Vincolo esterno: la condizione necessaria ma non sufficiente
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di Gilberto Trombetta
Il recupero della sovranità, quindi l’uscita da Unione Europea ed Eurozona in primis, è, come è sempre stato detto da queste parti, una condizione necessaria ma non sufficiente.
Necessaria perché tutto quello che l’Italia dovrebbe fare per tornare a essere un Paese in cui valga davvero la pena vivere – invertendo quindi quel progressivo e decennale processo di terzomondizzazione (deindustrializzazione, precariato, deflazione salariale, disuguaglianze, distruzione dello stato sociale) – non è semplicemente possibile all’interno della cornice unionista.
Sarebbe solo parzialmente possibile infrangendo quotidianamente tutti i vincoli europei (sul deficit/PIL, sugli aiuti di Stato, sulle nazionalizzazioni, sulla libera circolazione dei capitali, ecc.).
Come d’altronde hanno fatto, da sempre, moltissimi Paesi europei. Germania e Francia in primis, ma non solo.
Va però detto a onor del vero che a questi Paesi è stato consentito di violare costantemente le regole europee, mentre all’Italia tali regole sono state sempre applicate rigidamente.
Facciamo un esempio.
L'Italia tra il 1992 e il 2024 ha registrato 28 anni di avanzi primari sottraendo in tutto alla propria economia il 36% del PIL. Negli stessi anni Francia e Spagna sono quasi sempre state in disavanzo aggiungendo alla propria economia rispettivamente il 65% del PIL e il 59%¹.

Tanto per capirci, tra il 1992 e il 2024 l'Italia ha sottratto 835,17 miliardi di euro alla propria economia, Francia e Spagna ne hanno invece rispettivamente aggiunti 1.458,54 miliardi e 668,33 miliardi².

Già questo spiega l’andamento migliore dell’economia di quei due Paesi rispetto all’Italia.
Nonostante queste disparità di trattamento, vale comunque la pena ricordare per quelli che «se va male solo l'Italia, il problema non sono UE ed euro!1!» che UE ed Eurozona hanno il tasso di crescita più basso tra tutti i Paesi sviluppati (per non parlare delle economie in via di sviluppo): rispettivamente dell’1,6% e dell’1,3% medio annuo dal 2000 a oggi³.
Inoltre, molti Paesi europei oltre all’Italia hanno per esempio visto crollare la loro produzione industriale. Per restare a Francia e Spagna, quella francese è crollata del 10% dal 2000 a oggi, quella spagnola del 6%?.
Dicevamo che le regole europee sono uguali per tutti, ma per alcuni sono più uguali che per altri. È oggettivo (ricordate la lettera della BCE all’Italia del 5 agosto 2011 vero?).
Va però anche sottolineato che solo l’Italia ha da decenni (almeno dall’inizio dell’eversiva Seconda Repubblica) una classe politica completamente succube del vincolo esterno.
E questo spiega perché la rottura del vincolo esterno è una condizione necessaria ma non sufficiente.
Abbiamo una classe politica che da decenni combatte conto terzi una feroce lotta di classe contro la maggior parte della popolazione italiana.
Abbiamo cioè un problema enorme di vincolo interno (una classe dirigente di pavidi servi e di venduti) senza risolvere il quale non solo non è possibile rompere le catene del vincolo esterno, ma risulterebbe addirittura sostanzialmente ininfluente.
Per quelli che obiettano come non si possa farne parole d’ordine per un progetto politico perché si tratta di un tema che non “tira”, che non è attuale, vale la pena ricordare che l’Italia ha la popolazione più “euroscettica” tra i grandi Paesi europei.
Gli italiani che hanno ancora fiducia nell’Unione Europea sono meno della metà (49%). Più di 1 italiano su 3 ritiene che l’adesione alla UE abbia danneggiato l’Italia. Rispetto al “solo” euro i dati dei sondaggi sono ancora più forti?
FONTI: