Crepet, Galimberti e la scuola: è veramente "colpa" dei genitori?

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Crepet, Galimberti e la scuola: è veramente "colpa" dei genitori?


In una intervista apparsa martedì scorso sul Corriere, Paolo Crepet, psicologo e star della Televisione, dice che siamo sazi, e allora, visto che siamo sazi, visto che abbiamo provato tutto e tutto provato, allora… allora passiamo l’asticella della sazietà e lo spreco conseguente ci porta all’aggressività. I più sazi – gli abbuffini - sono i genitori.

Non voglio sembrare offensivo, dice, ma è evidente che la generazione dei genitori dei bambini oggi a scuola è la più immatura. Di più. È infantile, anzi, infantilizzata dal telefonino.

Il benessere è più diffuso di 50 anni fa (?), dice, eppure ciò non ha portato alla sensibilità, al contrario: chi è ricco è povero. Il miglioramento materiale ha portato a un peggioramento spirituale. È scomparso anche il coraggio, la forza interiore, la spinta a combattere per avvicinarsi all’altro – all’Altro!

Le parole di Crepet fanno eco a quelle di Umberto Galimberti, filosofo, psicoanalista e docente all’Università Ca’ Foscari, intervistato, sempre dal Corriere, un paio di mesi fa.

Se il bambino chiede il telefono, dice Galimberti, allora bisogna darglielo. Ma ciò dimostra (sic!) che la tecnica è uscita dal suo ambito e si è fatta patologia. Ed è diventata patologica perché… perché se l'altro non risponde io vado in ansia, regredisco allo stato infantile. Può scattare la paranoia e il controllo («perché l’altro non risponde?»), e quando in amore interviene il controllo, l’amore è finito. Per quanto riguarda la scuola, dice, i genitori andrebbero espulsi dalla scuola. Parlano male degli insegnanti, fanno i sindacalisti dei figli, determinando un enorme degrado.

I sermoni qui proposti, serviti con una retorica para-scientifica, ineluttabile, ai limiti dalla computazione elettronica (se… allora), e dunque della brutalità meccanica, riesumano tutti i valori di una morale tradizionale, retrograda, idealista, come se nessuno ne avesse mai mostrato i limiti conformisti e repressivi – patriarcali, violenti. Ciò che è diventato frase fatta è preso come tale: Il telefonino rincoglionisce; I primi saranno gli ultimi; Il materiale è basso e peccaminoso, lo spirituale è alto e puro; Il consumo è male, la frugalità è bene; L’altro va rispettano, anche quando l'altro è il tuo carnefice (porgere l’altra guancia); io non valgo niente, la mia essenza sta in altro, in alto, in Dio, eccetera; la ricchezza rende schiavi; desiderare è peccato; difendere i propri interessi è bramosia, egoismo, eccetera.

La cosa odiosa - parlo da genitore – è la visione astratta della realtà, la concezione tecnica della verità. Nonostante gli appelli all’altro, e dunque la chiamata in causa del principio filosofico «omnis determinatio est negatio», il genitore è inteso come un’isola, separato (astratto) dalla scuola, da tenere lontano, da sbattere fuori; il telefonino è un oggetto tecnico con una sua verità intrinseca (il male); la scuola (il bene) è un'istituzione che pende appesa alle circolari ministeriali.; l’alunno è la materia a cui dare forma.

Non ci si chiede dove va il genitore quando alle 7:30 della mattina lascia il figlio al pre-scuola e lo ritira alle 18:00 dal post-scuola; o quando lo sbatte nelle palestre delle scuole per due ore di sport-babysitteraggio collettivo low-cost svolto da doppio-lavoristi o da aspiranti lavoratori sottopagati e tristi.
È tutto collegato. Non bisogna tirare in ballo Hegel e la verità come processo. Basta fare un giro sulla metropolitana e vedere insegnanti e genitori culo contro culo, gli uni diretti a scuola per tenere i figli lasciati da genitori diretti al lavoro per produrre quei beni e servizi che traboccano dalla pancia, e traboccano non perché sono in abbondanza, ma perché sono sempre più di pessima qualità.

Il genitore deve rimanere in fabbrica, da solo, senza sindacato, mentre il professore deve essere lasciato libero di plasmare l’alunno. Ogni interferenza, ogni comunicazione (telefonino) è vista come il demonio.

Il fatto è che ciò che succede a scuola è collegato – comunica – con ciò che succede al lavoro. E non è vero – ci sono montagne di dati a dimostrarlo – che viviamo nella ricchezze. Siamo tutti più poveri - nonostante siamo sommersi da gadget elettroni. Gli insegnanti sono più poveri perché (per la ragione che) i lavoratori sono più poveri. Non è colpa dei genitori, non è colpa degli insegnanti, non è colpa degli alunni – non è una questione  di colpa e di moralismo. Si tratta di economia, di come gira l’economia, di come, presi in mezzo a un mondo che volge sempre più al peggio, ci lasciamo rinchiudere da personaggi come Crepet e Galimberti in ruoli assegnati, compartimentati, fissi, con barriere protette dal filo spinato di una stronza morale tradizionale. Crepet, esplicitamente, chiama alla resistenza partigiana per difendere il fortino – chiama alle armi, invita a rimanere separati, perché la separazione fa bene – è il sindacato a far male.

Leo Essen

Leo Essen

Ha studiato all’università di Bologna con Gianfranco Bonola e Manlio Iofrida. È autore di Come si ruba una tesi di laurea (K Inc, 1997) e Quattro racconti al dottor Cacciatutto (Emir, 2000). È tra i fondatori delle riviste Il Gigio e Da Panico. Scrive su Contropiano e L’Antidiplomatico.

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