Ci sarà l'attacco in forze ucraino al Donbass?

Ci sarà l'attacco in forze ucraino al Donbass?

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 Il paragone che più ricorre in questi giorni, allorché gli osservatori esaminano le ipotesi di attacco in forze ucraino alle Repubbliche popolari del Donbass e della eventuale risposta russa, è quello del “08.08.'08”, quando Mikhail Saakašvili attaccò l'Ossetia meridionale, ma la sua avventura fu rintuzzata in cinque giorni dalla 58° armata russa. Tredici anni fa, l'ex presidente georgiano e poi profugo ucraino, aveva ricevuto le assicurazioni sull'appoggio yankee, che poi non arrivò; oggi, il presidente ucraino Vladimir Zelenskij, si dice forte del sostegno di Joe Biden, per “la riconquista” del Donbass.

Anche oggi, la maggior parte degli osservatori, si dicono scettici su un effettivo intervento diretto USA a fianco delle forze ucraine; soprattutto dopo le dichiarazioni di Vladimir Putin secondo cui «in qualunque caso, non abbandoneremo il Donbass». Un concetto ribadito dal portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, che ha detto che «tutti i Paesi civili del mondo e gli Stati europei impediranno in ogni modo che si ripeta una Srebrenitsa nel sudest dell'Ucraina», ai danni della popolazione russofona e di quei 400-500.000 abitanti di L-DNR che già sono cittadini russi.

E, sottolinea qualche osservatore militare russo, se la Russia sarà costretta a intervenire nel caso si concretizzi l'aggressione ucraina, questa volta non sarà come nel 2014, con gli anonimi “ikhtamnety” (ikh tam net: loro là non ci sono; così Mosca respingeva le accuse sulla presenza di soldati russi): questa volta lo farà apertamente. È certo a scopo dimostrativo che il Ministero della difesa russo ha mobilitato migliaia di soldati proprio nelle regioni di Rostov, Voronež, Brjansk, e non si tratta di esercitazioni “programmate”: i problemi che sembra siano sorti con la carenza di vagoni merci che portavano mezzi militari indica che il dislocamento è stato abbastanza repentino, così come non erano in programma lo scorso marzo le manovre di truppe aviotrasportate in Crimea.

Il Segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolaj Patrušev ha sì detto che Mosca non ha approntato alcun piano specifico, ma ha anche evidenziato che, in caso di attacco ucraino al Donbass, verranno adottate «misure concrete».

Avvertimenti a Kiev? Probabile.

Così come il silenzio di Vladimir Putin di fronte alla richiesta di colloqui avanzata da Vladimir Zelenskij; Biden ci ha parlato, con Zelenskij; Johnson anche e anche Stoltenberg; invece la Merkel per ora tace e «anche Putin tace, mentre appresta le cucine da campo», scrive Vasilij Volga e precisa che sarebbe illogico il contrario, sedersi per l'ennesima volta a un «qualsiasi tavolo delle trattative, finché le truppe NATO circondano la Russia e le sanzioni la eliminano dal mercato europeo».

Avvertimenti sono anche le parole dell'incaricato presidenziale per il Donbass, Dmitrij Kozak, fanno capire a Kiev che Mosca lascia la porta aperta per ripensamenti e che il Cremlino, allo stadio attuale, giudica che sia Kiev e non Washington a spingere per la guerra aperta. Senza mezze parole, Kozak ha detto che Mosca risponderebbe in forze a un eventuale attacco, e «l'inizio della guerra da parte ucraina significherebbe anche l'inizio della sua fine»; ma che la Russia non interverrebbe in caso di avanzate ucraine localizzate e la situazione rimarrebbe congelata come ora, senza né vera pace, né guerra su larga scala. Qualche media ipotizza colpi di avvertimento (artiglierie o razzi) dal territorio russo, per impedire l'attacco ucraino, senza intervento diretto di truppe russe.

Al momento, dunque: Mosca potrebbe intervenire in difesa delle Repubbliche del Donbass; Washington potrebbe non garantire l'intervento promesso (sicuri del non intervento, né americano, né NATO, si dicono, da diverse angolazioni, i politologi Andrej Manojlo e Jakov Kedmi) a Kiev quando ha dato via libera alla preparazione dell'avventura; ma nel Donbass continua lo stillicidio quotidiano, coi martellamenti ucraini soprattutto ai danni della popolazione civile.

Come si è arrivati alla fase attuale?

