La Cina è vicina - Pino Arlacchi (VIDEO)
Le tre chiavi per comprendere il modello cinese
di Clara Statello
La Cina è destinata a diventare la prima potenza mondiale. Da decenni cresce ininterrottamente con tassi a due cifre debellando povertà e arretratezza. La pianificazione dell’economia ha imbrigliato il capitalismo, sottomettendo i mercati agli interessi dello stato, non delle società multinazionali.
E’ questo il socialismo 2.0 o socialismo di mercato o socialismo con caratteristiche cinesi, un modello che da un lato ancora non risulta ben chiaro alla sinistra occidentale, obnubilata dalla retorica diritto-umanista neoliberale, dall’altro è continuamente discreditato dai media.
L’Occidente, infatti, ha rinunciato ad una competizione di modelli, arroccandosi su una battaglia di retroguardia che sostanzialmente consiste nel nascondere, minimizzare, negare, diffamare le conquiste e gli avanzamenti del socialismo cinese, anziché emularne i successi.
Così, tutte le redazioni delle cosiddette democrazie liberali, quelle in cui dovrebbe esserci il pluralismo, intonano la stessa canzone: la Cina è una dittatura, non c’è la libertà di espressione, non ci sono i social, il partito comunista opprime il suo popolo, costringendolo a vivere in condizioni di subumanità. Alcuni pezzi della sinistra radicale si aggiungono a questo refrain, con la deviazione sul tema: la Cina è un capitalismo, è una potenza imperialista.
Al netto dei vari approcci, il capitalismo di distingue dal socialismo non tanto per l’espropriazione del plusvalore, ma per la sua destinazione. Nei sistemi capitalisti il plusvalore viene reinvestito per espandere la produzione e dunque aumentare i profitti dei padroni (e lo sfruttamento dei lavoratori). Questo processo si chiama accumulazione di capitale.
Nella Repubblica Popolare Cinese l’accumulazione di valore è stata utilizzata per portare fuori dalla povertà 800 milioni di persone. Per eradicare la povertà assoluta. Per ridurre il divario tra città e campagne. Per modernizzare il Paese. Per la ricerca scientifica e tecnologica, per la conquista dello spazio, per le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale, per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.
Non siamo ancora davanti al “regno dei lavoratori” o nella città del Sole, l’utopia della nuova umanità è lontana, ma non è tramontata definitivamente: la Cina di Xi Jinping l’ha riportata con forza nel solco della Storia.
Bisogna dunque guardare al modello cinese, non per emularlo ma per a) capire che ci sono strade differenti dal percorso obbligato del “giardino europeo” che non sono giungla e che l’umanità può seguire per emanciparsi dalla propria condizione; b) ripensare a un nuovo modello di sviluppo e a una nuova teoria socialista.
Il nuovo saggio “La Cina Spiegata all’Occidente” di Pino Arlacchi, edito da Fazi Editore, propone un’originale lettura della Cina contemporanea, scevra da pregiudizi ideologici. In particolare l’autore, già senatore e vicesegretario delle Nazioni Unite, mette in luce tre chiavi: la crescita attraverso la pace (principio di non espansionismo), la selezione della classe dirigente (principio della meritocrazia), il controllo dell’economia da parte del Partito Comunista (socialismo 2.0).
Partendo dal postulato di Giovanni Arrighi, secondo il quale la differenza tra socialismo e capitalismo è determinata dalla presenza dei mercati ma dal rapporto di subordinazione tra stato e mercati, la tesi di Arlacchi è che la peculiarità del modello cinese è insita proprio nella capacità del Partito comunista di aver “addomesticato la bestia capitalista” per “farle trainare il carro della società socialista”.
A seguire, l’intervista curata da Clara Statello a Pino Arlacchi per L’AntiDiplomatico:

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