Dallo sciopero al fronte di lotta internazionale
di Alessandra Ciattini - Futura Società
L’atroce genocidio dei palestinesi ha suscitato negli ultimi tempi numerose manifestazioni in tutte le parti del mondo, compresa l’Italia. Ha anche spinto molti capi di Stato nella recente Assemblea generale delle Nazioni Unite ad attaccare la folle politica dello Stato sionista e l’appoggio fornito a esso dagli Usa, che hanno bloccato qualsiasi possibilità di intervento umanitario volto a poner termine all’eccidio. L’aspetto importante di queste proteste sta nel fatto che, accanto all’assoluto sostegno al popolo palestinese, sono apparse anche rivendicazioni di carattere politico e sociale, che mostrano come stia divenendo sempre più chiaro il legame tra la politica bellicista del blocco euroatlantico e l’austerità fascista che si vuole imporre ai lavoratori del mondo.
Le numerose manifestazioni contro l’atroce genocidio perpetrato in Palestina, che si sono svolte in molte città italiane lo scorso 22 settembre con la partecipazione di lavoratori, famiglie, giovani, bambini, indette dall’Usb, dai sindacati di base e da altre organizzazioni radicali, hanno riunito circa un milione di persone. Un evento che è stato da molti definito storico, caratterizzato da uno sciopero generale e dai blocchi ai porti di Genova, Salerno, Marghera, Livorno, delle stazioni di Napoli, Milano e Roma e di alcune tangenziali senza suscitare le disapprovazione degli automobilisti che sono rimasti in coda. Molti esultano affermando che la rassegnazione, il sentimento di impotenza delle masse sono finalmente finiti e che ora probabilmente comincia un’altra fase, non solo in Italia come vedremo, che riporterà – ci auguriamo – i lavoratori al centro dell’iniziativa politica non solo contro quello che sta avvenendo a Gaza, ma anche contro la guerra in tutte le sue forme e contro tutte quelle politiche antipopolari che sono la diretta conseguenza delle folli scelte belliciste degli Usa e del suo vile e corrotto sottoposto: l’Unione Europea.
L’evento era stato preceduto da una serie di altre proteste, che non hanno avuto la stessa affluenza, tra cui la mobilitazione indetta dalla Cgil insieme a uno sciopero di 4 ore dei lavoratori, con un presidio a Roma davanti a Montecitorio. Naturalmente, in questo momento così difficile e pericoloso (per alcuni saremmo già entrati nella Terza guerra mondiale) la celebrazione di due manifestazioni distinte, dovute al fatto che la cosiddetta sinistra (Pd e company), deve sempre difendere la sua immagine moderata e mite, costituisce un controsenso e anche un’espressione di vigliaccheria da parte di questo settore che suscita sempre meno interesse in gran parte della popolazione. Tuttavia, molti di quelli che continuano a essere legati a queste organizzazioni sono scesi in piazza il 22 settembre, esprimendo la volontà di una presa di posizione forte contro il genocida Israele e a difesa della Global Sumud Flotilla, che sta tentando di portare aiuti allo stremato popolo di Gaza.
L’appoggio assoluto al popolo della Palestina e l’orrore per quello che sta avvenendo a Gaza implica conseguentemente la condanna del governo italiano (non dico nostro perché nostro non è), il quale non ha avuto il coraggio di emettere una sola sanzione contro il governo sionista, non ha rotto nessun accordo militare, economico con questa entità che non merita di essere annoverata tra i membri del mondo civile e della comunità umana. Così l’impresa di armamenti Leonardo continua a fare lucrosi affari sulla pelle della povera gente, senza nessuna compassione (sentimento intrinsecamente umano) verso quest’ultima, che vaga in un territorio distrutto senza cibo, senza farmaci e senza difesa verso i continui attacchi. La Meloni, definita dagli slogan dei manifestanti, “assassina”, non è stata nemmeno capace di fare un timido gesto simbolico, quello di riconoscere lo Stato di Palestina; gesto fatto da altri leader non solo europei e solo quando è ormai diventato evidente che l’ostacolo alla pacifica convivenza tra i popoli mediorientali è unicamente l’esistenza dello Stato sionista e razzista di Israele, che dovrebbe essere sostituito da un’unica organizzazione che riconosca i pieni diritti delle sue diverse componenti. D’altra parte, realisticamente chi potrebbe costringere Israele a ritirarsi dalle terre occupate dopo il 1967? I cortei, che si sono snodati nelle diverse città italiane, hanno ripreso il forte slogan delle precedenti manifestazioni francesi (18 settembre): “blocchiamo tutto”, adottato in primis dai portuali di Genova, che hanno anche gridato: “Nemmeno un chiodo partirà per Israele”.