Dallo scorso autunno, si erano infittite le voci che l'elezione di Joe-Burisma-Biden avrebbe ringalluzzito le mire ucraine; la sua proclamazione ufficiale, lo scorso gennaio, ha rappresentato per Kiev il disco verde. Il leader della DNR, Denis Pušilin, in occasione del settimo anniversario della proclamazione della Repubblica, lo scorso 7 aprile, tra le altre cose ha ricordato come i tiri delle artiglierie ucraine siano raddoppiati nel primo trimestre del 2012, rispetto all'ultimo trimestre del 2020, in parallelo allo scadimento del lavoro del OSCE, la cui parzialità a favore di Kiev è sempre più aperta; così come, rispetto al 2018 (la provocazione di tre vascelli ucraini allo stretto di Kerc) sono aumentati del 40% i voli di aerei spia USA-NATO sull'intera ragione meridionale ex sovietica e del 60% quelli sulla Crimea. «Siamo abituati al fatto» ha detto Pušilin, «che appena arrivano nuovi ospiti europei o americani in escursione al fronte, ci siano dimostrazioni di forza ucraine. Ieri, nel territorio del Donbass temporaneamente sotto controllo ucraino, erano presenti militari addetti all'Ambasciata USA ed ecco che alle 16.40 il villaggio di Vasilevka è stato nuovamente bombardato». L'8 aprile, è stato poi Zelenskij ad andare in visita al fronte, accolto da qualche bandiera nazista.

In effetti, tra tiri dei cecchini sui civili, incursioni di droni assassini e martellamenti delle aree urbane, non da ora Kiev terrorizza la popolazione civile di D-LNR, tentando così di spingerla contro le leadership delle Repubbliche. Con la nuova escalation contro il Donbass, la junta golpista cerca così anche di ovviare ai gravi problemi interni, con un PIL che dai 183 miliardi di dollari del 2013, si era dimezzato nel 2015, per risalire a meno di 150 mld nel 2020: nonostante i circa 18 miliardi di euro concessi da Paesi UE dal 2014 a oggi. Sembra così che poco meno di 1/3 della popolazione (non c'è chiarezza: l'Ufficio centrale di statistica parla di una popolazione totale di 42 milioni, mentre il Governo di 37 milioni) sia emigrata, mentre strana.ua parla di 19 milioni che vivrebbero al di sotto della soglia di povertà, mentre il FMI proibisce di adottare tariffe sociali su gas, luce, ecc. e il bilancio per la sanità si è ridotto dai 7,6 mld di $ del 2013 ai 4 del 2020. E mentre sul piano politico si accentua la repressione contro politici, canali TV e reti social critici nei confronti della junta, le ricchezze del Paese – quelle rimaste: non si fermano le rapine del capitale interno ed estero – prendono la strada dell'estero: dal legname, alle preziose terre nere, alle ricchezze naturali.

Dunque, Kiev ha bisogno del conflitto.

Ma, naturalmente, gli attori stranieri hanno la parte del leone nella nuova escalation bellica ucraina. USA e NATO, UE, Germania e Francia, Turchia: ognuno ha i propri interessi nella questione e se (forse) nessuno di essi è interessato a un conflitto in grande stile (e tantomeno a esserci coinvolto direttamente), tutti però hanno, a loro modo, un forte interesse a che la tensione rimanga alta. Dal Baltico al mar Nero, i vari interessi stranieri sembrano trovare un punto comune nella prosecuzione, ora più rovente, ora più “congelata”, della guerra civile che da sette anni vede la popolazione russofona del Donbass resistere al terrorismo nazionalista e neonazista che, dalla primavera del 2014, ha provocato quindicimila morti.

A nord, il raddoppio del gasdotto “North stream” toglie il sonno (e i miliardi di $) alle imprese energetiche USA, così che una bella provocazione in Donbass, che dovesse costringere Mosca a intervenire, servirebbe egregiamente a bloccare il progetto per un po' di tempo, ora che mancano ormai da posare poche decine di chilometri di tubi, aggravando le sanzioni contro Mosca per la sua “aggressione” all'Ucraina. Al tempo stesso, Washington potrebbe cercare così anche di recuperare posizioni in Europa, mobilitandola contro la Russia.

A sud, oltre la crescente presenza di naviglio USA nel mar Nero, anche la Turchia cerca di far sentire il proprio peso, avendo qualche interesse comune con Mosca su quel bacino (le recenti polemiche a Ankara su un'ipotetica revisione della Convenzione di Montreux sugli stretti indicano che i turchi cercano di barcamenarsi tra Washington e Mosca) e aspirando a penetrare ulteriormente nello spazio meridionale post-sovietico. D'altra parte, fino a poco tempo fa, nonostante i mancati introiti di transito causati a Kiev dal “Turkish stream”, la junta ucraina e i battaglioni neonazisti hanno sempre dato man forte alle incursioni dei Lupi grigi turchi a fianco del medžlis dei tatari di Crimea, dopo la riunione di questa alla Russia, e proprio per oggi è in programma l'ennesimo incontro di Recep Erdo?an con un presidente ucraino: il decimo dall'ottobre 2018.

