Se Mario Monti cita la "paura della paura"
di Paolo Desogus*
È comparso oggi sul Corriere della sera un editoriale a firma di Mario Monti sui dazi americani imposti all’Ue. Si tratta di un testo fondamentalmente retorico, non per nulla intitolato “L’onore perduto e il riscatto”. Sono infatti molte le citazioni e i riferimenti ai grandi statisti, Churchill, Roosevelt, Monnet…
L’attenzione riguarda però soprattutto l’umiliazione subita da Ursula von der Leyen (e con lei dagli europei) dopo le trattative svoltesi nella tenuta privata di Donald Trump, adibita allo svago e al golf.
Monti in coda all’articolo formula anche delle proposte politiche che a suo avviso l’Ue dovrebbe seguire per sottrarsi alla morsa trumpiana. Si tratta tuttavia di tecnicismi che, per quanto ben argomentati, tradiscono una completa e totale incomprensione del momento storico e del senso politico della trattativa.
L’Unione Europe che difende Mario Monti è ancora una volta quella della governance, cioè dell’istituzione fondata sull’ideologia neoliberale, ostile non solo ad altri indirizzi di pensiero (oggi per i trattati persino il pensiero socialdemocratico è bandito), ma alla pratica politica democratica basata sulla sintesi di interessi mediati dalle istituzioni elettive, come il parlamento.
È curioso che a un certo punto Monti riprenda una vecchio testo in cui Roosevelt esorta ad avere “paura della paura” e dunque a ritrovare il coraggio per il riscatto. È proprio quello che Monti non fa. A dispetto della tanta retorica, l’ex presidente del Consiglio si nasconde, non vuole vedere. Non riconosce il fallimento del progetto europeo. Ciarla di onore proprio nel momento in cui l’Europa si rende complice del più grave crimine del secolo, quello israeliano a Gaza. E si rifugia nelle solite formulette della governance, oramai ridotte a paravento delle lobby, dei gruppi di pressione e della grande finanza.
Mario Monti non ha il coraggio né evidentemente la struttura (e la statura) politica per riconoscere che oggi l’Ue è il comitato d’affari di gruppi economici internazionali, legati a doppio filo con gli Stati Uniti, ostili a qualsiasi pratica democratica, a qualsiasi principio di mediazione, così come alla stessa pratica politica, di fatto oggi annichilita anche da misure autoritarie, come accaduto un anno fa in Francia o come accaduto proprio in occasione della nascita del suo governo nel 2011.
Ma la radicale incompetenza di Monti si misura anche da un fatto che deriva dallo stessa incapacità di valutare l’azione trumpiana. Giusta o sbagliata - non è questo il punto - quella di Trump è un’azione che non nasconde la propria natura. Non finge di essere autonoma da precisi interessi sociali ed economici. Non nasconde la dialettica tra i rapporti di forza. Anzi, fonda se stessa proprio sull’esibizione della forza.
?Trump mostra in altre parole di essere un animale politico con il quale non si bluffa, non ci si nasconde nei tecnicismi o nella grande retorica dell’Occidente unito e solidale. Trump esprime interessi concreti e selezionati e li difende senza perdersi in chiacchiere. L’Ue invece si muove su tutta una serie di finzioni economiche, sociali e valoriali sganciate dalla realtà storica, dai rapporti di forza, e dai gruppi sociali.
Credo che sia giusto opporsi a Trump. Occorre farlo però non in nome della governance, ma della democrazia. L’Ue di Monti e della Von der Leyen ne è però molto lontana. È ancora l’espressione della pavidità, dell’ottusità, della tecnica incapace di farsi politica reale. È in altre parole l’esito di un fallimento colossale. Non c’è però né onore né riscatto che non passi da questa prima ed elementare constatazione storico-politica.
*Post Facebook del 4 agosto 2025