Chi vince e chi perde la mortale partita europea

La guerra ucraina rischia di continuare a causa della disperazione di Zelensky, Starmer, Macron e Merz nonostante Trump scappi e Putin abbia vinto chiaramente

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Chi vince e chi perde la mortale partita europea

 

di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico


Ad oltre 125 giorni dall'entrata in carica dell'amministrazione Trump è giusto fare il punto sulla immane crisi geopolitica in corso soprattutto in Europa. Ciò anche in considerazione del fatto che fu lo stesso Tycoon newyorkese a dare per certa la fine del conflitto armato nel Vecchio Continente entro pochi giorni dal suo insediamento.

Al netto delle sbruffonate di Trump le cose parvero subito partire bene con uno spettacolare vertice diplomatico tra Russia e Stati Uniti tenutosi a Riyad, nel Regno Saudita, che riapriva il dialogo tra Russia e USA sostanzialmente interrottosi  dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Un vertice che, ricordo, vide la pubblica umiliazione dell'Unione Europea trattata dalle due superpotenze sostanzialmente alla stregua delle colonie africane dell'Ottocento: un vertice cruciale per il destino dell'Europa si teneva infatti fuori dal continente europeo e per giunta dove nessun rappresentante dei paesi del continente è stato invitato!

A questo vertice è seguito poi il vertice di Istanbul del 16 Maggio che doveva – almeno secondo molti analisti – avere un carattere quasi risolutivo del conflitto europeo anche perché la delegazione russa e quella ucraina si sarebbero sedute allo stesso tavolo, guardandosi in faccia e dialogando direttamente senza l'intermediazione di terze parti.

I risultati sono stati assolutamente modesti: troppo ampia la distanza tra le parti. L'unico accordo reale e concreto è stato lo scambio – nel formato 1000 per 1000 – di prigionieri di guerra tra i due belligeranti.  Per il resto è stato un nulla di fatto: niente cessate il fuoco, niente corridoio marittimo per il commercio del grano ucraino e, soprattutto, nessuna base programmatica condivisa sulla quale istituire una piattaforma per arrivare ad un trattato di pace.

Ad aver certamente favorito il nulla di fatto sono stati i grandi assenti europei che in tutti i modi hanno spinto Zelensky – l'uomo che non ha carte in mano secondo la definizione di Trump – ad una posizione intransigente. Tanto è vero che è di questi giorni il balletto delle dichiarazioni provenienti da Berlino sulla consegna dei missili da crociera Taurus e soprattutto sulla autorizzazione a colpire in profondità la Russia. Prima il cancelliere Merz conferma che i missili sono stati consegnati all'Ucraina e che vi è l'autorizzazione ad usarli per colpire il territorio russo in profondità, poi il vice cancelliere Klingbeil smentisce sia la consegna che l'autorizzazione all'uso in territorio russo e infine il ministro degli esteri Wadephul rettifica spiegando che forse i missili verranno dati e che per l'autorizzazione si vedrà. Un balletto che probabilmente solo in apparenza è il frutto di un equivoco,  in realtà - molto probabilmente - si è trattato di una commedia costruita a tavolino con la finalità di creare quella “ambiguità strategica” necessaria a non dare informazioni vitali ai russi. Una strategia che in questi tristi anni di guerra europea tante volte abbiamo visto fare ai politici europei quando si era di fronte ad un saltò di qualità nell'invio di armi a Kiev.

E quindi ora che cosa aspettarsi? Quali sono le prospettive del conflitto? Come tante volte abbiamo scritto sulle colonne de l'AntiDiplomatico il principio fondamentale è il seguente: più alta è la posta, più difficile è che uno dei giocatori si alzi dal tavolo di gioco. Come è facilmente dimostrabile la posta per la Russia, l'Ucraina e l'Europa è altissima (pur con gradazioni diverse). Invece il caso degli Stati Uniti di Trump è da verificare separatamente.

Per quanto riguarda l'Ucraina (o per meglio dire per l'élites che prese il potere con il golpe di Majdan) la continuazione della guerra è vitale: l'interruzione anche congelando il conflitto sulle attuali posizioni lascerebbe un paese ridotto in macerie e peraltro prostrato da un tributo di sangue enorme. Una situazione che non potrebbe non portare a conseguenze importanti, quali il possibile rovesciamento dell'attuale Junta neofascista filo occidentale o anche alla disgregazione del paese con altri oblast che si ribellerebbero ai dictat di Kiev per abbracciare posizioni filo russe; del resto le regioni a maggioranza russofona sotto l'attuale controllo di Kiev non mancano, basti pensare ad Odessa, a Kharkov e a Dnipropetrovsk.

