Quanto spenderà in armi l'Italia dopo i diktat della NATO

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Quanto spenderà in armi l'Italia dopo i diktat della NATO

 

 di Domenico Moro

Il recente vertice annuale della Nato, tenutosi all’Aja, rappresenta un salto di qualità rispetto ai precedenti vertici, definendo una Europa e una Ue fortemente orientate alla guerra.

Nel documento finale di cinque punti, i più importanti sono il primo e il quinto. Nel quinto si definisce una questione che sta alla base di tutti gli altri punti, compreso il primo: l’individuazione della Russia non solo come “minaccia più significativa”, come era stata definita nel summit del 2023, ma “una minaccia a lungo termine”. Quindi, la Russia è la minaccia strategica cui si fa riferimento per giustificare l’aumento delle spese militari contenute nel primo punto. Si tratta di una definizione molto grave che implica la rottura definitiva con la Russia, prospettando un confronto militare con quel paese.

Nel primo punto, dunque, si definisce la quota di spese militari sul Pil a cui sono tenuti obbligatoriamente i partner della Nato e che passa dal 2% al 5%. Tale quota dovrà essere raggiunta in non più di dieci anni (entro il 2035) e si divide in un 3,5%, relativo alle spese per capacità militari “core” e un altro 1,5%, relativo alla resilienza e a investimenti per la difesa nazionale e per l’innovazione in campo militare. Alcuni commentatori hanno sottolineato che “solo” il 3,5% sarebbe la spesa effettivamente militare. In realtà, non è così, perché anche quell’1,5% è destinato a spese correlate con il militare e comunque si tratta di spese aggiuntive che prima non erano previste e che, soprattutto, vanno a pesare sul bilancio pubblico, a detrimento degli stanziamenti per la sanità, l’istruzione e il welfare in generale.

Infatti, il balzo delle spese militari è notevolissimo, dal momento che si tratta del raddoppio o della triplicazione della spesa militare in quasi tutti i paesi dell’Europa e della Ue, dove fino ad ora la spesa militare è stata compresa tra l’1% e il 2%. A guidare il riarmo in Europa è la Germania che già con il governo Scholz aveva aumentato le spese militari e che, col nuovo governo Merz, porterà la spesa militare da 95 miliardi attuali a 162 nel 2029, passando dal 2,4% al 3,5% con sei anni di anticipo. La Francia passerà dal 2% al 3,5% nel 2030 e la Gran Bretagna raggiungerà il 5% nel 2035, come l’Italia.

Per quanto riguarda la Ue e l’area euro c’è un’altra questione da chiarire. Mentre, fino ad ora, solo con la pandemia era stato autorizzato lo sforamento del vincolo del 3% al deficit statale previsto dai trattati europei, oggi si è deciso, con una clausola di salvaguardia, di permettere uno sforamento corrispondente alla spesa aggiuntiva per il militare. Il governo italiano si sta muovendo, inoltre, per ottenere la “reciprocità”. Cosa significa? Significa che se un Paese sull’orlo della procedura di infrazione per deficit eccessivo può scansarla attivando la clausola di salvaguardia, la stessa esclusione dai conti per le spese della difesa deve valere anche per gli stati che stanno per scendere sotto il 3% di deficit (l’obiettivo italiano per il 2026) e decidono di aumentare il disavanzo per il riarmo.

La spesa militare italiana di solito include solo quello che è compreso nel bilancio del Ministero della Difesa, che nel 2025 è di 24 miliardi, di cui 14,3 per il personale e 9,7 per armamenti. In realtà, una parte della spesa per gli armamenti è da molto tempo contabilizzata nel bilancio del Ministero delle Imprese (l’ex Ministero dello Sviluppo Economico) e ammonta a 3,2 miliardi. Inoltre, vanno aggiunte le spese per le missioni militari all’estero, che fanno capo al Ministero dell’Economia e ammontano a 1,48 miliardi e spese varie come quelle per il servizio segreto estero (Aise), che sono pari a 32 milioni.  Il totale delle spese militari italiane è, quindi, di 32 miliardi, pari all’1,64% del Pil previsto nel 2025, ben al di sotto del 2% che Meloni aveva dichiarato di aver già raggiunto. Quindi, per arrivare al 5% andrebbe speso più del triplo di quanto si spende fino ad ora e cioè quasi 100 miliardi. Da dove verranno presi i circa 70 miliardi della differenza, anche considerando che c’è il problema dello sforamento del deficit al 3%? Non potendo fare disavanzo aggiuntivo, i soldi verranno raccolti in due modi: attraverso le imposte e i tagli alle altre voci di bilancio pubblico. A essere penalizzate saranno la sanità pubblica e il welfare che già sono in difficoltà con i finanziamenti attuali. Inoltre, considerando che sono decenni che le imposte assumono un carattere regressivo e che quelle sul capitale e i profitti sono state progressivamente ridotte, il peso dell’aggravio di imposte colpirà i lavoratori, i consumatori e i redditi bassi.  

Se l’aumento della spesa militare si scaricherà sulle classi subalterne, chi ne trarrà giovamento? A trarne giovamento saranno le imprese, in particolare quelle della difesa e dei settori ad essa collegati attraverso le tecnologie dual use (ad uso militare e civile). La spesa militare è considerata dal capitale uno stimolo economico migliore della spesa per il welfare civile, perché non va a fare concorrenza alle imprese private (ad esempio alla sanità privata) e finisce direttamente nelle tasche delle imprese. Si tratta, inoltre, di un “moltiplicatore” molto utile in una fase, come è quella in corso, in cui le economie della Ue e in particolare quelle della parte occidentale sono in grave difficoltà. Pensiamo, ad esempio, alla Germania che viene da due anni di recessione, ha davanti a sé la prospettiva di una lunga stagnazione e, non a caso, ha varato il piano di riarmo più massiccio d’Europa.

Lo stesso Draghi ha sottolineato la necessità di un forte ampliamento del budget europeo della difesa, evidenziando anche la necessità di rafforzare l’industria europea della difesa. A questo proposito c’è un problema, però. Secondo dati del Sipri, la Ue importa da paesi extra-Ue ben il 78% delle sue importazioni di armi. Di questa quota il 55% viene dagli Usa mentre il 23% restante viene da Israele, Turchia, Corea del Sud, ecc. Del resto, gli Usa hanno un apparato industriale militare per dimensioni senza rivali: le prime cinque imprese militari del mondo sono statunitensi e tra le prime dieci di europea c’è solo la britannica BAE Systems, mentre Airbus e Leonardo, le prime imprese della Ue in classifica, sono rispettivamente al dodicesimo e al tredicesimo posto. Di conseguenza, una parte importante delle centinaia di miliardi che i paesi Ue spenderanno finiranno nelle tasche di imprese statunitensi. Non c’è che dire, si tratta di un ottimo risultato per Trump, che è riuscito a ottenere dall’Europa l’aumento delle spese militari al 5% del Pil come chiedeva da tempo.

Concludendo, la Ue e la Nato hanno creato un nemico, la Russia, e attorno a questa idea si stanno riarmando come non accadeva da ottanta anni. A dispetto della Meloni, che recentemente ha citato il vecchio detto latino “si vis pacem, para bellum”, la corsa al riarmo prepara sempre la guerra e non la pace, come è accaduto anche a ridosso della Prima e della Seconda guerra mondiale.

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