Difficile dire se l'incontro Zelenskij-Erdogan preluda a un appoggio turco per l'avventura ucraina. Ora, Kiev ha detto spesso di essere in grado di “risolvere in poche ore” la questione del Donbass, prima che Mosca abbia il tempo di intervenire; ma negli ultimi giorni ha parlato sempre più spesso di decine di “divisioni russe ai confini” che minaccerebbero l'Ucraina: quelle stesse truppe che, secondo la versione tedesca del colloquio telefonico di due giorni fa tra Merkel e Putin, la cancelliera avrebbe chiesto a Mosca di ritirare «per raggiungere una de-escalation della situazione», mentre la versione russa del colloquio dice solamente che i due leader «hanno espresso preoccupazione per l'escalation della tensione nel sudest dell'Ucraina».

Ma anche tutte le roboanti dichiarazioni di Washington e Londra sulle “truppe russe ai confini ucraini”, sono state fatte più per massimizzare la pressione su Mosca, tant'è che il Dipartimento di Stato ha annunciato di essere disposto al dialogo con la Russia sull'Ucraina: qualcuno azzarda che Washington voglia così sottrarsi alle promesse di sostegno militare a Kiev. Vari esperti militari sostengono che anche gli armamenti forniti dagli USA a Kiev siano sì molto costosi, ma più che altro simbolici (razzi o lanciarazzi Javelin, ad esempio) dal momento che le milizie utilizzano scarsamente i corazzati e soprattutto non dispongono di aviazione da abbattere con quelle armi.

Ciò non toglie che ci si possa aspettare qualsiasi azione sconsiderata da parte dei neonazisti ucraini: il rappresentante ucraino al Gruppo di contatto sul Donbass, Aleksej Arestovic, ha dichiarato che le manovre NATO “Defender Europe” sono condotte per prepararsi a possibili scontri militari con la Russia.

In ogni caso, vari deputati dell'opposizione ucraina si dicono convinti che la NATO non entrerà in guerra in Donbass solo per far piacere a Kiev. Il blog AntiSpiegel.ru scrive che gli USA non hanno alcun interesse a che abbia termine il conflitto in Donbass, come avverrebbe in caso di attacco ucraino e risposta russa, dal momento che finché dura l'attuale stillicidio, si può sempre operare con la propaganda anti-russa. Venerdì, anche la Kiev ufficiale  ha cercato di recuperare un po' d'immagine: il comandante in capo Ruslan Khomchak ha dichiarato che «le notizie diffuse dallo stato-aggressore russo su una presunta “preparazione dell'Ucraina a un attacco al Donbass non corrispondono alla realtà e rivestono il carattere di una mirata campagna di disinformazione».

Il sito Ukraina.ru riporta le opinione contrapposte di esperti, sia russi che ucraini, sulle ragioni per cui non ci sarà alcun attacco ucraino e per cui invece questo avverrà. I “pacifisti” sostengono che a Kiev non sono stupidi e sanno bene che appena cercheranno di occupare Donetsk e Lugansk, l'esercito russo passerà il confine con l'Ucraina, L-DNR acquisiranno nuovi territori e sarà anche la fine per il regime ucraino; inoltre, ciò significherebbe la fine delle sanzioni UE anti-russe, dato che sarebbe evidente l'attacco ucraino; Germania e Francia non vogliono una guerra in Europa e senza il benestare di Berlino e Parigi, Kiev non inizierà una guerra.

Coloro che invece giudicano del tutto possibile l'attacco ucraino, sostengono che Kiev non abbia bisogno del beneplacito franco-tedesco, ma sia sufficiente quello americano, che sta facendo di tutto per fermare il completamento del “North stream”; inoltre, non c'è bisogno di alcuna seria offensiva ucraina, ma solo di occupare almeno qualche piccola area a Donetsk e Gorlovka e provocare così l'intervento russo, col che Mosca appaia aggressore agli occhi europei e i tedeschi siano costretti, se non a rompere l'accordo per il gasdotto, almeno a congelarlo. Ma, in definitiva, l'opinione generale, al momento, è che non si siano segnali che gli USA si stiano preparando a trasferire unità militari: se ciò fosse avvenuto, difficilmente sarebbe stato possibile nasconderlo agli occhi dell'intelligence russa. In secondo luogo, Biden non ha fatto promesse dirette. L'affermazione che gli “Stati Uniti sosterranno” non significa nulla: senza gli USA l'Ucraina non sarà in grado di affrontare una guerra aperta, non ha la forza sufficiente. E, a dirla tutta, l'unica cosa detta al telefono da Biden a Zelenskij è stata che «Gli Stati Uniti non permetteranno a nessuno di avviare impunemente nuove azioni aggressive nella nostra regione. Questo è il messaggio principale della conversazione tra i due leader», hanno dichiarato all'ufficio di presidenza ucraino.

In compenso, un contentino a Kiev è arrivato: il sito ufficiale della NATO, sinora disponibile in inglese, francese e russo, si è arricchito di una nuova lingua, che non è il tedesco, o l'italiano, o il polacco, bensì l'ucraino. La legge sull'ucraino quale lingua nazionale, se non ha successo a Donetsk o Lugansk, “trionfa” almeno a Bruxelles.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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