Per quanto riguarda l'Europa la situazione è più variegata, alcuni paesi potrebbero avere il sostanziale interesse ad una rapida soluzione del conflitto e riprendere così - nel più breve tempo possibile - i rapporti economici con la stessa Mosca. In prima fila su questa posizione vi è certamente l'Italia che però non ha la forza diplomatica per imporsi. Infatti la Meloni e il suo governo provano a barcamenarsi tentando di limitare i danni. Al contrario Francia e Gran Bretagna hanno l'interesse vitale a che la guerra continui: le condizioni finanziarie dei due paesi sono pessime come si evince dalla posizione finanziaria netta dei due paesi che evidenzia come Londra e Parigi sono esposte al ricatto degli investitori esteri. Dunque è vitale per questi due paesi che la guerra continui, al fine di conseguire una vittoria strategica su Mosca, riprendersi il mercato russo “da padroni”, utilizzando i capitali russi congelati per ripagare “i danni di guerra” (sono sempre i vincitori a stabilire chi paga che cosa, ovviamente) e avere infine accesso alle risorse naturali russe sempre “da padroni” come ai tempi di Eltcin. Diversa è in apparenza la condizione della Germania, paese ricchissimo e grande finanziatore soprattutto della Francia, ma paese ormai con tutte le strade sbarrate: Berlino non ha più accesso alle materie prime russe a buon mercato che hanno fatto le sue fortune accrescendone la competitività negli ultimi venti anni, non ha più accesso manco al florido mercato di sbocco russo e inoltre sta perdendo l'accesso anche al fondamentale mercato di sbocco americano visto che Trump è risoluto a riequilibrare la bilancia commerciale con l'Europa anche a costo di imporre pesantissimi dazi. Insomma, l'unica prospettiva anche per Berlino sembra quella di muovere guerra alla Russia, per interposta Ucraina, nella speranza che la Russia capitoli stremata dalla guerra d'attrito e così da mettere le mani sul bottino delle ricchezze sconfinate russe.

Per quanto riguarda la Russia, al momento la guerra è vinta sia diplomaticamente visto che Mosca ha trovato nuovi e fedeli alleati (la Cina, l'Iran, il Venezuela, la Bielorussia, la Corea del Nord) e molti paesi disposti al dialogo (dagli arabi all'India fino ad arrivare a quelli del sud est asiatico). Dal punto di vista economico poi, per paradosso, la sua economia ha beneficiato delle sanzioni avviando nuove produzione manifatturiere e dunque accrescendo Pil e occupazione. Infine sul piano militare oltre ad aver vinto dal punto di vista territoriale la Russia ha notevolmente migliorato le capacità delle proprie forze armate riguadagnando lo status di potenza globale che aveva perso con la disintegrazione dell'Unione Sovietica. Molti a questo punto si chiederanno perché la Russia non è disposta alla pace se ha ottenuto una vittoria totale come quella che abbiamo appena delineato? Semplice, perché con l'avvio della operazione speciale sono stati posti  - e resi pubblici - degli obbiettivi ambiziosi che qualora non fossero pienamente raggiunti esporrebbero la leadership del paese a critiche e all'accusa di aver conseguito una “vittoria mutilata” per usare una espressione ben nota a noi italiani.

Ancora più complessa la situazione americana. Se gli USA hanno chiaramente perso la proxy war (via Ucraina) contro la Russia (quella che Trump chiama “guerra di Biden”) è altrettanto vero che hanno vinto la guerra occulta contro l'Europa. La Casa Bianca, come nelle sue intenzioni ha semplicemente degradato l'Europa a area del mondo di secondo ordine; questo perché la competitività economica europea è stata semplicemente disintegrata, oltre al fatto che l'Europa sarà costretta a gravarsi sia di un costosissimo riarmo e anche  della costosa ricostruzione dell'Ucraina o di ciò che ne rimarrà. Inoltre l'amministrazione Trump potrà vantare apertamente sia l'accordo sulle materie prime con Kiev come forma di risarcimento per le spese belliche sostenute, sia il riallaccio delle relazioni economiche e diplomatiche con la Russia.  Dunque in definitiva gli USA non ne escono male e appunto per questo si stanno sganciando dal teatro europeo per concentrarsi su quello dell'Indo-Pacifico ben più importante per l'egemonia mondiale.

Credo che questa analisi che compara i costi e i ricavi diplomatici ed economici (sia attuali che in prospettiva) chiariscano bene, il perché i tre maggiori paesi europei sostengano l'Ucraina nella intenzione di voler continuare la guerra. Allo stesso modo appare chiaro il perché gli USA siano intenzionati a sganciarsi dalla crisi europea e la Russia non intenda invece cedere.

E proprio la Russia è sempre di più l'attore fondamentale di questo conflitto. Solo la saggezza di Putin e Lavrov potrebbero evitare drammatiche escalation: non ci rimane altro che sperare che al Cremlino capiscano che "More is less" ovvero che in questa situazione l'essenzialità e la semplicità possono essere più efficaci e soddisfacenti rispetto alla complessità e all'eccesso. E dunque che è molto più conveniente una (apparente) mezza vittoria e mettersi in attesa sulla riva del fiume che passino i cadaveri dei nemici, piuttosto che continuare un conflitto rischiando di trascinare dentro sia gli ingordi e avidi tedeschi che gli stolti francesi e inglesi.

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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