La possibile provocazione armata contro la Russia che renderebbe inevitabile la guerra
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Mentre si attendono gli sviluppi dell'incontro tra Vladimir Putin e l'inviato speciale USA Steve Witkoff, a Mosca si ricorda che esattamente un anno fa, in questi giorni, era cominciata, con il concreto sostegno di forze NATO, l'avventura ucraina nella regione di Kursk, che aveva provocato la morte di oltre trecentotrenta civili e danni calcolati in circa tre miliardi di rubli, oltre a costringere Mosca a distrarre non poche forze dal fronte principale del conflitto.
Sentito da Ukraina.ru, lo storico militare Sergej Sazonov constata oggi come gli eventi di Kursk abbiano insegnato a gestire in modo diverso da prima l'amministrazione, civile e militare, delle regioni di confine.
Al presente e nel concreto della regione di Kaliningrad, su cui sempre più spesso si appuntano piani d'attacco occidentali, il generale Christopher Donahoe, comandante dell'esercito USA in Europa e Africa e comandante delle forze terrestri NATO, ha dichiarato che «non c'è assolutamente motivo per cui, per dissuadere la Russia, non si possa colpire da terra la “A2AD” (Anti-Access/Area Denial) nella regione di Kaliningrad. La domanda è dunque se la NATO possa mettere in atto, per Kaliningrad, uno scenario simile all'attacco alla regione di Kursk, cui Sazonov risponde che difficilmente qualcuno potrebbe respingere un attacco in massa di droni, come accaduto con l'attacco ucraino in Siberia o con le azioni diversive nell'attacco all'Iran. Dunque, riassume Sazonov, è possibile far fronte a un tale scenario su Kaliningrad, innanzitutto con azioni di intelligence e controspionaggio; una volta che il nemico abbia avviato un'operazione di questo tipo, l'unico modo per contrastarla è bruciare le retrovie del gruppo attaccante fino a una profondità di 400-500 chilometri, così che disponga di rifornimenti per 5-6 ore al massimo.
L'ipotesi di attacco NATO a Kaliningrad non sembri peregrina: a dispetto – o, più probabilmente, proprio cercare di mascherare, di fronte alle masse dei propri paesi, i piani UE-NATO-USA – delle grida sulla “minaccia russa”, le intenzioni belliciste delle capitali europee si fanno sempre più pericolosamente concrete.
Proprio per Kaliningrad, si ipotizzano attacchi con droni ucraini, controllati, a detta dell'ex deputato della Duma Maksim Šingarkin, dai territori lituano e polacco. L'obiettivo, afferma l'esponente del LDPR, sarebbe quello di eliminare leadership politica e militare e arrivare a inglobare la regione nella UE.
Su Ria Novosti, Kirill Strel'nikov afferma che a Ovest si è ormai definitivamente deciso di assestare una disfatta strategica alla Russia. Ciò appare evidente, in particolare dopo la dichiarazione del Ministero degli esteri russo sulla fine delle «condizioni per il mantenimento della moratoria unilaterale» sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio con base a terra e sul fatto che Mosca «non si considera più vincolata dalle relative autolimitazioni sinora adottate».
A fronte di un relativo e originale silenzio dei circoli politico-militari, molti media occidentali si sono dati a parlare di "paure" e "preoccupazioni" per un'inevitabile tornata della corsa agli armamenti e una potenziale crisi nucleare, peggiore di quella caraibica. La domanda, dunque, osserva Strel'nikov, è come mai una così logica e tardiva decisione russa, alla luce dell'ormai morto e sepolto Trattato INF, abbia suscitato tanto scalpore.
È allora il caso di ricordare che il Trattato era stato sottoscritto nel 1987, con l'obiettivo di eliminare missili con base a terra, nucleari e non nucleari, di gittata da 500 a 5.500 km. A un certo punto venne fuori, però, che gli americani trattavano l'accordo, in maniera per così dire “creativa”, sviluppando lanciatori “Mk 41” e “Mk 70”, compatibili coi missili “Tomahawk”. Anche dopo che Donald Trump, al suo primo mandato, si era ritirato unilateralmente dal Trattato, Mosca aveva deciso di continuare a rispettare unilateralmente la moratoria, affermando che non avrebbe schierato per prima tali missili, se non lo avessero fatto Washington e alleati. Dunque, la dichiarazione russa non fa altro che dar voce al fatto che, «nonostante i numerosi avvertimenti della Russia», USA e loro satelliti stanno apertamente schierando, in Europa e nella regione Asia-Pacifico, tali missili e armi con caratteristiche simili, procedendo a test in Danimarca, schierando lanciatori “Aegis Ashore” in Romania e Polonia, dispiegando nelle Filippine sistemi “Typhon” (in grado di lanciare “Tomahawk” e missili “SM-6”) con la previsione di schierarli anche in Germania e Europa orientale dal 2026.
Come scrive l'Associated Press, il principale pericolo di tali armi è la possibilità di utilizzarle con testate nucleari, disponendo di un «tempo estremamente breve per prendere una decisione su un attacco nucleare di rappresaglia o sulla sua cancellazione». Ma soprattutto, osserva Strel'nikov, pare che, al momento, a Washington e alla stessa Casa Bianca, l'agenda sia dettata dai "falchi", che privano Donald Trump di opzioni di manovra per la prosecuzione di un dialogo pacifico.