C’è un aspetto molto importante da sottolineare, che poi ha caratterizzato le manifestazioni, le marce, le proteste, che si sono registrate ovunque nel mondo, ed esso può essere così riassunto: la condanna del massacro dei palestinesi è strettamente legata al ripudio delle cosiddette politiche di austerità, che prefigurano politiche di riarmo, a vantaggio del complesso militare-industriale statunitense (ma anche francese, italiano e tedesco), facendone pagare i costi alle masse popolari, che il cancelliere della Germania Friedrich Merz ha tentato di intimorire, affermando che “lo Stato sociale è ormai finito”. Non ce ne siamo accorti solo noi, ma anche alcuni presidenti che nei giorni passati hanno parlato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, come per esempio Gustavo Petro, presidente della Colombia, che ha fatto un discorso veramente potente contro l’imperialismo, mostrando come tutto quello che accade nel mondo sia legato da un unico filo rosso.
A questo proposito è bene riportare le parole di Marcello Amendola, segretario generale della Cub, il quale ha dichiarato:
“Le piazze d’Italia si sono riempite di manifestanti determinati a dire basta al massacro di civili palestinesi, uomini, donne e bambini che l’esercito israeliano sta sistematicamente uccidendo e terrorizzando, con il palese obiettivo di occupare i territori e cacciarli dalla loro terra.
Le manifestazioni in Italia hanno detto basta anche allo sfruttamento sul lavoro, alla precarietà, alla povertà salariale, alla mancanza delle necessarie tutele della salute di chi lavora e alla necessità di investimenti per la sanità, la scuola, i trasporti e il welfare”.
In definitiva, i manifestanti hanno ripreso l’antico e sempre valido slogan: “Pace, pane, terra”, che riporteranno in piazza il prossimo 4 ottobre, data della prossima mobilitazione, speriamo ugualmente combattiva.
Circa una settimana fa (13 settembre) si è svolta anche un’importante manifestazione nel centro di Londra vicino a Westminster, il cui slogan era “Mi oppongo al genocidio e sostengo Palestine Action”, un gruppo militante proibito sulla base del Terrorism Act, il quale punisce l’affiliazione a esso con una pena fino a 14 anni di carcere. Secondo quanto raccontano i partecipanti, che esibivano cartelli di cartone inneggianti al popolo palestinese, la polizia li ha aggrediti violentemente e ha arrestato 857 persone per il sostegno al gruppo proibito, 33 per altri reati e 17 per aver attaccato le forze repressive. I manifestanti, che erano già scesi in piazza il 6 settembre, hanno dichiarato che le proteste continueranno fino a che non sarà cancellata la messa al bando di Palestine Action e che il 4 ottobre organizzeranno una grandissima protesta in coincidenza con quanto sta prospettando in altri paesi.
Anche l’arrivo di Trump nel Regno Unito, invitato da un anziano monarca, mero cascame feudale, ha suscitato la collera delle masse. Migliaia di persone hanno marciato per le strade di Londra, dirigendosi verso il Parlamento, esponendo striscioni in cui si diceva “No al razzismo, no a Trump” e condannando il costo della visita del presidente Usa, il suo appoggio a Israele contro i diritti dei palestinesi e l’aumento della spesa per il riarmo della Nato a sostegno di una fantomatica minaccia militare russa. Hanno anche esposto foto di Trump in compagnia del famigerato Epstein, mentre si raggruppavano presso il castello di Windsor, dove la famiglia reale e i suoi impresentabili ospiti hanno banchettato a spese del contribuente britannico.
