le cause profonde della guerra, i cessate il fuoco sono una semplice pausa tra un round di massacri e l'altro.

Trump ha proposto quello che lui definisce un "piano di pace" per Gaza. Tuttavia, ciò che delinea non equivale a nulla di più di un cessate il fuoco. Il suo piano non affronta la questione politica centrale della statualità palestinese. Un vero piano di pace legherebbe insieme quattro esiti: la fine del genocidio di Israele, il disarmo di Hamas, l'adesione della Palestina alle Nazioni Unite e la normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele e Palestina in tutto il mondo. Questi principi fondamentali sono assenti dal piano di Trump, ed è il motivo per cui nessun paese lo ha avallato, nonostante le insinuazioni della Casa Bianca in contrario. Al massimo, alcuni paesi hanno sostenuto la "Dichiarazione per una Pace e Prosperità Durevoli", un gesto temporeggiatore.

Il piano di pace di Trump è stato presentato ai paesi arabi e musulmani per distogliere l'attenzione dalla spinta globale per la statualità palestinese. Il piano statunitense è concepito per indebolire tale slancio, permettendo a Israele di continuare la sua annessione de facto della Cisgiordania e il suo incessante bombardamento di Gaza e le restrizioni agli aiuti d'emergenza sotto la scusa della sicurezza. Le ambizioni di Israele sono quelle di eradicare la possibilità di uno Stato palestinese, come il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha reso esplicito all'ONU a settembre. Finora, Trump e i suoi associati hanno semplicemente avanzato l'agenda di Netanyahu.

Il "piano" di Trump si sta già sfilacciando, proprio come gli Accordi di Oslo, il Vertice di Camp David e ogni altro "processo di pace" che ha trattato la statualità palestinese come un'aspirazione lontana piuttosto che la soluzione al conflitto. Se Trump vuole davvero porre fine alla guerra – proposizione alquanto dubbia – dovrebbe rompere con le Big Tech e con il resto del complesso militar-industriale (beneficiari di vasti contratti per armamenti finanziati dagli USA). Dall'ottobre 2023, gli USA hanno speso 21,7 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele, gran parte dei quali tornano nella Silicon Valley.

Trump dovrebbe anche rompere con il suo principale donatore, Miriam Adelson, e con la lobby sionista. Così facendo, rappresenterebbe almeno il popolo americano (che sostiene uno stato di Palestina) e sosterebbe gli interessi strategici americani. Gli USA si unirebbero al schiacciante consenso globale, che appoggia l'implementazione della soluzione a due stati, radicata nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e nelle opinioni della Corte Internazionale di Giustizia.

Lo stesso fallimento nel fare pace da parte di Trump vale per l'Ucraina. Trump ha ripetutamente affermato durante la campagna elettorale di poter finire la guerra "in 24 ore". Eppure, ciò che ha proposto è un cessate il fuoco, non una soluzione politica. La guerra continua.

La causa della guerra in Ucraina non è un mistero – se si guarda al di là dei luoghi comuni dei media mainstream. Il casus belli è stata la spinta del complesso militar-industriale americano per l'espansione senza fine della NATO, incluso in Ucraina e Georgia, e il golpe sostenuto dagli USA a Kiev nel febbraio 2014 per portare al potere un regime filo-NATO, che ha innescato la guerra. La chiave per la pace in Ucraina, allora come ora, era che l'Ucraina mantenesse la sua neutralità come ponte tra la Russia e la NATO.

Nel marzo-aprile 2022, quando la Turchia mediò un accordo di pace nel Processo di Istanbul, basato sul ritorno alla neutralità dell'Ucraina, gli americani e gli britannici spinsero gli ucraini ad abbandonare i negoziati. Fino a quando gli USA non rinunceranno chiaramente all'espansione della NATO in Ucraina, non potrà esserci una pace sostenibile. L'unica via percorribile è un accordo negoziato basato sulla neutralità dell'Ucraina nel contesto della sicurezza reciproca di Russia, Ucraina e dei paesi NATO.

Il teorico militare Carl von Clausewitz ha notoriamente caratterizzato la guerra come la continuazione della politica con altri mezzi. Aveva ragione. Eppure, è più accurato dire che la guerra è il fallimento della politica che porta al conflitto. Quando i problemi politici vengono rinviati o negati, e i governi non riescono a negoziare su questioni politiche essenziali, troppo spesso segue la guerra. La pace reale richiede il coraggio e la capacità di impegnarsi in politica, e di affrontare i profittatori di guerra.

Nessun presidente dopo John F. Kennedy ha davvero provato a fare pace. Molti osservatori attenti di Washington credono che sia stato l'assassinio di Kennedy a mettere irrevocabilmente il complesso militar-industriale sul trono del potere. In aggiunta, l'arroganza del potere statunitense già notata da J. William Fulbright negli anni '60 (in riferimento alla fuorviante guerra del Vietnam) è un altro colpevole. Trump, come i suoi predecessori, crede che le prepotenze, le depistazioni, le pressioni finanziarie, le sanzioni coercitive e la propaganda degli USA saranno sufficienti a costringere Putin a sottomettersi alla NATO, e il mondo musulmano a sottomettersi al dominio permanente di Israele sulla Palestina.

Trump e il resto dell'establishment politico di Washington, legati al complesso militar-industriale, non abbandoneranno di propria iniziativa queste illusioni persistenti. Nonostante decenni di occupazione israeliana della Palestina e più di un decennio di guerra in Ucraina (iniziata con il golpe del 2014), le guerre continuano nonostante i tentativi in corso degli USA di affermare la propria volontà. Nel frattempo, il denaro fluisce nelle casse della macchina da guerra.

Ciononostante, c'è ancora un barlume di speranza, poiché la realtà è una cosa testarda.

Quando Trump arriverà presto a Budapest per incontrare il presidente russo Vladimir Putin, il suo ospite, il profondamente informato e realistico Primo Ministro ungherese Viktor Orban, potrà aiutare Trump a cogliere una verità fondamentale: l'allargamento della NATO deve finire per portare la pace in Ucraina. Allo stesso modo, le controparti fidate di Trump nel mondo islamico – il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il Presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi e il Presidente indonesiano Prabowo Subianto – possono spiegare a Trump l'assoluta necessità della Palestina come stato membro dell'ONU ora, come prerequisito essenziale per il disarmo di Hamas e per la pace, non come una vaga promessa per la fine della storia.

Trump può portare la pace se tornerà alla diplomazia. Sì, dovrebbe affrontare il complesso militar-industriale, la lobby sionista e i guerrafondai, ma avrebbe dalla sua il mondo e il popolo americano.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

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