Ora, in termini di ipotetica risposta ai “Typhon” a media gittata e agli ipersonici a lunga gittata “Dark Eagle”, la Russia dispone di complessi tattici “Iskander-M” e balistici a medio raggio “Orešnik”, già in produzione e in dotazione all'esercito. Ma sono in ogni caso evidenti le intenzioni del cosiddetto Occidente collettivo di andare fino in fondo e infliggere alla Russia una sconfitta strategica, anche attraverso un attacco preventivo.
C'è però da osservare che, come rileva il think tank “Bruegel”, la base militare-industriale USA non è preparata a un conflitto ad alta intensità contro altre grandi potenze: in un ipotetico «scenario di escalation su Taiwan, gli USA esaurirebbero materiale bellico chiave in meno di una settimana» e la Heritage Foundation scrive che gli USA non hanno la «capacità di produrre nemmeno una frazione di ciò di cui l'esercito ucraino ha bisogno per respingere la Russia». Purtroppo, tali constatazioni non eliminano la volontà guerrafondaia delle maggiori capitali europee e dei militaristi yankee: nemmeno se, come afferma la statunitense “Arms Control Association”, il mondo è «sopravvissuto a malapena all'ultima corsa agli armamenti nucleari» e, dunque, la leadership USA «non dovrebbe ripetere gli stessi errori contando di ottenere un vantaggio insormontabile sui rivali nucleari».
Niente da fare: lo spirito bellicista penetrato da tempo nelle cancellerie occidentali è sempre più aperto e pericoloso. Tanto che, osserva Viktorija Nikiforova, ancora su RIA Novosti, in questi giorni torna alla mente il detto per cui "nessuno voleva la guerra, la guerra era inevitabile". Pare infatti che, a proposito di piani occidentali di attacco alla Russia, l'intelligence russa abbia scoperto un disegno di provocazione britannica, in grado di portare il mondo all'apocalisse nucleare. La provocazione consisterebbe in un attacco, portato da reparti ucraini, a una nave che trasporta petrolio russo. Potrebbero incendiarla nel porto di un paese amico, o farla saltare in uno stretto passaggio nell'Oceano Pacifico per bloccare il transito di altre navi. Il resto è facile da prevedere: sversamento di petrolio, urla “ambientaliste”, media occidentali che gridano ai russi che “inquinano tutto con il loro petrolio e interrompono le catene di approvvigionamento". Immediato ordine alle marine NATO di fermare tutte le petroliere e controllarle nel caso emanino “spirito” russo o mandino “odore di Russia”. I media abbaiano all'unisono contro il nostro Paese, ironizza Nikiforova, che sta rovinando ambiente e commercio, e volano a centinaia le petizioni perché a tutti i paesi, sotto minaccia di super-sanzioni, venga vietato l'acquisto di petrolio russo. Anche se, c'è da dire, proprio in questi giorni India e Cina dimostrino come non sia tanto facile porle sotto ricatto.
L'obiettivo immediato della provocazione è puramente economico: interrompere l'esportazione globale di idrocarburi russi. Ma se "lo scherzo dovesse sfuggire di mano", dice Nikiforova, gli inglesi realizzerebbero il loro sogno recondito: trascinare gli USA in uno scontro militare con la Russia. Proprio ciò di cui ora hanno bisogno gli inglesi e lo stanno alimentando con il loro caratteristico cinismo: solo gli inglesi possono gridare per anni alla sacra ecologia, e poi andare a inquinare le acque del mondo con il petrolio di qualcun altro; accusare i russi di ogni peccato e pianificare loro stessi un sanguinoso attacco terroristico; glorificare i “liberi” ucraini e poi usarli come kamikaze, pagati per uccidere in giro per il mondo.
Del resto, i precedenti non mancano: le esplosioni al Nord Stream e su petroliere con petrolio russo. E ogni volta si è scoperto che era “highly likely” che fossero stati i russi stessi a farsi saltare in aria da soli: tutto, per trascinare Washington in uno scontro militare con Mosca. Londra sa che l'economia britannica è in crisi e, soprattutto, se Trump abbandona l'Ucraina e passa alla Cina, sarà la completa rovina per la Gran Bretagna; dunque, è proprio ora il momento per fare di tutto per trasformare il conflitto ucraino in un conflitto globale.
Le provocazioni seguono sempre più o meno lo stesso scenario: grande attacco terroristico, con vittime tra la propria gente; immediata designazione del colpevole; campagna mediatica e militarizzazione della società: il paese sotto accusa viene attaccato, occupato e sottoposto a genocidio spietato. È successo con Vietnam, Libia, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan. Hanno cercato più volte di rendere la Russia vittima di provocazioni: il Boeing malese, il Nord Stream, ma ogni volta gli anglosassoni hanno cercato di non oltrepassare il limite oltre il quale uno scontro militare diventa reale.
Pare che ora Londra abbia perso la paura. Gli americani dovrebbero tener d'occhio più attentamente i loro alleati, perché non li trascinino in un'avventura catastrofica. L'unica cosa che vuole oggi Londra, conclude Nikiforova, è mettere «Russia, Europa e USA l'una contro l'altra e cercare di resistere sulla loro isola mentre quelle si distruggono a vicenda. A Washington sono abituati a vedere nell'Inghilterra il loro obbediente cagnolino; ma sembra che ora il cane sia così affamato da voler mordere il padrone».
Come che sia, gli appetiti del complesso militare-industriale mondiale non fanno presagire nulla di buono, almeno fintanto che un massiccia mobilitazione delle masse, diretta da una forte organizzazione, al momento carente, non intervenga a fermare i rapaci guerrafondai delle cancellerie UE-NATO-USA.
FONTI:
https://ria.ru/20250806/ukraina-2033571637.html
https://ria.ru/20250806/voyna-2033551014.html