Negli Usa il gruppo US Campaign for Palestinian Rights (Uscpr), che sostiene l’autodeterminazione dei palestinesi e il loro diritto al ritorno, sulla base dei diritti umani e dell’anticolonialismo, organizza quasi ogni giorno presidi, manifestazioni che si svolgono in varie località del paese. Nello stesso tempo si oppone al supporto finanziario, militare, economico Usa a Israele, che ha instaurato un regime di occupazione militare e di apartheid contro il popolo palestinese, e che promuove una diversa politica economica volta a soddisfare i bisogni popolari e non a finanziare – come sta avvenendo negli Usa – i sistemi di violenza quali la polizia, le carceri, il militarismo e la cacciata degli immigranti. Non a caso insieme ai cartelli di appoggio al popolo palestinese sono stati branditi anche cartelli con la scritta “Fuck ICE”, indirizzata al gruppo paramilitare mascherato che sta arrestando gli immigrati negli Usa, con la scusa che sono tutti criminali, per deportarli in condizioni disumane.
In Francia, paese particolarmente vivace e sempre pronto a mobilitarsi, il 18 settembre è stato organizzato uno sciopero generale, il cui obiettivo era ed è la politica antipopolare del vacillante governo di Lecornu, privo di maggioranza parlamentare, e a cui hanno partecipato un milione di lavoratori; tuttavia, i cortei sono stati accompagnati da bandiere palestinesi, cui gruppuscoli di destra presto dispersi hanno contrapposto il tricolore francese. I numerosi manifestanti si sono tutti espressi contro la legge di bilancio 2026, che il Pcf ha definito “una dichiarazione di guerra sociale”, perché attacca il potere di acquisto dei salari, le pensioni, i servizi sociali, proponendo una legge di bilancio alternativa.
Fenomeni analoghi hanno avuto luogo in molti paesi come in Belgio, Australia, Nuova Zelanda, ovviamente in Yemen, l’unico paese che ha il coraggio di fronteggiare apertamente Israele e i suoi potenti complici, in Iran, in Egitto, in Kenya, in Algeria, in Tunisia; in America Latina, dove hanno protestato a Cuba, in Colombia, in Nicaragua, in Brasile, in Venezuela ecc. In Asia gli oppositori del genocidio sono scesi in piazza nella Corea del Sud, paese strettamente legato agli Usa, in Malaysia, in Indonesia, in Brunei, in Cina si sono mossi soprattutto gli studenti, mentre in India Sonia Gandhi ha criticato il silenzio del primo ministro Modi, che ha rapporti amichevoli con Netanyahu, colpevole di crimini contro l’umanità. Contemporaneamente alle proteste contro il genocidio perpetrato da Israele, molti paesi asiatici (Nepal, Indonesia, Filippine) sono stati sconvolti da mobilitazioni contro quello che viene definito nepotism baby, ossia contro i privilegi di cui godono gli appartenenti alle cosiddette caste, che caratterizza anche le nostre società sempre più polarizzate.
Ad oggi 157 paesi membri delle Nazioni Unite riconoscono lo Stato di Palestina e alcune organizzazioni militanti chiedono con forza all’Assemblea Generale di applicare al caso di quel popolo massacrato la risoluzione “Uniti per la pace”, di fatto raramente utilizzata, originariamente creata per aggirare l’inazione del Consiglio di Sicurezza, dovuta all’impiego del veto da parte degli Usa. Questa risoluzione consentirebbe di aprire una sessione di emergenza su Gaza e di organizzare rapidamente un’operazione di pace con gli indispensabili aiuti umanitari a sostegno al popolo palestinese, come del resto prevede la stessa carta delle Nazioni Unite nel caso di emergenze umanitarie. La Cina e l’Indonesia hanno anche proposto di fornire una forza di pace.
In sostanza, di strumenti giuridici, nonostante il recente abominevole attacco di Trump alle Nazioni Unite farcito di considerazioni a dir poco fantasiose, ce ne sarebbero, ma ovviamente non sono sufficienti. È necessaria la continua e intensa pressione delle masse, che devono divenire sempre più consapevoli che la brutalità contro il popolo palestinese costituisce l’altra faccia della triste medaglia: l’immiserimento dei popoli del mondo per garantire alle élite dominanti la persistenza del loro potere anche a costo della guerra e dello sterminio.