Gaza ha vinto sul campo, ma questa vittoria va protetta

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Gaza ha vinto sul campo, ma questa vittoria va protetta



L'editoriale di Radio Gaza di Michelangelo Severgnini


ASCOLTA QUI LA 15° PUNTATA DI RADIO GAZA

Oltre 300 vittime a Gaza della rappresaglia israeliana dall’inizio del cessate il fuoco, quasi 2 mesi fa. La macabra crudezza dei numeri ci racconta come queste vittime siano vittime di rappresaglia, perché non paragonabili alle oltre 70.000 vittime di 2 anni di foga genocidiaria israeliana.

Sia quel che sia, non c’è altro tempo da perdere: le forze internazionali devono entrare a Gaza, spingere le IDF oltre l’intero confine della Striscia ed interrompere la strage quotidiana di queste settimane. Poi si parlerà di disarmo di Hamas, ammesso ci sia qualcosa da parlare.

Questo è il motivo di questa rappresaglia: scoraggiare l’ingresso di forze internazionali.

Quando entreranno a Gaza?

I primi mesi del 2026, si dice. Sì, ma quali forze? Quante? 15mila, 20mila soldati. Giusti giusti gli effettivi di Hamas, insomma. 

L’Egitto prova a prendere l’iniziativa mentre sono in corso i preparativi per l'istituzione del quartier generale della Forza di stabilizzazione di Gaza (GSF) nella città di Arish, nel Sinai settentrionale, a soli 40 chilometri dalla Striscia di Gaza.

Altra questione scottante. La polizia palestinese da addestrare per la sicurezza interna a Gaza.

Ufficiali egiziani e giordani addestreranno l'avanguardia di un contingente di 10.000 poliziotti palestinesi che sarà inviato nella Striscia. Una volta schierati sotto l'egida delle GSF, queste reclute, provenienti da diverse comunità di Gaza, in teoria prenderanno il controllo delle strade da Hamas e garantiranno una certa sicurezza e ordine dopo due anni di genocidio israeliano.

“L'Egitto è stato meticoloso”, ha dichiarato il generale Mukhtar al-Ghabari, ex alto comandante dell'esercito egiziano. “Insistendo su una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza dell'ONU per legittimare la forza e la sua struttura di comando, il Cairo ha avvolto l'intero progetto in un'armatura legale indistruttibile”.

Secondo al-Ghabari, l'ambizione dell'Egitto è quella di consegnare Gaza, intatta e pacificata, nelle mani dell'Autorità Palestinese, cosa che al Cairo non dispiacerebbe affatto, probabilmente.

Da parte sua, Hamas ha rifiutato di disarmarsi e rimane organizzato in gran parte della zona libera della Striscia, nonostante due anni di guerra genocida da parte di Israele. Il movimento ha criticato aspramente la risoluzione 2803, che ha legalizzato il GSF il 17 novembre, definendola “uno stratagemma per nascondere l'occupazione sotto le spoglie della tutela internazionale”. 

“Le armi della resistenza, ha sottolineato Hamas in una dichiarazione del 18 novembre, “sono legate al destino dell'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e oltre”.

Quindi, in poche parole, il disarmo è lungi a venire.

Allo stesso modo, le fazioni palestinesi, in una reprimenda unitaria, hanno insistito sul fatto che la GSF deve limitarsi alla protezione dei civili e alla facilitazione degli aiuti, senza poteri di polizia o di applicazione del disarmo, per non rischiare di diventare un “proxy dell’occupante”.

Ma torniamo alle forze internazionali. Pare che Israele stia facendo problemi rispetto al contingente turco. Mentre il Pakistan, attraverso il primo ministro Shehbaz Sharif, ha promesso di inviare militari, assicurando però che questi mai avranno come compito il disarmo di Hamas.

Insomma, Gaza non può aspettare.

Gaza ha vinto sul campo, ma questa vittoria va protetta. 

Se questo è il modo migliore non lo sappiamo. Ma se forze egiziane, turche, magari pakistane entrassero a Gaza, questo rappresenterebbe sicuramente una svolta epocale e una garanzia di sopravvivenza per i cittadini della Striscia.

Il resto si discute dopo.

Per esempio ne discuteremo questo sabato alle 18 in diretta sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico quando terremo una visione in rete del quinto episodio del film in progress, “Gaza ha vinto”, seguita da un dibattito cui parteciperanno Loretta Napoleoni, Diana Carminati, Wasim Dahmash, insieme agli autori.

Di seguito alcune clip tratte dal documentario.

Vi aspettiamo sabato. Collegatevi a questo link. 



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Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Il suo film “L'Urlo" è stato oggetto di una censura senza precedenti in Italia.

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